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La Stampa Rassegna Stampa
03.12.2019 Iran: continua la repressione del regime, almeno 450 i morti
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 03 dicembre 2019
Pagina: 10
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Iran, la repressione dei pasdaran causa 450 morti»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/12/2019, a pag.10, con il titolo "Iran, la repressione dei pasdaran causa 450 morti", la cronaca di Giordano Stabile.

A destra: un momento della repressione a Teheran

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Giordano Stabile

La più grave insurrezione nella storia della Repubblica islamica è stata domata in 4 giorni, con un livello di violenza che non si vedeva dai tempi dello scià, quando Reza Pahlavi cercò di schiacciare la rivoluzione khomeinista nel sangue, senza riuscirvi. I dettagli di un massacro terribile, con 450 persone uccise dai cecchini, a colpi di mitragliatrici, oltre 2.000 feriti, emergono soltanto adesso, a due settimane di distanza. Il regime, prima di dare il via libera a forze di sicurezza e pasdaran, ha oscurato Internet e comunicazioni per 5 giorni, fra il 15 e il 20 novembre. Ora, finito il black-out, cominciano ad affiorare le testimonianze, raccolte da media e ong, come Amnesty International, che per prima ha stabilito un bilancio di «almeno 208 morti». Un conto destinato a salire e che il «New York Times», dopo aver incrociato fonti diverse, ha situato fra «180 e 450 vittime». Nel 2009, quando dopo la vittoria fraudolenta di Ahmadinejad il Paese venne investito da immense manifestazioni, i morti furono 79, in un arco di 10 mesi. Allora la rivolta aveva messo la parte progressista del Paese contro i conservatori. Questa volta la popolazione, soprattutto quella più povera e periferica, si è ribellata contro tutto il sistema. Nelle prime ore gli ayatollah hanno temuto il peggio. L'aumento del prezzo della benzina, annunciato nella tarda serata del 15 novembre, ha fatto da innesco a una rabbia incontenibile, compressa da mesi, anni. Intere città sono finite nelle mani dei rivoltosi, che hanno bloccato le strade, assaltato posti di polizia e caserme, come all'inizio della guerra civile siriana.

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L'ayatollah supremo Khamenei

Le violenze più gravi hanno investito Mahsharhr, nel Sud-Ovest a maggioranza araba e sunnita. La città, 120 mila abitanti, ha una lunga tradizione di proteste contro il potere centrale ma stavolta è sfuggita del tutto al controllo della autorità. La risposta di Teheran è stata implacabile. Un contingente dei pasdaran, con tanto di carri armati, ha circondato il centro abitato e ha cominciato a spazzar via i blocchi stradali sparando ad altezza d'uomo, senza avvertimenti. Decine di corpi sono rimasti nelle strade, come hanno raccontato testimoni anonimi citati dal «New York Times». I manifestanti hanno ripiegato verso la zona paludosa alla periferia. Alcuni erano armati di fucili. I Guardiani li hanno circondati e hanno cominciato a massacrarli a raffiche di mitragliatrice. Almeno «cento» sono stati uccisi e poi «caricati su camion e portati via». I feriti sono stati trasportati all'ospedale di Memko, in mezzo ad altre scene strazianti:«Una madre continuava a urlare "ridatemi mio figlio". Aveva 21 anni e doveva sposarsi due settimane dopo». Lo stesso regime ha confermato la gravità degli scontri a Mahsharhr. Il ministero dell'Interno ha fatto il calcolo dei danni. Cinquanta basi militari attaccate, 731 banche distrutte, 140 edifici pubblici e persino 9 fra moschee e santuari sciiti dati alle fiamme. Oltre mille motociclette e 183 auto della polizia sono stati incendiate e le perdite fra le forze di sicurezza si conterebbero a decine. La brutalità del regime è stata denunciata anche dai leader dell'Onda verde del 2009. Il candidato alle presidenziali, Mir Hussein Mousavi, ancora ai domiciliari, ha paragonato la guida suprema Ali Khamenei «allo scià» e le stragi dei Pasdaran a quella che Reza Pahlavi aveva compiuto nel settembre del 1978 in piazza Jaleh. «Allora il regime era laico, oggi è religioso, quindi il leader supremo è il responsabile». Quel venerdì nero del '78 segnò però anche il destino dello scià. Khamenei, mentre la repressione continua, con oltre 7.000 arresti e minacce di pena di morte, non può dormire sonni tranquilli.

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