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La Stampa Rassegna Stampa
14.11.2019 Memoria della Shoah: due storie torinesi
Commenti di Maria Teresa Martinengo, Andrea Parodi

Testata: La Stampa
Data: 14 novembre 2019
Pagina: 64
Autore: Maria Teresa Martinengo - Andrea Parodi
Titolo: «L'umiliazione di Sinigaglia per tenere in casa una radio - Così i giovani si trasformano in ricercatori e testimoni»

Riprendiamo dalla STAMPA - Torino di oggi, 14/11/2019, a pag.64, con il titolo "L'umiliazione di Sinigaglia per tenere in casa una radio" l'articolo di Maria Teresa Martinengo; con il titolo "Così i giovani si trasformano in ricercatori e testimoni", il commento di Andrea Parodi.

Ecco gli articoli: 

Maria Teresa Martinengo: "L'umiliazione di Sinigaglia per tenere in casa una radio"

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Maria Teresa Martinengo

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Leone Sinigaglia

La carta bollata da è ingiallita, il fascicolo azzurrino che la contiene è punteggiato di macchie di vecchiaia. Il loro posto è nel faldone 0001783 - scaffale 1, Archivio Centrale dello Stato - Ministero dell'Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza - Informazioni su persone 1911-1943. L'umiliazione del compositore torinese Leone Sinigaglia di fronte alle assurdità delle leggi razziste e del regime fascista è contenuta lì. È lì che l'ha rintracciata Augusto Cherchi, storico e ricercatore, amministratore unico di Alicubi, società che sta lavorando con la Fondazione 1563 della Compagnia di San Paolo a «Dalle carte le vite. Gli archivi raccontano gli effetti delle leggi razziste del 1938», progetto web di ricerca per il collegamento tra archivi nato dalla mostra «La casa e le cose» del 2018, nell'80° dell'emanazione delle leggi razziste. La partenza del progetto è il Fondo Egeli dell'Archivio Storico della Compagnia di San Paolo. L'Egeli era l'ente nazionale nato nel 1939 che sul territorio si affidava alle banche, per inventariare i beni sequestrati agli ebrei. Un meticoloso, freddo elencare indifferente di poltrone, appartamenti, cappotti, cucchiaini e centrini. La vita dei cittadini torinesi ebrei, dalle case emerge attraverso una miriade di incroci di archivi pubblici e privati, statali, scolastici, di imprese, militari, di giornali, insieme con testimonianze orali, film di famiglia, fotografie. «L'Egeli "parla" con l'Archivio del Partito Nazionale Fascista - racconta Cherchi -, 80.000 fascicoli per la provincia di Torino, pubblico dal 2013, con possibilità di narrazioni e di collegamenti impensabili».La georeferenziazione delle case si integra con dati, foto, documenti con chiavi d'accesso alternative. Un lavoro in progress che porta lontano «grazie a strumenti digitali innovativi che permettono di navigare tra km di documenti, aprendo realmente nuove vie alla ricerca storia. L'Egeli, in questo senso, è come una palestra», spiega Elisabetta Ballaira, vicedirettore della Fondazione 1563. «Chi ricerca può farlo in modo evoluto, nella logica della condivisione», dice Cherchi. Il fascicolo Sinigaglia è uno sperduto attimo di vita in questo mare. L'amico di Brahms, allievo di Dvoràk, nel dicembre 1941 scrive al ministero dell'Interno perché gli venga concessa l'autorizzazione di continuare a usufruire del proprio apparecchio radio. «Data l'età avanzata che lo costringe a rimanere per lunghi mesi in casa in compagnia della sua unica sorella, anch'essa anziana e sofferente, l'apparecchio radio costituisce per il sottoscritto la sola possibilità di tenersi in contatto col mondo musicale ed un conforto spirituale la cui privazione non potrebbe non avere per lui dolorose ripercussioni». Poi: «Il sottoscritto, per la sua provata, costante, profonda italianità... e per avere impresso a tutta la sua musica, sempre, un carattere italianissimo, dalle Danze Piemontesi alle Baruffe Chiozzotte alle Vecchie Canzoni popolari del Piemonte raccolte in 12 anni di assiduo lavoro dalla bocca stessa del popolo... confida venga disposto nei suoi riguardi il provvedimento di eccezione richiesto». Il nullaosta arriva in gennaio. Sinigaglia muore d'infarto il 16 maggio 1944, a 76 anni, nel momento in cui i fascisti lo prelevano all'Ospedale Mauriziano dove si è rifugiato con la sorella Alina, che morirà poco dopo.

Andrea Parodi: "Così i giovani si trasformano in ricercatori e testimoni"

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La pietra d'inciampo dedicata a Remo Jona

«Oh tu che leggi, non piangere. Prega, prega per l'Umanità tanto caduta affinché non ricada nelle barbarie, nell'odio, nella guerra. Prega per la Pace, Pace, Pace». Parole strazianti e attuali quelle che scriveva l'avvocato torinese Remo Jona in un necrologio su La Stampa il 14 febbraio 1950. Annunciava lo sterminio della sua famiglia nelle camere a gas di Birkenau sei anni prima. Un documento che grida sofferenza e trovato da un gruppo di studenti dell'Istituto Russel-Moro-Guarini di Torino nell'archivio digitalizzato La Stampa. La ricerca è avvenuta in occasione di un affascinante progetto storico intrapreso grazie al programma «Le case e le cose. Le leggi razziali del 1938 e la proprietà privata» della Fondazione 1563 sotto la guida di Elisabetta Ballaira. È proprio nell'archivio della sede di piazza Bernini dell'ente strumentale della Compagnia di San Paolo che i giovanissimi Lorenzo Berardo, Mattia Grossato, Stefano Rosini e Demis Bogdan, coordinati dalla docente di lettere Antonella Filippi, hanno ritrovato il documento chiave.

L'emozione «Per noi, non abituati alla ricerca archivistica - raccontano Berardo e i suoi compagni – è stato di grande emozione trovare una lettera scritta di pugno dall'avvocato Jona, leggere la sua calligrafia». Con essa, dal campo di concentramento di Fossoli, vicino Modena, Jona implorava all'Egeli, l'ente istituito presso il San Paolo nell'ambito dei provvedimenti razziali del 1938 per curare la gestione e la liquidazione dei beni ebraici espropriati, di poter usufruire delle rendite dei suoi immobili torinesi confiscati sui quali continuava a pagare regolarmente le tasse. La lettera è straziante. L'avvocato si appella alla sua condizione di «buon italiano», iscritto al Partito Fascista dal 1932, per poter disporre di fondi per sfamare la sua famiglia nel lager. «Leggere queste righe ci ha profondamente colpiti», spiega Berardo, che con i suoi compagni, ottenuta la Maturità a luglio, si sta affacciando nel mondo del lavoro o negli studi universitari. «E - continua – ci ha investito di una responsabilità morale molto alta, perché tutto questo un giorno potrebbe ricapitare». Gli studenti, che per questa ricerca hanno anche vinto il premio «Il progetto di Storia Contemporanea» del Comitato Resistenza e Costituzione, hanno presentato il loro studio presso la sede dell'archivio davanti a un commosso Piero Gastaldo, presidente della Fondazione 1563. «I ragazzi sono stati bravissimi e questo attesta l'importante patrimonio archivistico presente presso la Fondazione – spiega -; qui c'è la possibilità di intrecciare le storie con la storia sociale ed economica della città».

Una storia da film I ragazzi hanno già dato la disponibilità per partecipare alla prossima Giornata della Memoria per andare a parlare nelle scuole, con i loro coetanei, per tracciare l'intera vicenda dell'avvocato Jona. Una storia che sembra uscita da un film di Steven Spielberg: vive a Torino in via Filangeri 4, dove oggi sono presenti, sul selciato, le Pietre d'Inciampo di tutto il nucleo familiare; l'anziana madre Emilia Segre, la moglie Ilka Vitale, i piccoli figli Ruggero e Raimondo. Nel 1942, sotto i bombardamenti, abbandonano la città per sfollare in Valle d'Aosta, a Issime, fino al 7 dicembre '43 protetti da tutto il paese. Quel giorno la situazione precipita. I bambini sono portati via da scuola, l'intera famiglia trasferita a Fossoli e poi ad Aushwitz, nello stesso convoglio di Primo Levi. Jona sarà uno dei 25 sopravvissuti, insieme allo scrittore torinese, che lo cita anche nei suoi scritti. Solo sette numeri li differenziano sul braccio tatuato. Al suo ritorno nell'estate 1945 Remo Jona è un uomo solo, scavato nell'anima, senza nessun ricordo sul quale piangere.

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