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La Stampa Rassegna Stampa
09.09.2019 Afghanistan & Cina: la linea di Donald Trump si conferma
Cronache di Giordano Stabile, Francesco Radicioni

Testata: La Stampa
Data: 09 settembre 2019
Pagina: 8
Autore: Giordano Stabile - Francesco Radicioni
Titolo: «Trump cancella i colloqui di pace con i taleban - Dagli attivisti appello a Trump: 'Liberaci dal regime cinese'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/09/2019, a pag.8 con il titolo "Trump cancella i colloqui di pace con i taleban" il commento di Giordano Stabile; a pag. 14, con il titolo "Dagli attivisti appello a Trump: 'Liberaci dal regime cinese' " la cronaca di Francesco Radicioni.


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Donald Trump

Ecco gli articoli:

Giordano Stabile: "Trump cancella i colloqui di pace con i taleban"

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Giordano Stabile

Stava per esserci un altro Camp David. Un accordo storico per mettere fine a 18 anni di guerra in Afghanistan. E anche per suggellare le capacità di «grande negoziatore» di Donald Trump. Ma è stato lo stesso presidente americano a fermare tutto a poche ore dal suo vertice «segreto» con «importanti leader» dei taleban. Una delegazione era arrivata negli Stati Uniti a incontrare il capo della Casa Bianca e il presidente afghano Ashraf Ghani, nel Maryland. Strette di mano che sarebbero rimaste negli annali. Poi, nella notte fra sabato e domenica, è arrivato il tweet, fulmineo. «Sfortunatamente, con l'illusione di costruirsi una posizione di forza - scriveva Trump - i taleban hanno rivendicato un attacco a Kabul che ha ucciso uno dei nostri grandi soldati. Ho immediatamente cancellato l'incontro e annullato i negoziati di pace. Che genere di gente ucciderebbe così tante persone per cercare di rafforzarsi?». L'attentato a cui si riferiva è stato condotto giovedì scorso. Quattordici le vittime, compresi un militare statunitense e uno romeno. I taleban lo avevano rivendicato subito. Si sentivano sicuri, con l'accordo ormai definito in tredici mesi di negoziati in Qatar, e pronti a chiedere di più, il ritiro totale delle truppe Nato, che ha ancora 17 mila uomini nel Paese. L'intesa però non piaceva né al governo afghano né a mezza Casa Bianca. A Trump è stato fatto notare anche un altro elemento, e cioè la trasmissione di un «documentario» sull'emittente talebana Al-Emara che esaltava l'11 settembre come «uno schiaffo in pieno volto all'America». A tre giorni dall'anniversario del più grave massacro terroristico sul suolo statunitense, era troppo. È stato lo stesso Pompeo a riassumere la nuova situazione. «I colloqui di pace – ha puntualizzato – sono sospesi. Gli Stati Uniti continueranno a tenere sotto pressione i taleban perché assumano impegni precisi». Poi ha aggiunto di ritenere il negoziato «morto, per adesso». L'inviato speciale della Casa Bianca, Zalmay Khalilzad, è stato richiamato in America. È uno dei protagonisti delle trattative, cominciate in segreto a Doha nel luglio del 2018. Khalilzad, un pashtun come i taleban, ha anche cittadinanza afghana. Aveva persino cercato di scalzare l'ex presidente Hamid Karzai alle elezioni del 2009, prima di essere stoppato da Barack Obama. Con Trump ha avuto carta bianca. Ha portato al tavolo dei colloqui un big talebano, Abdul Ghani Baradar, ex braccio destro del defunto Mullah Omar. E ha trovato l'accordo. Via 5400 soldati americani entro 135 giorni, chiusura di cinque basi, poi negoziati diretti fra Kabul e gli studenti barbuti per arrivare a un governo «di unità nazionale». Gli islamisti, che hanno governato con il terrore il Paese dal 1996 al 2001 e protetto Osama bin Laden, si erano impegnati a loro volta a combattere Al-Qaeda e l'Isis e a non attaccare mai più l'America. Promesse poco credibili dopo la nuova offensiva contro la città di Kunduz e due attentati in una settimana. I taleban non digerivamo il fatto che Trump alla fine aveva deciso di mantenere un contingente di 8600 uomini. Hanno forzato e hanno ottenuto il risultato opposto. Il più sollevato è il presidente Ghani. «Una vera pace – ha puntualizzato - sarà possibile soltanto quanto i taleban bloccheranno la violenza». Non credeva nell'accordo e temeva di fare la stessa fine dell'ultimo presidente «sovietico», Mohammed Najibullah, torturato e ucciso nel 1996, dopo che gli era stata garantita l'immunità. Anche gli oltranzisti talebani si sono mostrati soddisfatti. E sono tornati alle minacce: «Arriveranno molti terroristi, gli Usa perderanno credibilità e diverrà più visibile la loro posizione contro la pace». La guerra «infinita», oltre 100 mila morti, continua.

Francesco Radicioni: "Dagli attivisti appello a Trump: 'Liberaci dal regime cinese' "

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I grattacieli di Hong Kong

Anche se mercoledì la leader di Hong Kong Carrie Lam ha annunciato il ritiro della legge sull'estradizione - la miccia delle proteste che dall'inizio di giugno scuotono l'ex-colonia britannica - ieri in decine di migliaia hanno marciato fino al consolato Usa sventolando bandiere a stelle e strisce e facendo appello a Donald Trump a «liberare» Hong Kong. Nel 14° week-end consecutivo di proteste, i manifestanti hanno anche chiesto agli Stati Uniti di ratificare lo Hong Kong Human Rights and Democracy Act: la proposta bipartisan in discussione al Congresso che se approvata consentirebbe a Washington di applicare sanzioni su quelli che «soffocano le libertà fondamentali» a Hong Kong, oltre che imporre una verifica annuale «sull'alto livello di autonomia» della città che giustifichi le politiche preferenziali sul commercio e sugli investimenti. Nei giorni scorsi la speaker della Camera Nancy Pelosi ha detto che la legge potrebbe «riaffermare l'impegno degli Stati Uniti su democrazia, diritti umani e stato di diritto davanti alla repressione di Pechino». Invece, secondo Stephen Orlins, a capo del National Committee on US-China Relations, la proposta «rischia di essere controproducente». «Se Hong Kong perde il suo status doganale separato, questa potrebbe essere una campana a morto per la città». Ad agosto Trump aveva fatto appello a Pechino a gestire «in modo compassionevole» le manifestazioni a Hong Kong, e aveva tracciato un collegamento tra quanto avviene per le strade dell'ex-colonia britannica con la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti. Nelle scorse settimane più volte le autorità e i media di Pechino avevano accusato «forze straniere» di essere dietro le manifestazioni. Joshua Wong di nuovo arrestato La marcia fino al consolato Usa si è svolta in un clima pacifico, mentre nel tardo pomeriggio nuovi incidenti sono scoppiati tra manifestanti e polizia: l'ingresso a una stazione della metro dato alle fiamme, sulle strade erette barricate, mentre gli agenti sono tornati a usare i gas lacrimogeni in uno dei quartieri dello shopping. Intanto, ieri le autorità dell'ex-colonia hanno nuovamente arrestato Joshua Wong - uno dei volti più noti del Movimento degli Ombrelli del 2014 - mentre stava per imbarcarsi su un aereo che lo avrebbe portato in Germania e negli Stati Uniti: il 22enne era già stato arrestato alla fine di agosto per «assemblea illegale» e con il viaggio all'estero avrebbe violato i termini della cauzione.

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