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La Stampa Rassegna Stampa
28.01.2019 Shoah: Leone Sinigaglia, il compositore tradito e derubato dal vicino italiano, agli eredi mai restituiti i beni
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 28 gennaio 2019
Pagina: 23
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Leone Sinigaglia tradito dal suo caro vicino di casa»

Riprendiamo dalla STAMPA del 27/01/2019, a pag.23 con il titolo "Leone Sinigaglia tradito dal suo caro vicino di casa" il commento di Elena Loewenthal.

A destra: Leone Sinigaglia

Il non meglio identificato "F.T.", vicino di casa del compositore ebreo Leone Sinigaglia, non solo lo tradì, ma si impossessò della sua villa con parco a Cavoretto, sulla collina torinese. Come per le opere d'arte trafugate dai nazisti e mai restituite agli eredi degli ex proprietari, ebrei assassinati durante la Shoah, lo stesso dovrebbe valere per i beni immobili, come case e ville. F.T. avrà lasciato quel bene ai propri eredi, i quali ne dovrebbero rispondere per la restituzione, come avviene per le opere d'arte.
Perché in questo caso si adottano due pesi e due misure? Segnaleremo a chi di dovere questo caso raccontato da Elena Loewenthal, dell'autore non ci sono soltanto le iniziali, il nome è noto.

Ecco l'articolo: 

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Elena Loewenthal

Leone Sinigaglia morì di crepacuore il 16 maggio 1944 quando due miliziani fascisti spuntarono sulla porta della sua stanza all’Ospedale Mauriziano di Torino per arrestarlo. Se è assai raro che la morte faccia regali del genere, in quegli anni tremendi ogni tanto capitò, risparmiando disgrazie ben peggiori. Leone Sinigaglia, uno dei maggiori musicisti italiani del tempo, si era da poco nascosto nell’ospedale su consiglio di un suo caro amico, F. T. (il rispetto dovuto ai discendenti consiglia l’uso delle sole iniziali).
Nonostante le leggi razziali e l’occupazione nazista, Leone e sua sorella Alina erano rimasti in città, alla mercé di tutto. Forse quell’uomo che aveva vissuto gli onori di una celebrità italiana ed europea, che era stato ospite abituale delle stanze reali dove andava a insegnare pianoforte alla Regina, a chiacchierare con lei e, stando ai pettegolezzi torinesi, intrattenerla (a questo punto i puntini di sospensione erano d’obbligo), confidava nella celebrità come scudo di fronte agli obbrobri della storia. Un’ora più tardi Alina scrisse un disperato messaggio a Luigi Rognoni, musicologo e amico, per raccomandargli «con tutta l’anima la musica di Leone per l’avvenire». Tre settimane dopo moriva anche lei.

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F.T. in attesa di dargli nome e immagine

La storia di Leone Sinigaglia in quegli anni è fitta, tragica e assurda come quella di milioni di altre persone. È però emblematica di quella zona grigia di cui parla Primo Levi, fatta non di male assoluto bensì di una inarrestabile sequenza di ingiustizie e meschinità.
Chi riferì alla polizia fascista che Leone era nascosto in ospedale? Che ne fu dei suoi beni? Il musicista e sua sorella non avevano lasciato eredi diretti. Leone non si era sposato né aveva avuto figli, Alina era stata sposata per breve tempo, non era mai diventata madre: i due fratelli vivevano in una simbiosi di affetto e devozione reciproca, fra Torino e la casa di Cavoretto, arroccata sul pendio che guarda verso la città, con il suo bel giardino.

Negli archivi dell’Egeli, l’ente preposto all’inventario e al sequestro dei beni ebraici dal 1938, c’è uno spesso fascicolo dedicato a questo bene immobile. Tra i nomi che compaiono più spesso vi è certamente quello di F. T., l’amico che lo aveva fatto nascondere al Mauriziano e che era suo vicino di casa a Cavoretto. Era un artista anche lui, scultore e litografo: Leone aveva comprato alcune sue opere. Si fidava di lui. Un giorno F. T. riceve le chiavi della casa di Cavoretto. Che viene sequestrata e depredata di tutto quel che vi si trova, compresi gli alberi del giardino. Finita la guerra, Leone e Alina non ci sono più, ed è F. T. che «tratta» per la restituzione dei beni sequestrati a Sinigaglia: poi, il primo giugno 1945 risulta amministratore della villa ed esattamente due mesi dopo la proprietà passa definitivamente a lui in forza di legato.
Il passato non è mai un libro aperto. La memoria deve sempre fare i conti con le assenze, con i silenzi - anche se ha di fronte un fascicolo corposo come quello della villa Sinigaglia a Cavoretto. Non sapremo mai perfettamente come sono andate le cose in quel così frettoloso passaggio di proprietà, fatto più di silenzi che di parole. Nella zona grigia di cui parla Primo Levi infinite volte, allora, la fedeltà e l’amicizia si sono diluite nell’opportunismo, nella meschinità, nel tradimento.

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