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La Stampa Rassegna Stampa
07.01.2019 Turchia: la fine di democrazia e laicità. Un milione di persone fuggono dal regime islamista di Erdogan
Commento di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 07 gennaio 2019
Pagina: 10
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «La borghesiaturca in fuga da Erdogan. Mezzo milione si trasferisce in Europa»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/01/2019, a pag. 10, con il titolo "La borghesia turca in fuga da Erdogan. Mezzo milione si trasferisce in Europa" il commento di Giordano Stabile.

Negli ultimi tre anni circa un milione di persone ha lasciato la Turchia, sempre più stretta nella morsa della dittatura islamista di Erdogan, ed è previsto che questo numero salirà ancora nel 2019. La democrazia ormai è inesistente in Turchia, e della laicità in quello che è stato il Paese di Ataturk non c'è più traccia. La Turchia non è più il Paese che era fino a pochi anni fa.
Era questo il paese che i poltici italiani filo-islam volevano far entrare in Europa. 

Ecco l'articolo:

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Giordano Stabile

La repressione seguita al fallito golpe del luglio 2016 ha un risvolto economico che forse il presidente Recep Tayyip Erdogan non aveva messo in conto e rischia di azzoppare le sue ambizioni. Il leader turco ha strappato la riforma costituzionale e ha ottenuto con la vittoria alle presidenziali del giugno scorso un potere senza precedenti. Ma i turchi votano anche con i piedi, come dicono gli anglosassoni, e a centinaia di migliaia hanno lasciato il Paese negli ultimi due anni e mezzo. Soprattutto accademici, intellettuali ma anche insegnanti, imprenditori, professionisti e migliaia di benestanti che hanno venduto le loro proprietà per stabilirsi in Europa. È la grande fuga della borghesia che potrebbe rendere vano ogni tentativo di rilanciare la crescita ai livelli di prima del 2016.

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L’esodo di massa
Quell’anno sono emigrate 178 mila persone, nel 2017 l’esodo ha avuto un’impennata del 40 per cento, con 250 mila uscite, i numeri sono ancora in crescita nel 2018. E’ il risultato della repressione che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone, oltre 60 mila finite in carcere, e ha investito soprattutto il mondo accademico.

Le contromisure
Per la prima volta dalla fondazione della repubblica, quasi un secolo fa, l’élite laica lascia il Paese. I numeri choc sono stati messi in luce in una inchiesta del New York Times e ieri Erdogan è intervenuto a rassicurare gli ambienti del business, ha detto che la Turchia «continua a essere un porto sicuro per gli investitori internazionali», mentre gli investimenti turchi all’estero hanno raggiunto 38 miliardi di dollari con l’aiuto degli incentivi governativi e le esportazioni «hanno raggiunto il massimo storico», in aumento del 7,1% a quota 168,1 miliardi.

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Fuga di capitali
Ma l’emorragia umana e finanziaria ha raggiunto livelli di guardia. Il New York Times ha sottolineato che «almeno 12 mila milionari, il 12 per cento della classe agiata turca, ha spostato il proprio patrimonio all’estero». È un fenomeno che riguarda soprattutto le famiglie sospettate di aver legami con l’imam Fetullah Gulen, in esilio in Pennsylvania e considerato la mente del golpe. Il numero di turchi che hanno chiesto asilo politico, soprattutto in Gran Bretagna e Germania, è balzato nel 2018 a 33 mila, dai 10 mila del 2017. Dal 2016 10 mila uomini di affari hanno ottenuto permessi di soggiorno legati a investimenti a Londra: trasferiscono di fatto i patrimoni perché «le nuove generazioni possano ereditarli all’estero».

In caso di condanne per appartenenza alla rete di Gulen, definita Feto, i patrimoni rischiano di essere confiscati. Questo timore avrebbe spinto il gigante dell’alimentare Yildiz, accusato sui social di legami col Feto, ha riposizionarsi in Europa. Le azioni dell’azienda principale, Ulker, sono state trasferite alla holding con base a Londra, fuori dalla portata dei tribunali turchi. La compagnia ha ribadito che «resta impegnata in Turchia» ma è chiaro che se movimenti di questo tipo dovessero moltiplicarsi svanirebbe il “miracolo turco”, la crescita che nel primo decennio di questo secolo aveva accostato la Turchia alle tigri asiatiche. Il progetto di Erdogan si basa su liberalizzazioni dell’economia per approfittare appieno del mondo globalizzato e riforme in senso conservatore nei costumi, con la riscoperta dell’orgoglio islamico «neo-ottomano». Se rimane soltanto la seconda gamba, perché le migliori menti della cultura e dell’imprenditoria sono in fuga, farà pochi passi in avanti.

 

 

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