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La Stampa Rassegna Stampa
18.01.2019 Bashar al Assad, il despota riabilitato dalla Lega araba
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 18 gennaio 2019
Pagina: 10
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Ambasciatori, presidenti e Lega araba. Tutti in fila da Assad, il raiss riabilitato»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/01/2019, a pag. 10, con il titolo "Ambasciatori, presidenti e Lega araba. Tutti in fila da Assad, il raiss riabilitato" il commento di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

Otto anni fa volevano abbatterlo. Oggi i leader arabi sunniti si preparano a riabbracciare Bashar al-Assad, a un passo dall’essere riammesso fra le nazioni “sorelle” che lo avevano espulso dalla Lega araba del 2011. Quando a dicembre il raiss è andato ad accogliere il presidente sudanese Omar al-Bashir all’aeroporto internazionale di Damasco i media siriani hanno pubblicato le foto dei due che si abbracciavano, sul tappeto rosso steso davanti alla scaletta dell’aereo russo appena arrivato da Khartoum. «Altri arriveranno» era la scritta in sovrimpressione, diventata un hashtag popolare fra i sostenitori del regime.
E’ l’operazione «tornare alla normalità» che Assad ha lanciato dopo la conquista delle province di Daraa e Quneitra. Anche se restano da riconquistare la provincia di Idlib e il Nord-Est controllato dai guerriglieri curdi appoggiati dagli Stati Uniti, il raiss ritiene vinta la guerra civile. Il problema è ricostruire. Servono, ha calcolato l’Onu, 380 miliardi. Una impresa impossibile senza l’aiuto dei Paesi arabi più ricchi. Che però sono le «petromonarchie» del Golfo nemiche dell’Iran e dell’asse sciita di cui fa parte appieno la Siria.

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Bashar al-Assad


Con queste premesse la riconciliazione sembrava una chimera. Ma ad aiutare Assad è arrivato una nuova spaccatura. Stavolta all’interno del mondo sunnita. Da una parte Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto e tutti in governi tecnocratici e modernizzatori nemici dell’islam politico, cioè dei Fratelli musulmani. Dall’altra i sostenitori della Fratellanza, a partire dal Qatar. Il raiss si è inserito nella spaccatura. A ottobre ha lanciato su un giornale del Kuwait la possibilità di «una intesa importante» con i Paesi arabi. Pochi giorni dopo il suo ministro degli Esteri Walid al-Muallem ha abbracciato il collega del Bahrein Khalid bin Ahmed al-Khalifa, all’assemblea dell’Onu.

Sono seguite la riapertura o il ritorno alla piena attività delle ambasciate di Emirati Arabi, Bahrein, Kuwait. La Giordania ha riaperto il valico di frontiera di Nassib. Resta l’Arabia Saudita. Finora le pressioni americane hanno frenato Riad, ma i segnali non mancano. Il primo è la sostituzione del ministro degli Esteri Adel al-Jubeir con il più morbido Ibrahim al-Assaf. Il nuovo capo della diplomazia ha tracciato la linea assieme al collega egiziano Sameh Hassan Shoukry: ritorno nella Lega Araba ma ad alcune condizioni. Riad e il Cairo vogliono un segnale anti-Iran, un limite alla libertà di azione delle milizie sciite. Ma sull’altro fronte, cioè la lotta agli estremisti sunniti, la collaborazione viaggia a pieno regime. Il capo dei servizi siriani Ali Mamluk fa la spola con il Cairo ed è stato due settimane fa nella capitale saudita, dove avrebbe visto persino Mohammed bin Salman.

Per il resto la ricomposizione è quasi fatta. Libano, Iraq e Algeria non hanno mai rotto le relazioni, mentre l’Iraq, un altro governo sciita corteggiato dai sauditi, sta spingendo per la riammissione immediata nella Lega Araba. Persino la Turchia ha ammesso che potrebbe «lavorare con Assad se fosse rieletto in voto libero e corretto». Le presidenziali sono previste nel 2021, a dieci anni dall’inizio della guerra civile che ha fatto 400 mila vittime. Da leader paria Assad è tornato al centro dei giochi. La normalizzazione con l’Occidente sarà però più difficile. Francia e Gran Bretagna hanno smentito con forza le voci sulla riapertura delle loro ambasciate, l’Italia è stata più possibilista, ma non può muoversi da sola. Per il raiss si avvicina la grande rivincita, ma pare che la sua più grande soddisfazione sia stata quando ha visto su un muro di Parigi la scritta in arabo «al-shaab yurid isqat al-nizam», cioè «il popolo vuole la caduta del regime», lo slogan della primavera araba che si è ritorto contro il suo grande nemico francese.

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