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La Stampa Rassegna Stampa
24.05.2019 La fuga dall'Iran dell'antropologo dissidente che ama la libertà
Commento di Marco Aime

Testata: La Stampa
Data: 24 maggio 2019
Pagina: 29
Autore: Marco Aime
Titolo: «L’uomo che si è fatto confine»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/05/2019, a pag.29 il commento di Marco Aimedal titolo "La casa del sidro".

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Marco Aime

«Per i miei antenati sconfitti: Walter Benjamin e Edward Said». Queste le parole con cui Shahram Khosravi dedica la sua «autoetnografia» a due personaggi che sui e di confini hanno vissuto e sono caduti. Iraniano, antropologo e dissidente, in Io sono confine (in uscita a fine maggio per Elèuthera, pp. 192, € 18) Khosravi ci offre un racconto etnografico della sua fuga dall’Iran verso l’Europa e del suo diventare viaggiatore illegale. Non a caso sceglie di non definirsi «migrante», proprio per contestare la gerarchia imposta dall’odierno regime delle frontiere alla mobilità, che discrimina tra viaggiatori «qualificati», come i turisti, e quelli «non qualificati», come migranti, profughi e persone prive di documenti.

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Shahram Khosravi


Tutto inizia in una fredda notte del febbraio 1987, quando l’autore si trova al confine tra Iran e Afghanistan: «Ancora un passo - pensai - e sarò altrove. Quando metterò piede sull’altro lato della strada non sarò più la stessa persona. Se compio questo passo sarò un “clandestino” e il mio mondo cambierà per sempre. Quella notte compii il passo, inaugurando la mia odissea di “illegalità”». Comincia così una lunga serie di peripezie, che lo condurranno fino in Svezia. Una storia di confini.
Confini che costruiscono una gerarchia dettata dalle frontiere, tra chi può passare e chi no, perché, come dice il poeta finlandese Eero Suvilehto, «i confini impediscono ai poveri di entrare dentro, non ai ricchi di uscire». Confini che sempre di più condizionano le vite degli esseri umani tanto dal punto di vista materiale, quanto da quello simbolico. Viviamo in un’epoca di muri, reali e simbolici. Reali, perché basta pensare che solo in Europa, per ogni chilometro di Muro di Berlino abbattuto, ne sono stati eretti 142, ma anche le barriere immateriali, giuridiche, politiche, etiche non sono meno robuste. Il loro significato simbolico è ben più grande della loro presenza fisica. Le frontiere producono nuove soggettività e si presentano come eterne, come se fossero sempre esistite, come un dato ineluttabile.
I confini degli Stati-nazione sono entrati nell’ordine naturale delle vite umane. Sono percepiti non solo come i confini di uno Stato, ma anche come il punto di riferimento essenziale per l’identità nazionale. Fondati su un modo di pensare capitalista e discriminatorio in termini di razza, i confini controllano il movimento delle persone. Nell’epoca dell’ineguaglianza globale dei nostri diritti di circolazione, la libertà di movimento di alcuni è resa possibile solo dall’esclusione sistematica degli altri. Altri che però non si rassegnano all’immobilità a cui sarebbero condannati.
Siamo una specie da sempre in movimento e continuiamo a esserlo. Il racconto di Khosravi è quello di tanti altri individui che cercano una vita migliore, fatto di peripezie, violenze, abusi, dinieghi. «In quest’era di feticismo dei confini, oscurata dall’ombra dei muri in costruzione», si chiede, «c’è una domanda urgente, politica ma anche intellettuale, cui va data risposta: che cosa si vede se guardiamo il confine dall’altra parte?».
Si scopre, per esempio, che quelli che dalle nostre comode case chiamiamo trafficanti di uomini sono percepiti come coloro che ti salvano la vita, che realizzano il tuo sogno, da chi è costretto a viaggiare illegalmente. Si scopre allora quanto può valere un passaporto, per chi non può averlo, per chi non lo usa solo per andare in vacanza, ma per sopravvivere. Alcuni giovani viaggiatori rimasti senza soldi vendono il loro, ci racconta l’autore, che riesce a raggiungere la Svezia grazie a un passaporto greco (perché un iraniano può passare per greco: potenza del pregiudizio!).
Giunto finalmente in Europa, nella democraticissima Svezia, le difficoltà non sono però finite. Khosravi ci racconta come viene vissuta l’illegalità dei migranti nel contesto svedese. In che modo gli immigrati «illegali» gestiscono il lavoro, l’alloggio, l’assistenza sanitaria, la sicurezza e una vita familiare in assenza di accesso a disposizioni formali. Quali sono le loro strategie di sopravvivenza. Arrivando a concludere che è sempre una questione di documenti: chi ne è privo non è escluso, ma di fatto lo è, non è espulso, ma nemmeno considerato parte della società in cui è incluso, ma non membro.
Quella di Khosravi, che oggi insegna antropologia a Stoccolma, è un’indagine a tutto campo sull’attuale proliferare e indurirsi delle frontiere e su concetti chiave come cittadinanza, Stato-nazione, diritti, disuguaglianza. Nell’investigare quel «feticismo dei confini» che segna la nostra epoca, l’autore si affida alle riflessioni sul tema di autori come Kafka, Benjamin e Arendt, connettendole con l’analisi dei flussi migratori in atto, o meglio dei suoi protagonisti clandestini, trafficanti di esseri umani compresi. L’attenzione è spesso rivolta ai riti e agli spettacoli messi in scena durante l’attraversamento delle frontiere. Questo inedito «sguardo illegale» consente di mettere a nudo le retoriche delle democrazie occidentali insieme al terribile sfruttamento planetario dei migranti. Questa ricerca sul campo, vissuta in prima persona, diventa così una narrativa di fine ventesimo secolo, attraverso gli occhi di un migrante, una vera e propria cartografia etica e politica del mondo contemporaneo.

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