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La Stampa Rassegna Stampa
24.04.2019 Start-up: ecco il modello Israele
Commento di Dario Peirone

Testata: La Stampa
Data: 24 aprile 2019
Pagina: 32
Autore: Dario Peirone
Titolo: «A ogni start-up il suo ecosistema»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/04/2019, a pag. 32 il commento di Dario Peirone con il titolo "A ogni start-up il suo ecosistema".

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Dario Peirone

Il ruolo degli economisti è di studiare e capire i fallimenti del mercato», spiegava Jean Tirole, Nobel per l’economia, nell’auditorium della Financial University di Mosca lo scorso novembre. Questa visione piace molto a chi governa, perché, quando il mercato fallisce, è lo Stato ad intervenire. In questo approccio si dà per scontato che sia noto come e quando i mercati «funzionano». Purtroppo su questo vi sono molti dubbi.
A sentire i politici i «fallimenti» del mercato sarebbero ovunque, costringendo i governi ad intervenire per «educare» cittadini e imprese. Eppure, conoscere bene il funzionamento dei mercati sarebbe utile, anche perché servirebbe a capire come, in molti casi, incentivi opportunamente configurati consentirebbero alle forze economiche di agire liberamente. Uno dei campi in cui i governi si esercitano è quello dell’innovazione. Il processo è ritenuto costoso e pieno di rischi. In realtà, le tecnologie digitali hanno mutato lo scenario: da un lato vengono abbattute le barriere all’ingresso di nuovi entranti nel mercato e, dall’altro, chi arriva per primo può crescere e «prendere tutto». Questi sono ottimi incentivi e quindi dov’è il problema?

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Il punto è che nell’«economia della conoscenza» nessuno innova isolatamente. Il processo si nutre della conoscenza proveniente dalle interazioni tra gli attori nell’ecosistema (multinazionali, start-up, Pmi, università ecc.) e la creazione delle reti necessita di un «ecosistema», attraverso cui ogni impresa può nutrirsi.
I dati ci dicono che l’innovazione gioca un ruolo fondamentale per la competitività. Il problema è che, nel momento in cui intervengono, i governi difficilmente lasciano la presa. Con effetti perversi. I dati Ocse mostrano che il sostegno pubblico alla ricerca di base (l’unico momento in cui dovrebbe esserci) appare ovunque in diminuzione, mentre in molti Paesi cresce il sostegno agli investimenti per la ricerca applicata delle imprese attraverso incentivi fiscali. Questo però comporta sempre meno fondi per la ricerca di base, quella che può portare alle innovazioni radicali, fornendo invece sempre più benefici a soggetti che dovrebbero essere già incentivati dalle possibilità di profitto.
Al contempo i governi vogliono controllare il processo innovativo attraverso politiche in materia di start-up, finanza e trasferimento tecnologico. Molto interesse ha ottenuto il piano del ministro dello Sviluppo Economico Di Maio sull’innovazione. Il piano prevede investimenti più forti attraverso una strategia controllata dal ministero, allocazione forzosa di una parte dei piani di risparmio, investimenti da parte di Cassa Depositi e Prestiti. Di certo, se verrà attuata, non si tratterà di una strategia «neutrale». Potrebbe avere successo? Uno sguardo alle esperienze internazionali aiuta a rispondere.
Il Regno Unito ha attuato politiche basate sull’idea di un ruolo sociale delle università, incoraggiando lo sviluppo di ecosistemi di trasferimento tecnologico. Il calo dei finanziamenti pubblici e lo stanziamento di fondi per le attività di «relazione università-impresa», a scapito di ricerca e didattica, ha però portato risultati insoddisfacenti. A parte alcuni casi positivi, viene sottolineata in molti report la mancanza di domanda da parte del settore privato per gran parte delle conoscenze sviluppate dalla ricerca universitaria, nonché il numero eccessivo di spin-off non competitive.
Peculiare il caso di «Start-up Chile», programma avviato dal governo cileno, con l’obiettivo di attirare imprenditori stranieri, così da sviluppare un ecosistema di start-up. I report riconoscono che si è riusciti a promuovere una cultura imprenditoriale, ma che allo stesso tempo non esiste un vero ecosistema in grado di assistere gli imprenditori. Questo accade perché spesso le imprese selezionate dal programma non operano nei settori in cui il Cile può offrire dei vantaggi competitivi.
Infine Israele, Paese che negli Anni 80 creò l’«Office of the Chief Scientist», attraverso il quale organizzare le attività di ricerca e lo sviluppo e di promozione industriale. I primi tentativi però non funzionarono: la svolta arrivò con la creazione di un mercato del venture capital negli Anni 90 e la privatizzazione degli incubatori. Queste istituzioni, male organizzate, in cui start-up svolgevano ricerche di poco o nullo interesse per il mercato, vengono poste in mano ad investitori privati che hanno tutto l’interesse a rivoltarle da cima a fondo.
Anche per il venture capital i primi tentativi di dirigere il sistema vanno a vuoto. Così nel ’92 nasce il programma «Yozma», in cui il governo era co-investitore di fondi tra finanziatori israeliani e imprese straniere. Il programma ha creato l’industria e il mercato del venture capital in Israele, oggi uno dei più importanti: dopo 10 anni i fondi «Yozma» valevano quasi 3 miliardi dollari e oggi il mercato si autoalimenta.
I tre casi mostrano successi e criticità, in particolare riguardo alla strategia per la creazione di un mercato in grado di sostenersi e generare valore anche senza fondi pubblici. La soluzione, però, deve essere basata su una strategia sostenibile che porti a mercati funzionanti. Con meno clamore mediatico, intanto, il ministero della Ricerca e il Cnr collaborano all’iniziativa InnovAgorà, in programma a Milano dal 6 all’8 maggio, in cui per la prima volta ci sarà una presentazione a imprese e investitori dei risultati del sistema di ricerca pubblico nazionale. L’approccio appare più «leggero» e orientato a creare un luogo d’incontro tra ricerca e impresa, primo passo verso un mercato del trasferimento tecnologico.
Forse è meglio studiare quando e come i mercati «funzionano», prima di intervenire con ambiziose strategie per sanare presunti «fallimenti», che in realtà sono e restano soprattutto politici.

 

 

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