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La Stampa Rassegna Stampa
05.01.2019 Algeria/Yemen: la realtà dei fatti contro le menzogne che ci rifilano quasi tutti gli altri quotidiani
Analisi di Francesco Semprini, Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 05 gennaio 2019
Pagina: 11
Autore: Francesco Semprini-Giordano Stabile
Titolo: «La grande muraglia algerina per fermare jihadisti e migranti-Uccisa in un raid la mente dell'attacco alla Uss Cole»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi,05/01/2019, due servizi che capovolgono le ipocrite menzogne su Algeria e Yemen. In Algeria è in costruzione un muro lungo tutto il confine, ma per i nostri disìnformatori quotidiani di muro sembra essercene uno soltanto, quello che Trump vuole costruire al confine con il Messico. In quanto allo Yemen, viene sempre raccontato come vittima dell'aggressione dell'Arabia Saudita, quando invece è ormai soltanto più una pedina dell'espansionismo dell'Iran nella regione.

Francesco Semprini: " La grande muraglia algerina per fermare jihadisti e migranti"

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Il muro                                                                                   Francesco Semprini

Chissà che Donald Trump non sia stato di ispirazione per Abdelaziz Bouteflika. Certo è che il presidente degli Stati Uniti e il collega algerino hanno ora qualcosa che li accomunerà per sempre: un muro. Da una parte quello che l’inquilino della Casa Bianca vuole erigere a tutti i costi alla frontiera col Messico, tanto da tenere la nazione ostaggio di una paralisi di bilancio che si trascina da due settimane. Dall’altra quello che il leader del Paese nordafricano ha dato ordine di realizzare lungo i 6.343 km di confini ad alto rischio e alta permeabilità, con sei Paesi «chiave» della nuova mappatura terroristico-criminale che si snoda tra Maghreb e Sahel. Il via libera di Algeri al muro è giunto alla fine di novembre, come riferisce il quotidiano El Khabar, secondo cui il ministero della Difesa sta portando avanti i lavori di costruzione di una barriera di sicurezza «a tre livelli» con trincee e fossati per assicurare i confini con Marocco, Mauritania, Mali, Niger, Libia e Tunisia, oltre all’installazione di torri di sorveglianza, telecamere termiche e l’impiego di droni. I confini orientali e la jihad Il presupposto è che l’Algeria si sente un Paese assediato da terroristi esuli in cerca di rifugi sicuri, traffici illeciti, e flussi di migranti illegali. Tanto da spendere ogni anno miliardi di dollari per mettere in sicurezza migliaia di km di confine, la maggior parte dei quali nel deserto, e pertanto assai porosi. Secondo stime non ufficiali il Paese spende circa 4 miliardi di euro all’anno solo per proteggere i suoi confini orientali. Ovvero quelli con Tunisia e Libia, rispettivamente di 1.010 e 982 km considerati ad alto rischio per le attività dei gruppi terroristici. Tra questi c’è il gruppo Katibat Okba Ibn Nafaa, responsabile dell’attacco ai gendarmi tunisini dell’8 luglio scorso, e Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim). Ecco perché l’Algeria ha iniziato già nel 2016 la costruzione di una barriera di sicurezza lungo quel tratto di frontiera. Come riferisce l’agenzia Nova, nel febbraio 2018 l’Esercito ha inoltre annunciato il dispiegamento di ulteriori 5 mila militari ai confini con la Tunisia dopo l’attentato di Souk Ahras contro un convoglio militare. Il confine algerino-libico è chiuso dalla caduta di Muammar Gheddafi, ma nel gennaio del 2013 un commando di miliziani affiliati ad al Qaeda, provenienti proprio dalla Libia, sequestrò oltre 800 persone nell’impianto di estrazione del gas di Tigantourine, vicino ad In Amenas, nell’est dell’Algeria. Nell’attacco morirono 37 civili, la maggior parte stranieri, e 29 terroristi eliminati. I flussi di jihadisti sono il pericolo maggiore in questo caso. Il Sahel e i migranti illegali Le frontiere con il Niger (951 chilometri) sono invece considerate vulnerabili per l’immigrazione illegale. Secondo il ministro dell’Interno Noureddine Bedoui ogni giorno sono almeno 500 i tentativi di ingresso di migranti illegali in Algeria, principalmente ai confini con il Niger. E circa 90 mila migranti irregolari entrano ogni anno nel Paese. I confini con il Mali sono considerati invece una minaccia alla propria sicurezza, specie dopo la caduta del Mali settentrionale nelle mani di jihadisti e combattenti degli Azawad. In quest’area è molto diffuso il traffico di armi, Kalashnikov, lanciarazzi, bombe a mano e grandi quantità di munizioni. Mentre i confini con la Mauritania sono stati parzialmente aperti lo scorso settembre con l’inaugurazione del primo e unico valico di frontiera lungo il confine di 461 chilometri. La guerra fredda col Marocco Le dispute di confine tra Algeria e Marocco sono figlie dell’eterna rivalità tra Rabat e Algeri protagoniste di una sorta di guerra fredda regionale che si trascina da anni. Le frontiere sono chiuse dal 1995 e le autorità avevano già scavato trincee larghe 6 metri e una barriera metallica di 3 metri soprattutto per contrastare il traffico di hashish di cui il Marocco è primo produttore al mondo. A questo si aggiungono i flussi jihadisti: secondo il ministero di Giustizia algerino esiste un collegamento fra trafficanti di droga e armi, contrabbandieri, e terroristi islamici attivi nei paesi vicini, le cosiddette «holding criminali del decimo parallelo»

Giordano Stabile: " Uccisa in un raid la mente dell'attacco alla Uss Cole"

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Giordano Stabile             Dall'Iran le armi allo Yemen

Un raid americano in Yemen ha ucciso l’organizzatore dell’attacco al cacciatorpediniere Uss Cole, che il 12 ottobre del 2000 uccise 17 marinai statunitensi. Uno degli attentati preludio delle Torri Gemelle, assieme ai camion bomba contro le ambasciate in Kenya e Tanzania nel 1998. Il terrorista localizzato ed eliminato da un drone era Jamel Ahmed Mohammed Ali Al-Badawi, figura di spicco di Al-Qaeda nella Penisola arabica e fra i più ricercati dalle autorità americane. Unica vittima dell’attacco Il raid lo ha colpito, martedì, mentre stava guidando un auto nel governatorato di Marib, nello Yemen Centrale. Era «da solo» e quindi «non ci sono stati danni collaterali», cioè altre vittime. Ieri l’Intelligence ha confermato che l’obiettivo era stato raggiunto. Per Washington è un risultato importante, perché fa giustizia di uno dei più gravi attacchi mai subiti dalle forze armate da parte di gruppi terroristici. La Uss Cole venne danneggiata in modo serio da una piccola barca esplosiva, e ci furono anche 39 feriti. Meno di un anno dopo ci sarebbe stato il massacro a New York. Al-Badawi viene arrestato dalle autorità yemenite nel dicembre del 2000. Ma nel 2003 riesce a scappare di prigione. È ricatturato nel 2004 ma fugge di nuovo nel febbraio del 2006, dopo aver scavato con spazzolini e le pale di un piccolo ventilatore un tunnel dal carcere alla vicina moschea. Da allora c’era una taglia da cinque milioni di dollari sulla sua testa. L’altra «mente» dell’attacco Abd al-Rahim al-Nasiri era stato invece catturato dagli americani nel 2002 ed è in custodia nella base di Guantanamo. Un rifugio per i terroristi Lo Yemen resta però un rifugio per molti esponenti di Al-Qaeda. La guerra civile fra i ribelli sciiti Houthi e il governo del presidente Abd Rabboh Mansour Hadi, sostenuto da Arabia Saudita ed Emirati Uniti, ha creato una vasta terra di nessuno al centro del Paese, specie nelle province di Marib, Al-Bayda e Hadramawt, dove sono presenti anche cellule dell’Isis in competizione con AlQaeda. Gli Usa conducono raid e azioni di commando per limitare l’operatività di questi gruppi. Per esempio, nell’agosto del 2017, un drone della Cia ha ucciso Ibrahim alAsiri, un saudita considerato il «maestro artificiere» di Al-Qaeda, l’inventore fra l’altro delle «mutande esplosive» che per poco non fecero precipitare un volo diretto a Detroit alla Vigilia di Natale del 2009. Le forze armate americane hanno condotto in Yemen 131 raid nel 2017 e 36 nel 2018.

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