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La Stampa Rassegna Stampa
15.09.2019 Scuote il Medio Oriente la prima vera guerra dei droni
Analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 15 settembre 2019
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La prima guerra dei droni»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/09/2019, a pag.1/21 l'editoriale del direttore Maurizio Molinari dal titolo "La prima guerra dei droni"

In altra pagina la cronaca di Giordano Stabile


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Maurizio Molinari

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L’ attacco dal cielo contro gli impianti petroliferi di Aramco in Arabia Saudita rivela come, senza proclami ma con un’intensità crescente, è in pieno svolgimento in Medio Oriente la prima guerra dei droni. Sin dalla Guerra Fredda il Medio Oriente si è affermato come palestra di armamenti e tattiche: durante la guerra del Kippur si svolse sul Golan la più imponente sfida di carri armati dalla fine della Seconda Guerra Mondiale con i T62 russi dei siriani contrapposti agli Sherman americani degli israeliani; nel 1970 sui cieli di Suez i Phantom 4 venduti dal Pentagono a Israele duellarono con i Mig-21 sovietici; nel 1974 nel kibbutz di Maalot un commando palestinese fece strage di bambini inaugurando il terrorismo più efferato; nel 1983 in Libano gli Hezbollah introdussero gli attentati con i camion-bomba per demolire gli obiettivi avversari; nel 2010 il virus Stuxnet, realizzato da Israele e Stati Uniti, colpì le centrifughe nucleari iraniani nel primo blitz di guerra cyber. I droni come strumento d’attacco si affacciano nell’estate 2018: in luglio un aereo iraniano senza pilota, armato di esplosivi, viola le difese israeliane e penetra per 10 km sui cieli della Valle del Giordano prima di essere abbattuto da un elicottero; in agosto i ribelli houti filo-iraniani lanciano droni armati sui palazzi reali sauditi che riescono a fermarli con un intenso fuoco delle batterie antiaeree.
Da allora ad oggi questa tipologia di attacchi non ha fatto che aumentare, su entrambi i fronti. Dalle basi nel Nord dello Yemen gli houthi hanno bersagliato città, luoghi santi, aeroporti civili, basi militari ed ora anche impianti petroliferi sauditi causando poche vittime ma ingenti danni e soprattutto dimostrando di poter violare a piacimento la sovranità del regno wahabita, nazione leader del mondo sunnita. Dalle basi nel Sud della Siria unità Hezbollah e milizie sciite hanno tentato a più riprese di lanciare simili attacchi contro Israele, con droni sempre più sofisticati e meglio armati. Israele finora è riuscita a difendersi in maniera più efficace dell’Arabia Saudita ma numero e intensità degli attacchi sono in aumento, svelando la decisione del generale iraniano Qassem Suleimani, capo della Forza Al Quds a cui rispondono le milizie sciite in Medio Oriente, di far leva sui droni in maniera strategica. A confermare tale scelta di Teheran c’è quanto avviene nel Golfo Persico dove sono le unità dei Guardiani della rivoluzione - a cui anche la Forza Al Quds appartiene - a gestire i droni per coordinare le operazioni contro le petroliere straniere. Ed anche per duellare con gli Stati Uniti, come dimostra il drone che gli hanno abbattuto. A tutto ciò dobbiamo aggiungere quanto sta avvenendo lungo i confini fra Siria e Iraq perché le milizie sciite vi hanno costruito una base operativa da dove lanciare droni (e forse missili) contro Israele, che a sua volta avrebbe posizionato propri droni nelle limitrofe aree curde per bersagliare gli avversari. Ciò che ne esce è un Medio Oriente teatro di una guerra di droni innescata dall’Iran attraverso le sue milizie sciite libanesi, irachene e yemenite per mettere sotto pressione i propri avversari - Arabia Saudita, Israele e Stati Uniti - al fine di cambiare a proprio favore l’equilibrio strategico regionale. Sul fronte opposto Washington, Gerusalemme e Riad hanno però il vantaggio tecnologico, ovvero la possibilità di usare droni avveniristici a fini di intelligence in maniera talmente sofisticata da far sentire sotto assedio la Repubblica islamica dell’Iran e i propri alleati. Ma non è tutto perché ad usare i droni sono anche il Cremlino per sostenere le proprie operazioni in Siria, la Turchia di Erdogan per braccare i guerriglieri curdi oltrefrontiera, Hamas da Gaza per minacciare le comunità del Negev, l’Egitto per stanare i jihadisti nel Sinai, gli Emirati per sostenere l’offensiva del generale Haftar contro Tripoli e una mezza dozzina di Paesi - inclusi alcuni europei - per ostacolare le cellule di Isis e monitorare ogni sorta di traffici illeciti attraverso le dune del Sahel. Questo è il ritratto dei cieli con cui confinano Nato e Ue

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