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La Stampa Rassegna Stampa
11.01.2019 La Siria rientra nella Lega Araba, possibili tensioni con l'Iran
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 11 gennaio 2019
Pagina: 1
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «La Siria torna nella Lega Araba per isolare i Fratelli Musulmani»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/01/2019, a pag. 14, con il titolo "La Siria torna nella Lega Araba per isolare i Fratelli Musulmani" il commento di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

Lottare sia contro l’estremismo sunnita che contro l’espansionismo sciita iraniano. Il piano di Trump-Pompeo per il Medio Oriente potrebbe realizzarsi attraverso una via che Washington non aveva immaginato. E cioè il rientro della Siria nella Lega Araba, l’abbraccio delle «nazioni sorelle», comprese le monarchie del Golfo, a Bashar al-Assad. I movimenti sono cominciati lo scorso autunno. A ottobre all’Onu c’era stato il saluto caloroso fra il primo ministro siriano Walid al-Muallem e il ministro degli Esteri del Bahrein Khalid bin Ahmed al-Khalifa. Erano seguite le voci della riapertura dell’ambasciata degli Emirati Arabi a Damasco, a prima vista impensabile. Ha riaperto il 27 dicembre. Poi le dichiarazioni del presidente Abdel Fatah al-Sisi, che si era schierato con «le forze armate siriane» nella lotta «contro il terrorismo».

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Bashar al Assad con l'alleato Vladimir Putin


Ora siamo al dunque. Due giorni fa la Lega Araba ha approvato in via preliminare una proposta di Iraq-Giordania-Libano per il ritorno della Siria nell’organizzazione. I media libanesi filo-Hezbollah danno per scontata la presenza di Assad al vertice della Lega sull’economia e il commercio, previsto dal 19 al 22 gennaio a Beirut. L’altro appuntamento è la riunione al Cairo a metà febbraio. Anche l’Arabia Saudita è pronta al grande passo, dopo il siluramento del ministro degli Esteri Adel al-Jubeir, sostituito dal più morbido Ibrahim al-Assaf. Lo scorsa settimana il capo dei Servizi siriani Ali Mamluk, per alcuni l’uomo più potente a Damasco dopo il raiss, è stato a Riad per incontrare il principe ereditario Mohammed bin Salman. Le monarchie del Golfo hanno appoggiato per otto anni la rivolta sunnita anti-Assad, con miliardi di dollari, armi e «volontari» che mischiava lotta alla dittatura e guerra santa. Adesso è il tempo della realpolitik. Le guerre civili derivate dalla Primavera araba hanno creato un esercito di jihadisti che minaccia gli stessi sovrani seduti su montagne di petrodollari. La spaccatura fra sunniti e sciiti è stata sostituita da quella fra gli Stati che ancora sostengono i Fratelli musulmani, in sostanza Qatar e Turchia, e i regimi che puntano su una modernizzazione tecnocratica «laica» e che vanno dal Marocco, all’Egitto, alla stessa Arabia Saudita. Assad, come già il padre Hafez, è nemico implacabile della Fratellanza, e in quanto tale è nell’asse.

Resta il problema dei rapporti della Siria con l’Iran. Anche Teheran è contro l’estremismo sunnita, è intervenuta con i suoi Pasdaran e milizie sciite contro Isis, Al Qaeda e gruppi jihadisti vari. Ma è anche il principale rivale dell’Arabia Saudita e in questa funzione ha rapporti sempre più stretti con la Turchia e lo stesso Qatar. Riad, Il Cairo, Abu Dhabi pensano però che un ritorno di Assad tra i fratelli arabi potrebbe allentare la sua dipendenza dagli iraniani. Anche perché ha bisogno dei finanziamenti dal Golfo per ricostruire il Paese. E in fondo è più un nazionalista arabo che uno sciita.

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