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La Stampa Rassegna Stampa
18.06.2019 Egitto, muore di morte naturale il fratello musulmano Morsi. Ma c'è chi difende la terrorista Fratellanza Musulmana
Cronaca di Francesca Paci, mentre il Foglio e il Corriere trovano scusanti per gli islamisti

Testata: La Stampa
Data: 18 giugno 2019
Pagina: 10
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Egitto, muore in aula l’ex presidente Morsi. Erdogan: un martire»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/06/2019 a pag.10 con il titolo"Egitto, muore in aula l’ex presidente Morsi. Erdogan: un martire" il commento di Francesca Paci.

Il FOGLIO a pag. 3 pubblica un editoriale che rimpiange Mohammed Morsi, presidente egiziano della Fratellanza Musulmana tra 2012 e 2013, prima della presa del potere da parte dei militari guidati da Al Sisi. Quello che il Foglio non scrive è che per le libertà è una minaccia maggiore un governo fondamentalista - come quello di Morsi - di una dittatura militare. Quest'ultima non è certamente la forma migliore di governo, ma considerando le condizioni in cui versa il mondo arabo non è neanche la peggiore.

Anche Davide Frattini sul CORRIERE della SERA sminuisce la politica islamista e fondamentalista della Fratellanza Musulmana e si sofferma sui dettagli della sofferenza in carcere di Morsi, che hanno una rilevanza personale ma sono secondari quando si tratta di politica.

Più equilibrata Francesca Paci, che inizia male, scrivendo dei tempi di Morsi come di anni "quando il grande Paese nordafricano sembrava in procinto di votare democraticamente per la prima volta nella sua storia", ma poi si sofferma sulle azioni criminose della Fratellanza Musulmana in Egitto, tra cui il sostegno incondizionato a Hamas, la negazione dei diritti e delle libertà, la persecuzione delle opposizioni e l'asse con la Turchia di Erdogan.

Ecco l'articolo di Francesca Paci: 

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Francesca Paci

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Mohammed Morsi

La notizia della morte dell’ex presidente egiziano Mohamed Morsi, «caduto a terra dopo un’udienza di 5 minuti e deceduto durante il trasferimento d’urgenza in ospedale», arriva sotto tono come era accaduto per la sua designazione alla corsa al dopo Mubarak, emersa a sorpresa per ovviare alle tante incandidabilità dei veri leader della Fratellanza Musulmana in quella primavera cairota di 7 anni fa, quando il grande Paese nordafricano sembrava in procinto di votare democraticamente per la prima volta nella sua storia.
Allora Morsi, uno dei funzionari del partito islamico più facili da incontrare nei mesi successi alla rivoluzione di Tahrir, era stato scelto e poi eletto, battendo di poco l’uomo della business community Ahmed Shafik, grazie ai voti o all’astensione dei giovani liberal ma anche di intellettuali come Alaa El Aswany, pronti a tutto per non riavere il Faraone.
Sembra passato un secolo. Chi conserva i biglietti da visita dei potenti di quei mesi ci legge i nomi di politici finiti nel giro di un anno dal palazzo presidenziale di Kasr Al Ittihadia ai manifesti dei ribelli asserragliati in Rabaa Al-Adawiya dopo la destituzione a furor di popolo di Morsi. In poche settimane sarebbero stati tutti messi al bando e i loro sostenitori massacrati. Secondo fonti interne, al momento dell’arresto da parte degli uomini del ministro della Difesa al Sisi il 3 luglio 2013, Morsi, che aveva nominato il giovane capo dell’esercito al posto del vecchio Tantāwī proprio per la sua devozione religiosa, si sarebbe infuriato giurando di avere l’America dalla sua parte.
Le cose non sono andate così. E per la verità erano volte al peggio diversi mesi prima, quando pur campeggiando sulla copertina di «Time» come il volto nuovo dell’Egitto con una moglie fieramente velata al pari della signora Erdogan, Morsi e i Fratelli Musulmani si erano trovati a fronteggiare la rabbia degli ex compagni di piazza per una gestione disastrosa e faziosa del potere culminata nella Costituzione a forte impronta islamista scritta a novembre 2012, in spregio alla maggioranza del Paese, ma anche il boicottaggio dei militari in attesa di vederli fallire. Allora, l’ex ingegnere diventato presidente, con tanto di nuovi costosi occhiali, aveva represso chi pure lo aveva votato, aveva sfidato la paura montante dei copti, aveva spalleggiato i salafiti nello scontro con la Corte Costituzionale anti-islamista. Perfino a Gaza, in quel primo e ultimo inverno da raiss, Morsi, paladino dei palestinesi, si era visto scavalcato nella popolarità e nella gadgetistica dall’emiro del Qatar al Thani in visita nella Striscia con un assegno di 250 milioni di dollari.

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Il simbolo della Fratellanza musulmana

Il resto è storia recente: la detenzione nel carcere dove si trovava l’ex collega Mubarak, nel frattempo riabilitatosi e oggi libero di giocare con i nipotini sui campi di golf; la denuncia da parte del figlio Abdullah con una delegazione britannica di condizioni di salute deteriorate e una situazione carceraria fatta di 23 ore di isolamento al giorno e notti sul pavimento di cemento; l’infinito processo da Morsi stesso definito «una farsa». Infine l’annuncio della morte dato dalle autorità egiziane sottotono, ma accompagnato dalla proclamazione dello «stato di emergenza in tutto il Paese» mentre la Fratellanza parla di «morte deliberata» e Ankara accusa «i tiranni del Cairo e lo chiama martire». Morsi aveva 68 anni, dopo la sua elezione a sorpresa l’Egitto è tornato a votare plebiscitariamente.

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