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La Stampa Rassegna Stampa
04.09.2019 Hong Kong: a decidere è ancora la dittatura cinese, nel disinteresse dell'Occidente
Cronaca di Francesco Radicioni

Testata: La Stampa
Data: 04 settembre 2019
Pagina: 11
Autore: Francesco Radicioni
Titolo: «Hong Kong e la leader senza potere Lam: governo per conto di Pechino»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/09/2019 a pag.11 con il titolo "Hong Kong e la leader senza potere Lam: governo per conto di Pechino" la cronaca di Francesco Radicioni.

Per Hong Kong la soluzione è ancora lontana: la leader Carrie Lam non ha reale potere, a decidere è ancora la dittatura cinese.

Ecco l'articolo:

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Carrie Lam

«Se avessi scelta, la prima cosa che farei sarebbe dimettermi, dopo aver presentato profonde scuse». C'è emozione nella voce della leader di Hong Kong, Carrie Lam, mentre lascia intendere quello che a Hong Kong già da settimane in molti sospettano: più che dall'amministrazione locale, la più grave crisi politica in città fin dal ritorno dell'ex-colonia britannica alla Cina è gestita direttamente da Pechino. Nell'audio diffuso da Reuters e registrato la scorsa settimana nel corso di un incontro a porte chiuse con alcuni esponenti del mondo del business, la Chief Executive di Hong Kong ammette che è «molto, molto limitato» il potere nelle sue mani per trovare un compromesso con i manifestanti pro-democrazia che da tredici settimane scendono per le strade, mentre per la leadership di Pechino ora la questione è diventata un dossier «di sovranità e sicurezza nazionale». «Sfortunatamente - aggiunge Lam nell'audio diffuso dall'agenzia britannica - per Costituzione la Chief Executive deve servire due padroni, il governo centrale e il popolo di Hong Kong, così che gli spazi politici di manovra sono molto, molto limitati».

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I grattacieli di Hong Kong

Parlando con i giornalisti all'indomani della diffusione dell'audio, Carrie Lam ha però negato di aver mai presentato le sue dimissioni a Pechino, aggiungendo che è una sua scelta quella di rimanere alla guida di Hong Kong «in questa difficile situazione» per risolvere la crisi politica esplosa in città dall'inizio di giugno. «Su Hong Kong, Reuters è coinvolta politicamente», tuonava su Twitter il direttore del Global Times: una delle voci più nazionaliste nella Repubblica Popolare. «Le sue storie servono a sabotare le relazioni tra il governo locale e Pechino, usando il giornalismo come cortina fumogena». La scorsa settimana erano state sempre fonti dell'agenzia britannica a rivelare che la leader di Hong Kong avrebbe suggerito a Pechino il ritiro formale dell'emendamento alla legge sull'estradizione, trovandosi però davanti il veto del governo centrale nel fare qualsiasi concessione ai manifestanti. Beffarda nemesi per Carrie Lam che quando è diventata la prima donna a ricoprire il ruolo di Chief Executive di Hong Kong prometteva di voler ricomporre le divisioni e di ascoltare i giovani della città: solo qualche anno prima le strade di questo importante hub finanziario erano state occupate dal Movimento degli Ombrelli e in molti lamentavano l'assenza di canali di comunicazione tra il governo e i cittadini. Oggi i sondaggi dicono che il sostegno a Carrie Lam sia a picco, anche se non era popolare già nel marzo 2017 quando venne nominata Chief Executive ottenendo 777 voti all'interno di un comitato elettorale dominato dai pro-Pechino. Classe 1957, nata in una famiglia cattolica e a basso reddito, Carrie Lam ha frequentato una rigida scuola femminile di suore canossiane. Dopo aver studiato sociologia alla University of Hong Kong, l'attuale leader dell'ex-colonia britannica ha iniziato una quasi quarantennale carriera nell'amministrazione pubblica occupandosi di welfare e questioni abitative – dossier tra i più spinosi in città – prima di diventare nel 2012 la numero due del suo predecessore CY Leung. Nell'autunno del 2014 è stata il volto conciliante del governo con i manifestanti che chiedevano il suffragio universale, anche se avviò il dialogo con i leader degli studenti solo per dirgli che le loro richieste di elezione diretta del leader di Hong Kong non potevano essere accettate. Ieri Pechino ha ribadito il proprio sostegno all'amministrazione locale, anche se la portavoce dell'Ufficio per gli Affari di Hong Kong e Macao del governo ha chiarito che se la situazione in città dovesse avere un'ulteriore escalation la Cina può dichiarare lo stato di emergenza per disordini «che mettono a rischio l'integrità e la sicurezza nazionale».

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