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La Stampa Rassegna Stampa
07.10.2019 La differenza tra fatti (l'avvicinamento dei Paesi sunniti a Israele grazie a Netanyahu) e chiacchiere (di A.B. Yehoshua)
Cronaca di Giordano Stabile, l'opinione di Abraham B. Yehoshua

Testata: La Stampa
Data: 07 ottobre 2019
Pagina: 15
Autore: Giordano Stabile - Abraham B. Yehoshua
Titolo: «Netanyahu lavora ad un progetto di non aggressione con i Paesi arabi - Ebrei e palestinesi, la nostra identità mediterranea come base comune per vivere in pace in Israele»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/10/2019, a pag.15, con il titolo "Netanyahu lavora ad un progetto di non aggressione con i Paesi arabi" l'analisi di Giordano Stabile; a pag. 26, con il titolo "Ebrei e palestinesi, la nostra identità mediterranea come base comune per vivere in pace in Israele", la cronaca di una vacanza in Sicilia di Abraham B. Yehoshua.

A destra: Benjamin Netanyahu

Dopo aver a lungo sostenuto la "soluzione a due Stati", A.B. Yehoshua da alcuni anni ha cambiato idea, propugnando l'ipotesi dello Stato binazionale arabo ed ebraico. La sua è una teoria irrealistica, che se applicata segnerebbe la fine di Israele: solo chiacchiere dunque, senza alcun contenuto politico. Chi invece si occupa dei fatti è Benjamin Netanyahu, che come riporta Giordano Stabile sta consolidando le relazioni con i Paesi arabi sunniti pragmatici, come Israele preoccupati dall'espansionismo iraniano. Yehoshua farebbe bene a occuparsi di letteratura, non di politica.

Ecco gli articoli:

Giordano Stabile: "Netanyahu lavora ad un progetto di non aggressione con i Paesi arabi"

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Giordano Stabile

Benjamin Netanyahu è sempre più vicino a un processo per corruzione, deve affrontare la fronda interna al Likud e il rischio di essere tagliato fuori da un governo di salvezza nazionale guidato da Benny Gantz. Ma prima vuole arrivare a un risultato storico. Non è la pace con i palestinesi ma quella con i Paesi della penisola arabica. E' un progetto di lunga data che ha assunto contorni più precisi la scorsa primavera. Dopo il viaggio del premier in Oman e il via libera dal Sultano Qabus, il grande mediatore, è stato il ministro degli Esteri Israel Katz a condurre le danze con una serie di missioni nel Golfo, in Bahrein e negli Emirati arabi uniti. Un suo selfie nella grande moschea fatta costruire dal principe ereditario Mohammed bin Salman ad Abu Dhabi ha pubblicizzato sui social media quella che doveva essere una missione "segreta".

La rivelazione della tv La sostanza era invece un "patto di non aggressione" che Israele ha proposto alla controparte araba e che, secondo la tv israeliana Channel 12, sta per essere concretizzato a livello ufficiale. Dovrebbe includere lo Stato ebraico, e perlomeno il Bahrein, gli Emirati, l'Arabia Saudita, e forse l'Oman. La svolta è arrivata all'Assemblea generale dell'Onu, dove Katz ha incontrato i colleghi dei Paesi del Golfo e definito i dettagli dell'intesa. L'iniziativa è il primo passo. L'obiettivo è l'apertura di relazioni diplomatiche e la fine del conflitto, ormai solo formale, fra Israele e i Paesi del Golfo. Al quel punto l'asse anti-Iran sarà completato ed emergeranno anche altri accordi, già operativi, come quello sullo scambio di informazioni fra Intelligence. Katz si sente sicuro, tanto che da New York, il 23 settembre, ha rivelato su Twitter di aver tenuto colloqui con una «controparte araba che non ha relazioni diplomatiche con Israele», per discutere «di un accordo per contenere la minaccia iraniana» e avviare «forme di cooperazione». Secondo Channel 12, il vertice sarebbe servito a lanciare una «équipe mista» incaricata di redigere il «patto di non aggressione». Israele ha firmato finora una pace formale soltanto con Egitto, con gli accordi di Camp David, e Giordania, nel 1994. Con l'arrivo al potere in Arabia Saudita di Mohammed bin Salman, molto freddo nei confronti della causa palestinese, si è aperta una enorme opportunità. Per la prima volta i Paesi del Golfo non pongono come pre-condizione alle relazioni diplomatiche un accordo con i palestinesi. Il tempo per Netanyahu però stringe. Mercoledì è stato interrogato per 11 ore dal procuratore generale Avichai Mendelblit e secondo media israeliani il rischio di processo per almeno uno dei tre filoni di inchiesta è altissimo.

Abraham B. Yehoshua: "Ebrei e palestinesi, la nostra identità mediterranea come base comune per vivere in pace in Israele"

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Abraham B. Yehoshua

Ancora una volta gli italiani mi hanno viziato e dopo il festival letterario di Mantova mi sono recato in Sicilia per ricevere la laurea honoris causa in Scienze filosofiche conferitami dall'Università degli Studi di Palermo. Già da diverso tempo mi appello ai siciliani, e in particolare alle autorità palermitane, perché prendano l'iniziativa di trasformare il capoluogo dell'isola in una Bruxelles del Mediterraneo. Ho scritto molti articoli a proposito, ho tenuto conferenze e negli ultimi anni, mentre mi incammino alacremente verso la fine della mia vita, l'idea di forgiare un'identità mediterranea è diventata fondamentale e di grande importanza per me. Dopotutto noi israeliani e palestinesi, non potendo far altro, stiamo procedendo verso un unico Stato e abbiamo quindi l'urgente bisogno di trovare un'identità comune che ci aiuti a rinsaldare la nostra coesistenza. I palestinesi sono un popolo indubbiamente mediterraneo, e anche metà della popolazione ebraica di Israele proviene dalle sponde del Mare nostrum. Se potessimo quindi, nonostante tutte le nostre divergenze, accettare un'identità con un denominatore comune, storico e geografico, questa contribuirebbe notevolmente a una futura, possibile convivenza. Ai siciliani naturalmente l'idea piace, benché ancora non si veda all'orizzonte un modo per realizzarla. Non esiste luogo più ideale per un centro amministrativo, politico, culturale ed economico della Sicilia, posizionata nel cuore del Mediterraneo. Se il governo italiano fosse disponibile a sostenere concretamente questo progetto, i Paesi arabi del Nord Africa, l'Andalusia spagnola, l'Egitto, il Libano e naturalmente Israele potrebbero trarne grandi benefici. La cerimonia di conferimento della laurea honoris causa, alla quale era presente anche il dinamico sindaco di Palermo Leoluca Orlando, è stata bellissima e commovente. Il discorso del sindaco mi ha emozionato e anche gli altri interventi si sono rivelati belli e pieni di buona volontà. Malgrado io abbia accumulato una notevole esperienza in Italia, sono rimasto stupefatto quando, entrando nell'ufficio del rettore dell'ateneo palermitano, ho scoperto sulla parete davanti alla sua scrivania un grande quadro, antico e classico, raffigurante una donna nuda. Una cosa simile sarebbe impensabile nell'ufficio di un rettore israeliano, inglese o americano. L'intreccio della bellezza classica nel tessuto della vita quotidiana italiana è un fenomeno sorprendente, e io mi domando con un sorriso se, quando il rettore deve firmare il passaggio di ruolo di qualche docente, chieda consiglio, o suggerimento, alla donna nuda che giace tranquilla nel quadro appeso davanti ai suoi occhi. Dopo i discorsi e le congratulazioni si è passati al banchetto, ed ecco che, improvvisamente, è comparso davanti a me un uomo sui quarant'anni che non aveva potuto presenziare alla cerimonia. Rivolgendosi a me in un eccellente ebraico si è presentato come Adham Darawsha, palestinese originario della Galilea, il cui padre, o zio, era stato in passato membro della Knesset. Adham risiede a Palermo da parecchi anni, è assessore alla Cultura del Comune, parla fluentemente l'italiano, dava l'impressione di essere molto sicuro di sé e discorreva da pari a pari con il sindaco di Palermo seduto accanto a noi. Ho scoperto in lui una persona gradevole con un delizioso senso dell'umorismo, che conosce i miei libri e ammira in particolare il mio romanzo palestinese, La sposa liberata, di cui ha compreso le sottigliezze. Abbiamo subito fraternizzato. Gli ho chiesto quanti palestinesi come lui ci sono a Palermo. «Siamo solo in sette», ha risposto, «e non facciamo che litigare». La sua franchezza, tipicamente israeliana, mi ha conquistato e mi sono interessato alla sua storia, alle varie tappe della sua vita, e a come è riuscito a adattarsi con tanto successo a una cultura straniera e distante dalla sua. La mattina seguente è venuto al mio hotel per portarmi nel suo ufficio e presentarmi ai collaboratori. Naturalmente conosce le mie idee riguardo a un unico Stato per arabi e ebrei, e concorda con me che, visto e considerato che la possibilità di avere due Stati è ormai svanita, ormai non c'è altra soluzione. Parla liberamente in maniera critica degli israeliani, ma anche dei palestinesi. In breve, è un uomo dallo spirito libero. Funzionari e impiegati sono venuti a salutarmi nel suo bell'ufficio, e io ho avuto l'impressione che abbiano accolto molto bene questo assessore palestinese, lo apprezzino e si fidino di lui. Mi sono congedato da Adham con una calorosa stretta di mano e gli ho detto per scherzo: «Avrei voglia di strapparti via da qui e di riportarti in Israele-Palestina, la nostra patria comune. Se riesci ad amministrare la vita culturale di Palermo, potresti fare lo stesso a Haifa, o a Tel Aviv. Ma chi te lo permetterebbe? Ora che la distanza tra palestinesi e israeliani si va ampliando, dove si potrebbe trovare in Israele un sindaco convinto che un palestinese israeliano possa gestire la vita culturale della sua città?». Il giorno dopo, in preda a pensieri malinconici, mi sono recato a un festival cinematografico sull'isola di Salina, di fronte a Stromboli, dove, mi hanno assicurato, di notte si possono vedere i lapilli del vulcano. L'isola, l'albergo e l'ospitalità sono stati perfetti. Mi sembrava di essere arrivato in paradiso per riposare un po' e raccogliere le forze in vista delle elezioni in Israele delle quali, come tutti gli oppositori di Benjamin Netanyahu, temevo molto i risultati. Ma ecco che i palestinesi israeliani ci hanno sorpreso. La percentuale dei loro votanti è cresciuta e il risultato ottenuto è nettamente migliore rispetto a quello delle elezioni di cinque mesi fa. Contro la campagna di odio di Netanyahu i palestinesi israeliani hanno chiaramente espresso il loro desiderio di far parte della realtà politica e pubblica israeliana e il partito che li rappresenta è ora la terza forza politica nella Knesset. Allora, mi sono detto, è vero che non sono riuscito a portar via Adham Darawsha da Palermo, ma qualcosa del suo spirito è arrivato in Israele. Non possiamo perdere la speranza.

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