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La Stampa Rassegna Stampa
26.04.2019 Gerusalemme: il velo in mostra
Commento di Fabiana Magrì

Testata: La Stampa
Data: 26 aprile 2019
Pagina: 31
Autore: Fabiana Magrì
Titolo: «Quel velo che confonde le tre grandi religioni»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/04/2019, a pag.31, con il titolo "Quel velo che confonde le tre grandi religioni ", il commento di Fabiana Magrì.

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Fabiana Magrì

Una donna, velata di nero dalla testa ai piedi, sbuca dalle strade di Mea Shearim, il quartiere haredi (ultraortodosso) di Gerusalemme. Entra in Città Vecchia dalla porta di Damasco e si ferma davanti al portone del monastero greco-ortodosso sulla via Dolorosa. Da dietro è quasi impossibile dire se sia una suora, una donna musulmana o un’ebrea ortodossa.
Negli ultimi vent’anni è sempre più frequente vedere donne ebree e musulmane nascondersi sotto strati di scialli, tuniche e veli che richiamano le monache ortodosse per aderire a regole religiose di modestia. La nuova mostra all’Israel Museum di Gerusalemme, Veiled Women of the Holy Land: New Trends in modest dress (Donne velate della Terra Santa. Nuove tendenze nell’abito modesto), racconta questa tendenza con oggetti, interviste e conversazioni condotte dalla curatrice No’am Bar’am-Ben Yossef sul significato del velo nel contesto interculturale israeliano. «Per 4 anni - racconta - ho cercato di individuare somiglianze e significati religiosi, politici, di protesta o provocazione di questo look estremo. Ci vuole una grande sensibilità per ottenere la fiducia delle donne, perché si aprano».

 

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Confessioni video
L’esposizione solleva molte questioni: gli strati che coprono il corpo della donna proteggono o riflettono secoli di oppressione? E quali reazioni provocano? Oltre a manichini, fotografie e testi, la mostra cerca di rispondere alle domande con una video-installazione dell’artista Ari Teperberg, You Need to be Ready to Let Go of What the Eye Sees (Devi essere pronto a lasciar andare ciò che l’occhio vede). Se le similitudini derivano dal desiderio comune di assomigliare alle matriarche - Sarah, Rebecca, Rachele e Lea per l’ebraismo, le mogli di Maometto per l’islam e la Vergine Maria per il cristianesimo - quello che emerge dalla mostra sono soprattutto contraddizioni e paradossi. Anche all’interno dello stesso gruppo religioso. «Siamo tutti esseri umani con le nostre debolezze. Nel mio monastero - racconta una suora nel video in mostra - siamo in venti e sempre in conflitto. Alcune dormono con il velo, io lo tolgo. Questo mi rende meno suora delle altre? Certo che no. Vivere in convento è importante perché insegna a rispettare le altre».

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L’«halakha», la legge religiosa ebraica, obbliga le donne sposate a coprire il capo ma non l’intero corpo. Tuttavia negli anni Duemila, dopo la seconda Intifada, alcune donne «haredi» hanno cominciato a indossare tuniche sempre più lunghe e scure. «Finché una donna si mantiene modesta e fa attenzione a non attirare lo sguardo degli uomini, eccetto suo marito - spiega un’ebrea ortodossa -, li salva, impedendo loro di peccare. Mi sento come se Dio mi avvolgesse con il suo amore, come se camminassi scortata».
A Mea Shearim, dove ci sono un’ottantina di famiglie in cui le donne si velano e la tendenza è in crescita, la loro comparsa ha suscitato reazioni violente. L’establishment «haredi» le percepisce come ribelli e la modestia diventa paradossalmente provocazione. Spesso i mariti, in imbarazzo, negoziano un compromesso, ottenendo che le mogli si coprano completamente solo quando escono da sole. In alcuni casi il velo è stato motivo di rottura familiare. «Nel momento in cui ho indossato il niqab ero sia eccitata sia spaventata. Temevo che la mia vita finisse ma ora le persone mi trattano con rispetto. Mi sento al sicuro come una perla dentro l’ostrica». «Ciascuno di noi - fa notare la curatrice - ha un velo virtuale sugli occhi, quello del pregiudizio. La mostra è un invito a calarlo e ascoltare senza giudicare».

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lettere@lastampa.it

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