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La Stampa Rassegna Stampa
16.10.2019 Come fermare Erdogan? Per cominciare, Turchia fuori dalla Nato
Cronaca di Paolo Mastrolilli, commento di Gianni Vernetti

Testata: La Stampa
Data: 16 ottobre 2019
Pagina: 11
Autore: Paolo Mastrolilli - Gianni Vernetti
Titolo: «Sanzioni, dazi, armi atomiche e Pence. Così Trump prova a fermare Erdogan - L'isolamento del sultano»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/10/2019, a pag.11 con il titolo "Sanzioni, dazi, armi atomiche e Pence. Così Trump prova a fermare Erdogan", il commento di Paolo Mastrolilli; a pag. 23, con il titolo "L'isolamento del sultano", il commento di Gianni Vernetti.

A destra: Erdogan il tiranno distrugge l'opposizione

La Turchia è entrata a far parte della Nato in un mondo completamente diverso da quello attuale, quando era indispensabile una alleanza con tutti i Paesi disposti a contenere e respingere il mondo comunista guidato dall'Unione Sovietica. Inoltre i governi prima di Erdogan era aperti verso una collaborazione con le democrazie occidentale. Oggi non ha più senso l'appartenenza di Ankara alla Nato, viste le politiche islamiste, imperialiste e filorusse di Erdogan. Consentire alla Turchia di accedere ai segreti militari e all'arsenale della Nato è un pericolo per la democrazia in Europa e in Medio Oriente.

Ecco gli articoli:

Paolo Mastrolilli: "Sanzioni, dazi, armi atomiche e Pence. Così Trump prova a fermare Erdogan"

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Paolo Mastrolilli

Il presidente Trump invia da Erdogan il suo vice Pence, oltre ad imporre sanzioni contro Ankara, per ottenere subito la fine dell'offensiva nella Siria settentrionale controllata finora dai curdi. Ma potrebbe essere troppo tardi, per evitare gli effetti più disastrosi della reazione lenta all'attacco, visto che la Russia ha già mosso le sue truppe per occupare lo spazio lasciato vuoto dai soldati americani. Lunedì sera gli Stati Uniti hanno annunciato una serie di sanzioni che colpiscono i settori turchi della difesa e l'energia, e mettono sotto pressione i due ministri che gestiscono questi dossier, insieme al collega della sicurezza interna, bloccando tutti i loro beni e le transazioni all'estero. Nello stesso tempo le tariffe sull'acciaio di Ankara sono state rialzate dal 25 al 50%, mentre il segretario al Commercio Ross ha ricevuto l'ordine di bloccare i negoziati in corso per un accordo commerciale bilaterale del valore di cento miliardi di dollari. Il Pentagono starebbe anche considerando di ritirare le armi nucleari della Nato depositate nella base aerea di Incirlik. E una delle ipotesi su dove spostarle è la base di Aviano in Italia. Washington ha annunciato che il vice presidente Pence e il consigliere per la Sicurezza nazionale O'Brien partiranno a breve per la Turchia, allo scopo di ottene un cessate il fuoco immediato. Tutte queste iniziative sono state annunciate lunedì sera, seguite da un briefing con i giornalisti condotto da alti funzionari della Casa Bianca, del dipartimento di Stato e del Pentagono, per spiegare la strategia adottata allo scopo di fermare i combattimenti. Domenica scorsa, dopo la telefonata con Erdogan, Trump aveva sostanzialmente dato via libera all'invasione, dopo aver ricevuto assicurazioni sul fatto che Ankara avrebbe continuato la lotta contro l'Isis. Il presidente aveva poi ribadito che voleva terminare le guerre infinite, riportare a casa i soldati americani schierati inutilmente da anni in Medio Oriente, e passare agli europei la responsabilità di detenere i terroristi partiti dai loro Paesi. La reazione però era stata durissima, in particolare da parte degli stessi sostenitori repubblicani di Trump, e anche di alcuni leader evangelici. Per almeno quattro ragioni: primo, il tradimento dei curdi, alleati fondamentali nella lotta contro l'Isis, che lanciava un segnale raggelante a tutti gli alleati degli Usa; secondo, la possibilità di favorire così la rinascita del Califfato; terzo, i vantaggi che Russia, Iran e il regime di Assad avrebbero tratto dalla ritirata americana; quarto, il rischio di scatenare una guerra regionale che poi costringerà gli Usa ad un intervento ancora più massiccio. Nel briefing di lunedì sera i funzionari dell'amministrazione hanno negato la responsabilità del presidente, dicendo che lui non ha dato via libera all'invasione, ma ha solo preso atto delle intenzioni di Erdogan, spostando un centinaio di soldati americani che non avrebbero potuto fermarlo. Hanno accusato Ankara di provocare instabilità nell'unica zona relativamente calma della regione, e quindi hanno chiesto l'immediata tregua. A questo scopo hanno annunciato la missione di Pence che partirà oggi con una delegazione Usa er incontrerà domani Erdogan: «Due ore fa non sarebbe stata possibile. Il presidente non l'avrebbe inviata, se non fosse stato piuttosto fiducioso sul fatto che ci sia almeno una possibilità di ottenere il cessate il fuoco». Nei giorni scorsi Trump si era detto pronto ad obliterare l'economia turca, se Erdogan avesse calcato troppo la mano, ma gli analisti hanno giudicato fiacche le sanzioni di lunedì. Infatti l'offensiva è andata avanti, e Mosca ha annunciato che i suoi militari sono subentrati agli americani nei pattugliamenti a Manbij, lungo la linea di separazione fra turchi, curdi e forze di Assad. Washington può ancora alzare il prezzo economico per piegare Ankara, ma al momento non ha raggiunto lo scopo di rimettere insieme i cocci dell'iniziale apatia della Casa Bianca.

Gianni Vernetti: "L'isolamento del sultano"

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Gianni Vernetti

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A meno di una settimana dall'inizio delle operazioni militari nel Nord-Est della Siria, nel Rojava, la Turchia è totalmente isolata in Medio Oriente, nel mondo islamico, in Occidente. Questo il capolavoro realizzato da Recep Tayyip Erdogan con l'operazione "Fonte di Pace" e l'invasione militare del Kurdistan siriano. Il presidente turco è sempre più debole in patria, dopo le due clamorose sconfitte elettorali a Istanbul, quando il candidato dell'opposizione laica e secolare, Ekrem Imamoglu, sconfisse, il partito di maggioranza governativa, nonostante l'annullamento del voto messo in atto da una magistratura compiacente con il regime. E non sono bastati neanche due anni di purghe a più ondate nell'esercito, nelle scuole e nella magistratura, dopo il tentato golpe del 2016 per sottomettere completamente la Turchia al volere del partito di Verità e Giustizia al potere da 17 anni. Indebolito in patria, Erdogan ha puntato tutte le sue carte su un'opzione ultra-nazionalista e neo-ottomana. Le prove generali le aveva fatte nel gennaio 2018, quando invase il Cantone di Afrin, l'enclave controllata dalla Syrian Democratic Force, la coalizione fra i curdi di Ypg e diverse milizie assire, cristiane e arabe, separata dal resto del Rojava e dunque difficilmente difendibile. Un "boccone facile", che cadde in poche settimane. All'invasione fece seguito un'inaccettabile pulizia etnica messa in atto dall'esercito turco e dalle milizie jihadiste, formate da molti fuoriusciti di Al Qaeda. Ma questa volta l'azzardo di Erdogan potrebbe però fallire. In pochi giorni dall'inizio delle operazioni militari, il nord della Siria è cambiato: più di 200.000 civili in fuga; centinaia di detenuti di Isis evasi dalle carceri con la complicità turca; le milizie jihadiste "embedded" nell'esercito turco che compiono crimini di guerra, a cominciare dall'uccisione della leader curda Hervin Khalaf. E nonostante l'iniziale "green light" alle operazioni militari concesso dal Presidente Donald Trump, l'abbandono dei curdi, il migliore alleato dell'occidente nella regione, ha suscitato sdegno e reazioni che hanno prodotto un isolamento internazionale senza precedenti per la Turchia. Prima la rivolta del mondo repubblicano al Senato Usa, guidata da Linsday Graham e Marco Rubio che hanno depositato una Risoluzione bipartisan al Senato insieme al democratico Chris Van Hollen, ripresa alla Camera da Nancy Pelosi, che condanna duramente l'azione militare turca, denuncia il tradimento dei curdi e chiede sanzioni alla Turchia. Poi l'annuncio del blocco delle forniture belliche alla Turchia da parte di diversi paesi europei, nonostante la timidezza di Bruxelles, insieme al crescente imbarazzo all'interno della Nato per un membro dell'Alleanza che aggredisce un popolo libero e che usa milioni di rifugiati siriani come arma di ricatto. Infine la missione annunciata ieri del Vicepresidente Mike Pence, che si recherà ad Ankara nei prossimi giorni chiedendo a Erdogan di interrompere immediatamente le operazioni militari, con in mano l'ordine esecutivo firmato dal Presidente Trump che impone sanzioni economiche alla Turchia, compreso lo stop al negoziato commerciale bilaterale per 100 miliardi di dollari. E se in occidente Erdogan è isolato, non va meglio nel resto del mondo: ieri a Manbj, città chiave nel teatro curdo-siriano, c'è stato un passaggio di mano dei posti di controllo fra Usa e Russia e le forze di Assad, per la prima volta dall'inizio della guerra civile in Siria, sono entrate in territorio curdo. I russi hanno imposto una no-fly zone e i curdi hanno lanciato una controffensiva riconquistato Ras al-Ayn. La Lega Araba ha condannato in modo netto l'azione militare di Erdogan e in Israele un appello di ex militari ha chiesto al Governo di Gerusalemme di inviare aiuti militari ai curdi siriani. E dopo il surreale saluto militare della nazionale di calcio turca nella partita contro la Francia, molte sono le voci che chiedono di non tenere a Istanbul la finale di Champions League il prossimo 30 maggio. Il progetto neo-ottomano di Erdogan ha condotto la Turchia in una condizione di isolamento senza precedenti. E in modo sempre più interdipendente la Turchia non potrà restare a lungo senza una chiara collocazione internazionale e senza una solida prospettiva.

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