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La Stampa Rassegna Stampa
16.05.2019 Iran-Usa, cresce la tensione. Ma l'articolo di Giordano Stabile è sbilanciato pro Iran
Tenero con gli ayatollah, mentre la Stampa dedica 5 pagine di elogio a Angela Merkel: immeritati.

Testata: La Stampa
Data: 16 maggio 2019
Pagina: 10
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Razzi puntati sulle basi Usa, Teheran porta la sfida all'Iraq»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/05/2019, a pag.10 con il titolo "Razzi puntati sulle basi Usa, Teheran porta la sfida all'Iraq", la cronaca di Giordano Stabile.

Giordano Stabile è tenero con l'Iran, che mette sullo stesso piano degli Stati Uniti. Inoltre Stabile presenta una carrellata di opinioni che sono in maggioranza pro-Iran, incluso l'ayatollah supremo Ali Khamenei e il Ministro degli Esteri Javad Zarif. Tra le opinioni anti-Iran quella del giornalista Anshel Pfeffer di Haaretz (giornale israeliano di estrema sinistra). Come se non bastasse, Stabile scrive di "mosse belliche americane", riconducendo a Washington la responsabilità delle tensioni attuali.

La Stampa, oggi, dedica le prime 5 pagine ad Angela Merkel e alla sua idea di Europa. Questo spazio enorme è condiviso dal quotidiano torinese con Le Monde, il Guardian e altre testate europee. Il ritratto di Merkel è un elogio totale. Eppure i punti critici delle politiche della sua Germania non sono pochi, come ha mostrato su IC recentemente Benjamin Weinthal:  si dichiara pro Israele a parole, ma poi la Germania vota contro nei consessi internazionali: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=465&id=74634

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Angela Merkel

Ecco l'articolo:

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Giordano Stabile

L’Iraq torna al centro del campo di battaglia fra Stati Uniti e Iran, così come lo era stato nel 2007, al culmine dell’insurrezione sciita contro le truppe americane. Anche in quel frangente i Pasdaran manovravano le milizie oltranziste per mettere in difficoltà il principale avversario della Repubblica islamica. Uno scenario che può ripetersi moltiplicato per cento in caso di guerra aperta fra Washington e Teheran e che ha spinto ieri il dipartimento di Stato a evacuare tutto il «personale non indispensabile» dall’ambasciata di Baghdad e dal consolato di Erbil. Restano però da 5 a 8 mila soldati impegnati nella missione anti-Isis, anche loro possibili bersagli. Tanto che la Germania, dopo l’Olanda, ha deciso di ritirare i suoi istruttori militari per via delle «crescenti tensioni nella regione». E anche l’ambasciata Usa a Beirut ha invitato i concittadini a alzare «la vigilanza».

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La minaccia a Bassora
Il leader di Kataeb Hezbollah, una delle milizie più agguerrite e allineate con l’Iran, ha già minacciato più volte le truppe americane. Ma dietro l’improvvisa visita a Baghdad del segretario di Stato Mike Pompeo, lunedì scorso, c’è un altro tipo di allarme, rivelato dall’ex vicepresidente iracheno Iyad Allawi, vicino a Washington, e cioè che «l’Intelligence israeliana ha ottenuto foto sul terreno della base per missili balistici vicino a Bassora», con gli ordigni «puntati verso le basi americane nel Golfo». Pompeo ha invitato la leadership irachena, a partire dal premier Abdel Abdul Mahdi, a «tenere a bada» le milizie perché altrimenti gli Usa avrebbero «risposto con la forza». Ma è proprio l’uso di forze alleate, in una guerra ibrida che non la espone direttamente, l’arma segreta di Teheran.
Lo si è visto domenica scorsa con l’attacco a quattro petroliere saudite ed emiratine nel Golfo, danneggiate in maniera chirurgica. Lo si è visto due giorni fa, quando droni di fabbricazione iraniana Qasef-1, pilotati dalla milizia yemenita degli Houthi, hanno colpito due stazioni di pompaggio di un oleodotto saudita a soli 250 chilometri di distanza da Riad. L’analista israeliano Anshel Pfeffer nota come l’Iran stia «scegliendo i tempi e i modi» del confronto con gli Stati Uniti, per mettere in evidenza i punti deboli dello schieramento occidentale. Le mosse belliche americane, come l’invio della portaerei Abraham Lincoln e dei bombardieri strategici B-52 non hanno invece «uno scopo chiaro», così come l’ipotesi dell’arrivo di «120 mila soldati» americani nella regione, uno sviluppo poi ridimensionato dalla stessa Casa Bianca.
Il motivo è che Washington per poter attaccare ha bisogno prima di districarsi dalle posizioni deboli ed esposte nella regione, in primis le truppe dispiegate in Siria e Iraq. L’analista libanese Elijah J. Magnier ricorda come nel gennaio del 2007 soldati americani avessero catturato «alcuni ufficiali dei Pasdaran all’ufficio di collegamento di Erbil», sospettati di attività ostili. La risposta arrivò «in pieno giorno a Karbala» quando la milizia Asaeb Ahl al-Haq, legata all’imam Moqtada Al-Sadr, assaltò un posto di comando statunitense e uccise cinque militari. Allo stesso modo l’azione di sabotaggio delle petroliere e gli attacchi agli oleodotti sono facilmente ascrivibili a una strategia iraniana ma molto difficili da contrastare senza incendiare l’intero Medio Oriente.

Le strade verso il dialogo
L’Iran conta su questo freno per evitare un conflitto aperto. La guida suprema Ali Khamenei ha indicato una via prudente e ha detto che l’Iran «non vuole una guerra» anche se le tensioni possono andare «fuori controllo». Il ministro degli Esteri Jawad Zarif ha accusato a sua volta «individui» in seno all’Amministrazione Trump, cioè il consigliere alla Sicurezza John Bolton, di condurre una campagna personale, senza l’avallo del presidente. Un modo per tenere aperta la porta della mediazione. Zarif ha continuato il suo viaggio in India e Giappone, due fra i principali clienti del greggio iraniano, che Teheran vuol convincere a non seguire le sanzioni americane. Il principale terreno di scontro, per ora, resta l’economia.

 

 

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