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La Stampa Rassegna Stampa
26.11.2019 Dopo Hong Kong, anche Taiwan teme le interferenze di Pechino
Cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 26 novembre 2019
Pagina: 11
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Taiwan sostiene Hong Kong: Xi nemico della democrazia»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi,26/11/2019, a pag.11, con il titolo "Taiwan sostiene Hong Kong: Xi nemico della democrazia" l'analisi di Francesca Paci.

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Francesca Paci

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Xi Jinping

«Qualunque cosa accada, e a prescindere dal risultato elettorale, Hong Kong fa sempre parte della Cina». Le parole del ministro degli esteri Wang Yi, un fedelissimo del presidente Xi Jinping, piombano sull'ex colonia britannica proprio quando la conclusione delle procedure di spoglio conferma la vittoria schiacciante dei candidati pro-democrazia, i gialli, nel voto per i consigli regionali. Botta e risposta. Mentre i neoeletti negoziano l'uscita degli ultimi 50 ribelli asserragliati nel Politecnico dopo la guerriglia urbana delle scorse settimane, Pechino serra i ranghi, enfatizza la libertà d'espressione degli hongkonghesi in barba alla pretesa di essere oppressi e ribadisce il suo «risoluto appoggio» a Carrie Lam, la governatrice così screditata da non farsi più vedere neppure in parrocchia che ora promette di «ascoltare umilmente le opinioni dei cittadini» emerse in modo netto dai seggi. «Il Partito Comunista Cinese aveva completamente sottostimato questa elezione altrimenti non l'avrebbe mai permessa, adesso la voce del movimento è più forte e continuerà a presentare a Carrie Lam le cinque richieste vessillo di questi sei mesi di proteste» esulta l'avvocato e attivista Wu, pur riconoscendo che, sul piano concreto, questo 90% dei 452 seggi conquistati nei distretti cambierà poco finché potranno nominare solo 117 dei 1200 membri del Consiglio Legislativo, il Parlamento di Hong Kong. E nonostante tra le rivendicazioni della piazza ci sia anche il suffragio universale, al momento sul quel fronte non si vede nulla all'orizzonte. Grande è la confusione sotto il cielo della ex colonia britannica scossa e divisa dalle mobilitazioni che si ripetono dall'inizio di giugno a tensione crescente. La calma di questi ultimi tre giorni stride in modo surreale con la violenza di quelli precedenti, il culmine di una montata pagata a prezzo di uno studente morto, un simpatizzante pro-Pechino dato alle fiamme, feriti, edifici danneggiati, oltre mille arresti, la coesione sociale saltata e l'economia alle corde. Gli avversari si osservano. Per Hong Kong si tratta di studiare la prossima mossa dopo essere riuscita a scartare dalla trincea alle urne. Per Pechino la partita è più complicata perché comprende diversi fronti. Ci sono i ribelli degli ombrelli e delle mascherine ma anche gli altri, quelli in sonno, contagiabili, pericolosissimi. Secondo la scrittrice sino-canadese Madeleine Thien «la Cina non è stabile come pare, ci sono rivolte ricorrenti di cui non si ha notizia in varie parti del Paese». Quel che si sa per certa è l'inquietudine di Taiwan, l'altra Cina costruita dagli eredi di Chiang Kai-shek e non riconosciuta da Pechino, 23 milioni di persone in regime di piena democrazia terrorizzate all'idea che Xi Jinping faccia seguire le parole ai fatti e applichi loro la formula "un Paese, due sistemi", la tagliola che con l'approssimarsi della fine della transizione nel 2047 si sta stringendo su Hong Kong. In queste ore, dopo essersi congratulata con l'ex colonia britannica per il risultato del voto democratico, la presidente taiwanese Tsai Ing-wen, una fiera indipendentista, ha definito la Cina «nemica della democrazia» accusandola di interferire nella politica insulana e segnatamente nel voto presidenziale e legislativo di gennaio. L'impressione è che in queste ore Pechino parli a Hong Kong anche perché Taipei, la cui economia non si è emancipata dalla Madrepatria (diversamente dalla cultura politica), intenda.

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