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La Stampa Rassegna Stampa
01.07.2019 Ecco la nuova politica di Donald Trump
Commento di Stefano Stefanini

Testata: La Stampa
Data: 01 luglio 2019
Pagina: 25
Autore: Stefano Stefanini
Titolo: «Trump riscrive il copione della diplomazia»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/07/2019, a pag. 25, con il titolo "Trump riscrive il copione della diplomazia", il commento di Stefano Stefanini.

La nuova politica di Donald Trump - ormai cominciano ad accorgersene perfino alcuni degli "esperti" - è composta da due fasi concomitanti: disponibilità a parlare con chiunque e al tempo stesso chiarezza di idee e nessuna capitolazione di fronte all'avversario, anche quando promette la pace. In questo senso Trump ha fatto sua la lezione di Churchill, grande stratega che ha guidato l'Inghilterra alla vittoria nella Seconda guerra mondiale contro la Germania di Hitler.

Ecco l'articolo:

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Stefano Stefanini

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Winston Churchill, Donald Trump

In tre giorni Donald Trump ha rigirato le carte sul tavolo fra Usa, Cina e Corea del Nord. La sua non è diplomazia. La spiazza. Deve dimostrare risultati: la stretta di mano a Panmunjon non scalfisce l'arsenale nucleare di Kim Jong-un. Resta il fatto che il Presidente americano riscrive il copione dei rapporti internazionali sottraendolo alle cancellerie per elevarlo ai leader. L'incontro col dittatore nordcoreano era stato preceduto da quelli, al G20, con Vladimir Putin, Mohammed bin Salman e Xi Jinping, su identica lunghezza d'onda.
Pechino e Washington erano in rotta di collisione, con in vista una nuova raffica di dazi. Il colloquio di Osaka ha raddrizzato la barra prima di uno scontro esiziale per le rispettive economie, e per i consumatori americani. Trump ha anche fatto marcia indietro sulle sanzioni a Huawei che stavano mandando in tilt gli esportatori americani di software. Il negoziato commerciale Usa-Cina, interrotto da quasi due mesi riparte. Tregua temporanea o preludio a un trattato di pace? Intanto Trump incassa.
Da Xi incassa anche la garanzia che Kim Jong-un avrebbe accettato l'invito "estemporaneo" a un'improvvisata sulla famigerata zona demilitarizzata (Dmz) che da oltre mezzo secolo separa le due Coree. Xi era appena stato a Pyongyang. La politica internazionale diventa così uno scambio di favori fra amici, quando le cose vanno bene (meglio non pensare a quando vanno male). Trump ricambia attraversando disinvoltamente la Dmz. Per chi ricorda il muro di Berlino è come se Nixon o Carter si fossero incontrati con Brezhnev, sorridendo, a checkpoint Charlie.
C'è del sistematico nell'apparente improvvisazione di Donald Trump. Egli crede tanto nei rapporti diretti, personali quanto diffida della macchina delle diplomazie tradizionali. Non perché tema che lavori contro di lui – non certo il Dipartimento di Stato di Mike Pompeo. Si sente più in grado di arrivare al cuore dei problemi affrontandoli faccia a faccia con i suoi pari. Inutile perdere tempo con le seconde linee.
Trump non vuole la guerra con l'Iran. Non vuole neppure invischiarsi in trattative che a Teheran si fermino a metà della piramide. Tanto vale tagliare le gambe a Hassan Rouhani e Javad Zarif, pur amati e rispettati in Occidente. Al vertice c'è Ali Khamenei. Con chi dovrebbe trattare il Presidente degli Stati Uniti se non con la Guida Suprema? Non era così anche per Kim Jong-un, pure minacciato (all'Onu!) di annientamento?
Il modo con cui Trump gestisce le relazioni internazionali americane è pericolosissimo. Intanto, lo attrae fatalmente verso gli autocrati a scapito degli alleati democratici con l'effetto perverso di spingere questi ultimi verso il modello del leader forte e senza scrupoli. Cha fa scuola, basta guardarsi intorno. Secondo, solo il pieno successo, cioè Pyongyang che denuclearizzi o Teheran che rinunci alla destabilizzazione regionale, può giustificare la mano tesa al dittatore di turno. Altrimenti regimi che si macchiano delle peggiori violazioni di diritti umani finiscono legittimati.
Ci piaccia o meno, il Presidente americano esce dal tour de force asiatico con una marcia in più. Il suo metodo è tutto sostanza, quasi niente processo. Il paragone con gli europei, costretti ad un altro insonne Consiglio europeo su nomine di cui discutono da un mese, è ingeneroso. Ma riflette plasticamente un'Europa troppo innamorata del processo mentre la politica internazionale viaggia spesso sul binario dell'alta velocità. Non era sempre così. Abbiamo dimenticato i padri fondatori o il Sadat della visita a Gerusalemme o il Khol della riunificazione.

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