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La Stampa Rassegna Stampa
12.12.2018 Matteo Salvini in Israele, parole chiare contro i terroristi di Hezbollah
Cronaca di Amedeo La Mattina, commenti di Giordano Stabile, Ugo Magri

Testata: La Stampa
Data: 12 dicembre 2018
Pagina: 4
Autore: Amedeo La Mattina - Giordano Stabile - Ugo Magri
Titolo: «La visita di Salvini in Israele: 'Hezbollah sono terroristi' - L’esercito scopre un terzo tunnel scavato sotto al confine con il Libano - Dietro lo scontro Lega-5Stelle approcci opposti al Medio Oriente»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/12/2018, a pag.4-5, con il titolo "La visita di Salvini in Israele: 'Hezbollah sono terroristi' " la cronaca di Amedeo La Mattina; con il titolo "L’esercito scopre un terzo tunnel scavato sotto al confine con il Libano" il commento di Giordano Stabile; con il titolo "Dietro lo scontro Lega-5Stelle approcci opposti al Medio Oriente", il commento di Ugo Magri.

A destra: Matteo Salvini in Israele

Ecco gli articoli:

Amedeo La Mattina: "La visita di Salvini in Israele: 'Hezbollah sono terroristi' "

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Amedeo La Mattina

L’accoglienza che Benjamin Netanyahu gli ha riservato ha tante implicazioni e significati, non solo simbolici. Appena atterrato con l’aereo di Stato a Tel Aviv, Matteo Salvini è stato prelevato dall’esercito israeliano, imbarcato su un elicottero militare e portato al nord, al confine con il Libano. Destinazione quell’area strategica dove gli Hezbollah hanno scavato tunnel sotto il territorio israeliano per portare a termine le loro azioni. «Azioni terroristiche perché di terroristi stiamo parlando». Non usa mezzi termini dopo aver visitato, in mezzo al fango con un cappellino blu dell’aeronautica militare italiana, quei passaggi sotterranei. Facendo saltare sulla sedia il ministro della Difesa 5 Stelle, Elisabetta Trenta, «preoccupata e imbarazzata» per la reazione che potrebbero avere gli Hezbollah definiti terroristi contro i nostri militari. Gli stessi timori del comando italiano Unifil impegnato in Libano. Dalla Difesa si fa sapere che le dichiarazioni di Salvini «mettono in evidente difficoltà i nostri uomini impegnati proprio lungo la blu line. Questo perché il nostro ruolo super partes, vicini a Israele e al popolo libanese, è sempre stato riconosciuto nell’area». Anche Luigi Di Maio interviene. «Quello che doveva dire lo ha detto il ministro della Difesa. Io mando un abbraccio ai militari che sono lì e dico loro di tenere duro e andare avanti».

Uno scontro tra alleati su una questione nevralgica. Ma Salvini dice di essere stupito di questa reazione. Rincara la dose ricordando che diversi organismi della comunità internazionale definiscono allo stesso modo gli Hezbollah. «A casa mia i terroristi si chiamano terroristi. Se scavano decine di tunnel che sconfinano nel territorio israeliano, non credo che lo facciano per andare a fare la spesa», ironizza il leader del Carroccio. «Chi vuole la pace - afferma Salvini - deve sostenere il diritto all’esistenza ed alla sicurezza di Israele, baluardo della democrazia in questa regione». Poi manda un messaggio che ne nasconde un altro: va bene l’idea dei due Stati, ma l’Ue secondo il leghista è sempre poco equilibrata nei confronti di Israele, sanzionandolo «ogni quarto d’ora». Per combattere il terrorismo islamico e riportare la pace, per rinsaldare la collaborazione e amicizia fra popolo italiano e popolo israeliano, Salvini dice di essere in prima fila. «Aspettiamo che anche Onu ed Unione Europea facciano la loro parte».

Salvini non dimentica mai la partita europea e la posizione della Commissione Ue che continua a sostenere gli accordi siglati sul nucleare dagli Usa con l’Iran, il nemico giurato dello Stato ebraico. Ma che Trump ha cestinato. L’Europa che verrà dopo le elezioni europee di maggio sarà la stessa? Netanyahu scommette molto su Salvini, che incontrerà oggi al King David di Gerusalemme, sul successo della Lega sovranista, insieme a coloro che potranno ribaltare la politica estera europea, sostituire il commissario Federica Mogherini con un amico di Israele. E questo Salvini vorrebbe farlo insieme ad altri nazionalpopulisti e pezzi importanti del Ppe, a cominciare dal premier ungherese Orban che da queste parti riceve le stesse attenzioni riservate a Salvini.
Nell’incontro tra il leghista e Netanyahu il convitato di pietra sarà Putin al quale il vicepremier italiano guarda come modello di statista. Un’attenzione al leader russo che per motivi strategici si coltiva a Gerusalemme per tenere a bada gli amici di Teheran. Nelle logiche della ragion di Stato e geopolitiche tutto si tiene e Salvini in questo Great game sta giocando la sua mano in vista delle elezioni europee. Con un occhio a Washington e a quel Trump che ha fatto la sua scelta al fianco di Netanyahu, sostenendo lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme. Cosa ne pensa Salvini? «È vero che io nel 2016 ho detto che sono d’accordo di spostare l’ambasciata italiana a Gerusalemme - dice mentre lascia il King David - ma non è all’ordine del giorno. Io oggi faccio il ministro dell’Interno in un governo di coalizione. Questo è un problema che affronteremo in futuro. Per carità - aggiunge accendendosi una sigaretta - non fatemi aprire un altro fronte caldo. Ne ho già abbastanza». E tanto per far capire da che parte sta, ha chiuso la giornata pregando 5 minuti al Muro del Pianto con la kippah in testa. «Ho proprio bisogno di un momento di raccoglimento. Questo muro appartiene a tutti, ti dà forza e pace».

Giordano Stabile: "L’esercito scopre un terzo tunnel scavato sotto al confine con il Libano"

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Giordano Stabile

Israele scopre un terzo tunnel al confine con il Libano e l’operazione Scudo del Nord entra nella sua «fase esplosiva», mentre anche l’Unifil ammette che il «caso è serio» e gli Stati Uniti chiamano il presidente Michel Aoun per disinnescare la crisi. A una settimana dall’annuncio dell’offensiva per eliminare le gallerie di attacco di Hezbollah genieri continuano a esplorale la zona di frontiera con l’aiuto di una tecnologia basata su onde microsismiche sviluppata dai centri di ricerca militari. E così che ieri hanno individuato un nuovo tunnel, «non ancora operativo e che non pone una immediata minaccia». Le ricerche richiederanno ancora tempo ma nei prossimi giorni dovrà cominciare l’opera di demolizione, la più delicata perché va a impattare nel territorio libanese.

Nei giorni scorsi l’esercito israeliano ha avvertito con sms gli abitanti del villaggio di Kafr Kila, dove c’è l’ingresso della prima gallerie, che le loro case potrebbero essere danneggiate dalle esplosioni. L’annuncio ha fatto salire la tensione e sabato si è sfiorato l’incidente quando i militari dello Stato ebraico sono stati tratti in inganno dagli spari in aria durante una festa di matrimonio e hanno tirato a loro volta colpi di avvertimento. Il problema principale è però il secondo tunnel, a Ovest di Kafr Kila, perché si trova in una zona dove non c’è la barriera al confine e l’esercito israeliano e quello libanese si trovano faccia a faccia. Per questo l’analista militare Hamos Arel parla di «fase esplosiva» in arrivo e una delegazione delle Forze armate, guidata dal generale Aharon Haliva, è andata a ieri Mosca per discutere con i colleghi russi.
Israele vuole che Mosca faccia pressione su Beirut e Damasco per evitare incidenti e dietro le quinte si muovono anche gli Stati Uniti. Lo ha rivelato ieri il presidente libanese Aoun. Washington lo ha chiamato per tranquillizzarlo e spiegare che «Israele non ha intenzioni ostili». Il leader dei Paesi dei Cedri, alla prese con una crisi di governo che dura da sei mesi, ha ribadito che «neanche il Libano ha intenzioni ostili» e prende le questione «sul serio». Le dichiarazioni sono arrivate dopo un incontro con il comandante della missione Unifil, generale Stefano Del Col, al palazzo presidenziale di Baabda, sulle colline di Beirut. Le autorità libanesi, ha precisato, «risponderanno quando le indagini dell’Onu saranno concluse».
Il Libano, in piena crisi finanziaria, ha bisogno di tutto tranne di una guerra. Aoun ha insistito che Beirut «rispetta la risoluzione dell’Onu 1701» che invece «Israele continua a violare». Ma non ha alzato i toni né nei confronti di Israele né nei confronti di Hezbollah. Il Partito di Dio è un alleato essenziale nel suo tentativo di rafforzare le strutture dello Stato, a partire dalle Forze armate, senza far saltare i precari equilibri settati. Sulla stessa linea sembra anche il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, che ha tenuto finora un profilo basso, ha limitato la presenza dei miliziani al confine per non imbarazzare l’Unifil né il governo, e ha lasciato il campo libero all’esercito libanese.
L’operazione Scudo del Nord sembra averlo colto di sorpresa e questo aspetto è stato sottolineato ieri dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. Hezbollah «pagherà un prezzo inimmaginabile», ha avvertito, se reagirà all’azione dei militari: «Sapevamo che stavano scavando i tunnel e abbiamo pianificato la nostra operazione – ha spiegato -. Tutto procede secondo i piani ma la cosa più importante è essere pronti a una forte reazione se Hezbollah dovesse commettere l’errore di colpirci».

Ugo Magri: "Dietro lo scontro Lega-5Stelle approcci opposti al Medio Oriente"

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Ugo Magri

Le scintille tra Salvini e Di Maio su Hezbollah sono l’effetto di due strategie opposte che si sfidano dentro il governo. La prima punta forte su Israele ed è interpretata dal leader della Lega. L’altra linea, invece, vorrebbe insinuarsi negli spazi di mediazione che, nel Medio Oriente, fanno perno sui palestinesi: e sono i Cinquestelle a interpretarla. La visita di Salvini ai confini dello Stato ebraico, e le sue parole nette contro i terroristi islamici, hanno fatto detonare questa contraddizione, di cui si può comprendere meglio la portata alla luce della recente missione romana di Abu Mazen, per l’esattezza lunedì 3 dicembre. Tutti i riflettori si sono concentrati sull’incontro con Papa Bergoglio, e poca attenzione è stata dedicata al colloquio con Giuseppe Conte, considerato routine. In realtà, la chiacchierata col nostro premier risulta sia stata tutt’altro che banale. Abu Mazen ha prospettato a quattr’occhi un rilancio del processo di pace, in cui l’Italia dovrebbe svolgere un ruolo di primissimo piano. Secondo fonti molto addentro al colloquio, il numero uno palestinese ha sollecitato Conte ad assumere personalmente un’iniziativa europea volta a favorire una ripresa dei negoziati con Israele. E perché proprio il presidente del Consiglio italiano anziché, per esempio, l’America? Da quando Trump ha spostato l’ambasciata a Gerusalemme, ha argomentato Abu Mazen, gli Stati Uniti sono tagliati fuori, non verrebbero considerati super partes. Il nostro Paese, viceversa, è sempre stato amico degli israeliani, ma fin dai tempi di Moro e di Andreotti ha coltivato ottime relazioni con i movimenti palestinese, dunque è in grado di colloquiare con gli uni e con gli altri.

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L'incontro tra Abu Mazen (il terrorista moderato) e Giuseppe Conte (il premier 5 stelle tale e quale tutti gli altri del movimento: contro Israele)


L’invito a Ramallah
Nel salottino di Palazzo Chigi, sempre il 3 dicembre, Abu Mazen ha offerto a Conte qualche ulteriore spunto di riflessione: poiché l’Unione (composta da 28 Stati) faticherebbe a condividere una posizione chiara sul Medio Oriente, l’Italia potrebbe restringere il campo degli interlocutori e sceglierne tre-quattro, ad esempio Francia, Irlanda e Belgio. Che cos’hanno in comune questi quattro Paesi, nell’ottica palestinese? Risposta facile: la radice cattolica, che li rende più sensibili alle ragioni del dialogo e della pace nei luoghi sacri della religione cristiana. Inutile dire che a Conte sono brillati gli occhi. La proposta di Abu Mazen è stata colta al volo dal premier, il quale subito si è dichiarato pronto ad approfondire il piano recandosi personalmente a Ramallah.
Mancano le prove che, di questo retroscena, Salvini fosse informato. Ma la sua presa di posizione contro i terroristi di Hezbollah suona come colpo di avvertimento, tipo: «Di qua non si passa». O quantomeno, per lanciare l’Italia in un negoziato così ambizioso, servirà prima il suo benestare. La reazione dura della Difesa a sua volta segnala che c’è dell’altro, e la politica estera rischia di diventare un nervo scoperto del governo giallo-verde. Quando Elisabetta Trenta si era insediata in via XX Settembre, era nota per le sue tesi pacifiste; ma via via è andata assumendo posizioni più moderate (sugli F35, sui nostri soldati in Afghanistan) che a Washington non sono sfuggite e anzi riscuotono vivo apprezzamento. Anche Di Maio coltiva un link con gli Usa. E magari qualcuno, tra i Cinquestelle, immagina di proporsi quale interlocutore privilegiato dell’amministrazione Usa, contrapposto al filo-russo Salvini: un po’ come accadeva ai tempi della Guerra fredda tra Dc e Pci. Semplici suggestioni, per ora. Ma di sicuro, chi pensa che lo scontro su Hezbollah sia solo un fuoco di paglia, rischia di restare scottato.

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