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La Stampa Rassegna Stampa
11.11.2019 Il Califfo è morto, lo Stato islamico ancora no
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 11 novembre 2019
Pagina: 3
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «A Nord l'ex roccaforte del Califfo dove l'Isis prova a riorganizzarsi»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/11/2019, a pag.3, con il titolo "A Nord l'ex roccaforte del Califfo dove l'Isis prova a riorganizzarsi" la cronaca di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

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Terroristi dello Stato islamico cercano di riorganizzarsi dopo l'eliminazione del Califfo

Le ultime schegge del califfato colpiscono ancora e fanno capire che nonostante l'eliminazione di Al-Baghdadi la minaccia jihadista resta alta, in uno spazio enorme che va dal Mali, dove la settimana scorsa sono stati assaliti i militari francesi, all'Iraq, all'Afghanistan e oltre. Il nuovo califfo, l'ancora misterioso Abu Ibrahim al-Hashemi, ha promesso di «far soffrire» Europa e America «persino di più» del suo predecessore. I giuramenti di fedeltà al capo si sono susseguiti dal Sahel alla Siria orientale, accompagnati dalla promessa di nuovi spargimenti di sangue. L'attacco alle nostre forze speciali, che aiutano i peshmerga curdi nella lotta all'Isis, è da inquadrare in questo contesto. E l'Iraq, attraversato da proteste di massa che «distraggono» il grosso delle forze di sicurezza locali, torna un osservato speciale. La zona fra Erbil e Kirkuk è stata una delle ultime roccaforti dell'Isis, assieme ad Hawija, poco più a Sud. Ed è anche l'area dove il gruppo jihadista si è ricostituito subito in modalità guerriglia, come lo stesso Al-Baghdadi aveva ordinato dopo aver perso il controllo di quasi tutto il territorio iracheno. Nell'estate del 2017, subito dopo la caduta di Mosul, i combattenti jihadisti erano finiti in una morsa fra le forze federali di Baghdad e i peshmerga curdi. La regione era stata «ripulita» nel giro di due mesi. Nell'ottobre dello stesso anno, dopo il referendum sull'indipendenza in Kurdistan, lo scenario è però cambiato di colpo. Esercito iracheno e milizie sciite hanno attaccato e conquistato Kirkuk, e spinto i curdi verso Nord. Si è creato uno spazio vuoto, non controllato da nessuna delle due parti, riempito dalle cellule dell'Isis. L'area più pericolosa è lungo il fiume Zab, uno dei principali affluenti del Tigri. Nel 2017 il fronte fra peshmerga e truppe irachene si è cristallizzato lì e subito dopo si sono moltiplicati gli attentati jihadisti. La nostra pattuglia è quindi senza dubbio stata attaccata da seguaci del califfato. E lo stesso fanno pensare le modalità. L'uso di ordigni improvvisati (Ied in inglese) è stata una costante di tutti i gruppi islamisti sunniti durante l'insurrezione contro le forze Usa, a partire dal 2003. La maggior parte di 4900 soldati statunitensi uccisi negli ultimi 15 anni è stata investita da bombe piazzate lungo le strade, sia a Baghdad che nelle zone remote, come ha raccontato bene il film «The hurt locker». L'insorgenza sunnita era culminata nella nascita dello Stato islamico in Iraq nel 2006, poi diventato Isis nel 2013. Proprio le alte perdite dovute a Ied e autobombe avevano spinto gli americani al ritiro nel 2011. Nel giro di tre anni era nato il califfato, che al suo culmine controllava un terzo dell'Iraq e due terzi della Siria. Ora il califfato è stato spazzato via, il leader eliminato nel raid Usa di domenica 26 ottobre. Ma la lotta all'Isis non è finita. Le tensioni fra governo centrale iracheno e la regione autonoma curda hanno portato a un ridimensionamento delle presenza militare della Nato a Erbil. Sono rimaste truppe speciali Usa, britanniche, francesi e di altri Paesi europei, compresi i paracadutisti italiani del Col Moschin. Il loro compito è aiutate i peshmerga a dare la caccia alle cellule jihadiste ed evitare che l'Isis consolidi qualche forma di controllo territoriale. Il compito è però diventato più difficile dopo l'esplosione delle proteste anti-governative a Baghdad. Forze federali irachene e soprattutto milizie sciite, che mantenevano la pressione sui jihadisti dal lato di Hawija, sono state in parte ritirate per aiutare la polizia a contenere la rabbia popolare e a proteggere le sedi governative nel centro della capitale e in altre città del Sud. Questo spostamento di uomini ha con molta probabilità «dato respiro» alle cellule dell'Isis, che così hanno potuto alzare il livello degli attacchi e colpire una pattuglia Nato. L'instabilità crescente nel Levante arabo, lo spazio che racchiude Libano, Siria, Iraq, Giordania, è un altro campanello d'allarme. I gruppi jihadisti hanno già dimostrato, fra il 2013 e il 2015, di saper approfittare con velocità impressionante degli spazi offerti da Stati indeboliti. Nessuno può permettersi di ripetere l'errore.

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