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La Stampa Rassegna Stampa
14.04.2019 Algeria: un articolo alla moda sessantottina, ci fidiamo di più di Boualem Sansal
Reportage di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 14 aprile 2019
Pagina: 8
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Nonne e nipoti alla battaglia d'Algeri 'noi rivoluzionarie e casalinghe'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/04/2019 a pag.8 con il titolo "Nonne e nipoti alla battaglia d'Algeri 'noi rivoluzionarie e casalinghe'" il commento di Francesca Paci

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Un po' troppo 'quant'è bella la rivoluzione' il tono del pezzo di Francesca Paci, ci fideremmo di più se la Stampa intervistasse Boualem Sansal, il coraggioso intellettuale che vive in Algeria e scrive a rischio della propria vita che cosa significa essere sotto una dittatura islamica. Meno interventi di algerini che vivono in Francia e più interviste a chi racconta il vero islam al potere, vivendolo nel proprio paese.

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Francesca Paci

Il giorno dopo il venerdì del gran rifiuto il centro Algeri resta la trincea degli ultimi due mesi: gli stendardi sui balconi in ferro battuto, i cordoni di polizia, le bancarelle con i gadget e gruppi di manifestanti irriducibili che, come ogni giorno, tengono viva la protesta con slogan e tamburi. Mancano solo le donne, sì, le leggendarie protagoniste di questa come di tutte le pietre miliari della storia algerina sono al mercato, nei negozi, dovunque tranne che in piazza. «Abbiamo sempre fatto il doppio lavoro, la rivoluzione e poi un mestiere per campare, la casa, la famiglia» scherza Saida, 35 anni, commessa in un bazar di magliette in rue Hassiba Ben Boualu. Ieri era alla Grand Poste insieme a centinaia di migliaia di connazionali, ma a metà pomeriggio ha riavvolto la bandiera per tornare a occuparsi della madre malata. Sono un capitolo a parte le donne algerine, quelle che la scrittrice Assia Djebar ha raccontato a tutto tondo, magari povere, marginalizzate, ma autonome perfino nel suicidarsi con le bombe nascoste sotto la gonna nella guerra d'indipendenza. «Sarà che ci hanno forgiato 130 anni di occupazione francese ma abbiamo il femminismo nel Dna» s'infervora Yasmina Chouaki, 65 anni, comunista e anima dell'associazione Tharwa N'Fadhma N'Soumer, un avamposto rosa che all'inizio degli anni `90 il presidente del Fronte di Salvezza Islamico bollò come «le figlie di Giovanna d'Arco». Legge al Watan nel parco Sofia, dove ogni pomeriggio si radunano gli attivisti del Raj Rassemblement Actios Jeunesse. Alle studentesse di medicina Alina e Lina che la riconoscono racconta del fratello ammazzato nel 1994 dai sicari del Gia: «Ero nel mirino anche io, camminavo guardandomi alle spalle ma sono sopravvissuta senza piegarmi agli islamisti e oggi torno a battermi per il futuro della mia nipotina di 4 anni, il sistema ha le ore contate». Nonne e nipoti marciano insieme dal 22 febbraio, seguite sul principio con più incertezza dalle madri, la generazione paralizzata dalla guerra civile. E quando alla Gran Poste si è materializzata Djamila Bouhired, l'eroina del Fronte di Liberazione Nazionale immortalata da Gillo Pontecorvo nella Battaglia di Algeri e dal mito del cinema egiziano Youssef Chahine, che gli studenti hanno incassato il sostegno più pesante, il pantheon nazionale. «Non so se questa sia una rivoluzione, ma ci assomiglia molto e in piazza ci sono i miei figli, non amo fare dichiarazioni, le rivoluzioni non si dicono bensì si fanno e stavolta non lasceremo rubare ai giovani quello che dopo l'indipendenza fu rubato a noi» ragiona Djiamila al telefono, ha la voce stanca ma si carica parlando. Sarà l'immaginario, eppure non c'è un angolo di Algeri dove non spunti una Djiamila. Nei meandri archetipi della Casbah, dove l'85enne Zohra porta le sporte con le baguette per il pranzo risalendo un pendio che fiaccherebbe una ginnasta, come nei comitati di quartiere che in queste ore animano la città. «Da settimane il regime ci concede un pezzo alla volta, dobbiamo resistere, ci siamo riappropriati dello spazio pubblico ed è il momento di organizzarci in un'assemblea constituente» spiega Sabrina Rahmiani, 50 anni, oculista e responsabile dell'Observatoire Citoyen Algerien. C'è un pragmatismo nelle sue parole che sfugge al testosterone sempre in agguato tra le barricate. Gli algerini hanno iniziato una partita a scacchi che richiede cuore e di testa. La piazza rifiuta i leader e il solo portavoce riconosciuto è per ora l'avvocato Bouchachi. Poi ci sono le donne. C'è Zouriba Assoul, segretario dell'Union pour le Changement et le Progres (UCP),1'unico partito in piazza senza sigla, ma con una voce ascoltata. E' c'è Louisa Hamadouche, politologa che si divide tra l'ateneo e la Gran Poste. «Non possiamo correre alle elezioni senza riformare il processo elettorale, perché siamo sì una democrazia con media e partiti ma in un quadro che impedisce l'alternanza» osserva la Hamadouche su una pachina a pochi metri dai blindati. C'è la teoria e c'è la pratica: «Chi usa il cervello sa che non si può chiedere la destituzione del generale Gaid Salah, la sola chance è una transizione negoziata con l'esercito che lo porti a ritirarsi gradualmente dalla politica». Poi guarda l'orologio, prende la ventiquattore e corre via.

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