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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/08/2019, a pag. 10 con il titolo "Il popolo di Hong Kong: una catena umana come nell'Urss del 1989", il commento di Gianni Vernetti; con il titolo 'Portai papà a quella marcia. I regimi temono chi non s'arrende', il commento di Francesca Paci.
Ecco gli articoli:
Gianni Vernetti: "Il popolo di Hong Kong:una catena umana come nell'Urss del 1989"
Il 23 agosto di 30 anni fa due milioni di cittadini dei Paesi baltici unirono in una gigantesca catena umana di oltre 600 km le allora Repubbliche Socialiste Sovietiche di Estonia, Lettonia e Lituania. Da lì a poche settimane sarebbe caduto il Muro di Berlino e con esso la costruzione totalitaria dell'Unione Sovietica e del Patto di Varsavia. Ma il 23 di agosto non fu scelto a caso. In quel giorno, si celebrava un altro triste anniversario per i popoli baltici (e per tutta l'Europa): la sigla del Patto Molotov-Ribbentrop del 1939 fra la Germania Nazista e l'Unione Sovietica, che divise l'Europa orientale in sfere d'influenza fra le due potenze e fu una delle cause scatenanti del secondo conflitto mondiale. Com'è noto, il patto di non aggressione fra Mosca e Berlino fu la premessa dell'invasione nazista della Polonia e dell'occupazione dei Paesi baltici da parte dei sovietici l'anno successivo. Di tutto ciò, sono consapevoli i giovani di Hong Kong che oggi hanno convocato una «Hong Kong Way» fra il confine con la Repubblica Popolare Cinese, la penisola di Kowloon e l'isola di Hong Kong: una catena umana di 40 km per ricordare la voglia di libertà e la sfida al regime sovietico delle repubbliche baltiche, e per ricordare al Governo di Hong Kong e di Pechino che la storia non si cancella. Un cittadino dei Paesi baltici su quattro partecipò alla catena umana che unì Vilnius, Riga e Tallin. Un residente su quattro della città di Hong Kong si è unito in gigantesche, e pacifiche, manifestazione di piazza per chiedere democrazia, libertà, stato di diritto e rispetto del patto sino-britannico che portò alla promulgazione della «Basic Law» che ha fin qui garantito la status «originale» della «città libera» di Hong Kong e che oggi Pechino vorrebbe sostanzialmente riscrivere in modo molto restrittivo. I cittadini dei Paesi baltici e i giovani di Hong Kong hanno qualcosa in comune: dimostrano che i regimi e le autocrazie possono essere sfidati in modo civile, democratico e non violento. La forza tranquilla della catena umana di cinquant'anni fa nei Paesi baltici dimostrò come fosse possibile per un popolo «merce di scambio» fra Stalin e Hitler, essere l'innesco di un domino che di lì a pochi giorni avrebbe portato i popoli europei ad essere nuovamente uniti e liberi. I giovani di Hong Kong dimostrano quale sia la vera sfida che l'intera Cina ha di fronte: essere un attore serio e responsabile di una comunità internazionale sempre più interdipendente, che non può separare la libertà dei commerci dalla libertà degli individui. Proprio mentre l'occidente sembra quasi annoiato dai propri successi democratici ed è scosso al suo interno da sempre più virulente pulsioni populiste e sovraniste, sono proprio i giovani e le donne dei regimi autoritari che ci dimostrano come lo «status quo» dei regimi illiberali può essere mutato. E i giovani di Hong Kong non sono soli. A Teheran e in tutto l'Iran, ogni mercoledì migliaia di donne aderiscono alla campagna dei «White Wednesday», levandosi il velo imposto dal regime anacronistico degli ayatollah, rischiando arresti e torture per assaporare, anche per pochi minuti, il «vento fra i propri capelli». A Mosca i blogger anticorruzione, i giovani che sfidano i divieti di manifestare e leggono la costituzione di fronte alle forze dell'ordine, dimostrano come il regime illiberale di Putin possa essere messo in discussione nelle sue fondamenta. L'Occidente e la comunità delle democrazie non devono commettere gli errori del passato: la diffusione della democrazia e dei diritti è una delle migliori garanzie per la stabilità internazionale e sostenere i giovani che si battono per la libertà nei regimi autoritari è un dovere morale.
Francesca Paci: 'Portai papà a quella marcia I regimi temono chi non s'arrende' Francesca Paci Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante lettere@lastampa.it |
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