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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 25/11/2019, a pag.10, con il titolo "Hong Kong, dalle urne uno schiaffo a Xi. I candidati pro-democrazia verso la vittoria" la cronaca di Francesco Radicioni.
Francesco Radicioni Proteste contro il regime cinese a Hong Kong Blu o giallo «Campo blu o campo giallo?». Al seggio di Quarry Bayquando Chan Po King porge il volantino la prima cosa che gli elettori vogliono sapere è se sia una candidata dell'establishment vicino a Pechino o un'esponente democratica. «Durante la campagna elettorale i temi locali sono rimasti sullo sfondo - confida la candidata della coalizione democratica - mentre la città si è polarizzata sulle cinque richieste che hanno riecheggiato durante le manifestazioni e sulla brutalità della polizia». A lungo guardati con malcelato distacco dagli hongkonghesi, i consigli di distretti sono il livello più basso dell'amministrazione dell'ex-colonia - hanno potere consultivo e si occupano di questioni locali: dalla raccolta dei rifiuti alla posizione delle fermate dell'autobus, ma rappresentano l'unica elezione pienamente democratica nella vita politica della città. «È l'unico modo che abbiamo per far sentire la nostra voce», dice Barry, 28 anni, che ha appena espresso la sua preferenza al seggio di Taikoo.
In fila per ore Mentre online si diffondevano le voci che il governo avrebbe potuto sospendere il voto se fossero esplosi disordini, fin dalla mattina lunghe code si sono formate davanti ai seggi sparsi per i 18 distretti di Hong Kong. «È oltre un'ora che aspetto di votare: mai vista una cosa simile», dice un pensionato, mentre dietro di lui una fila ordinata si snoda per centinaia di metri. Una sfida anche al cliché che vuole gli hongkonghesi disinteressati alla politica. Alla fine della giornata l'affluenza è stata superiore al 71,2%, con oltre un milione e mezzo di votanti in più rispetto a quattro anni fa (47%): mai così alta in città. Mentre la leader di Hong Kong, Carrie Lam, è ora lo Chief Executive meno popolare nella storia dell'ex-colonia, con l'insoddisfazione verso il governo che ha superato l'80%.
La campagna di Nam Alla vigilia del voto il governo ha diffuso su Instagram video di denuncia dei vandalismi dei manifestanti, mentre ieri sugli schermi della ChinaChem Century Tower scorreva il messaggio «Fermare la violenza e il caos: il tuo voto è necessario». Anche nella zona popolare di Tuen Mun - a venti chilometri dagli shopping mall e a ridosso del confine con la Cina - in molti erano certi che l'alta affluenza alle urne avrebbe inviato «un forte messaggio al governo». «Non sosteniamo nessuna violenza - dice Monica, volontaria del Partito Democratico - è stata l'amministrazione ad aver ignorato le manifestazioni pacifiche di oltre due milioni di persone». Se fino a oggi sono stati i partiti pro-Pechino a dominare nei consigli di distretto - anche grazie a una consolidata rete di clientele - il voto di ieri avrà un impatto anche sulla prossima elezione del capo del governo di Hong Kong. Il bizantino sistema elettorale dell'ex-colonia britannica prevede infatti che il campo che ottiene la maggioranza dei voti nei consigli di distretto invii 117 rappresentanti nel Comitato Elettorale composto da 1.200 persone - in gran parte fedeli a Pechino - che nel 2022 nominerà il prossimo leader di Hong Kong.
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