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La Stampa Rassegna Stampa
04.12.2018 Dossier Trump: il ruolo degli 'esperti', il futuro dell'Opec e una politica di sostanza
Cronache di Giordano Stabile, Paolo Mastrolilli, commento di Stefano Stefanini

Testata: La Stampa
Data: 04 dicembre 2018
Pagina: 8
Autore: Giordano Stabile - Paolo Mastrolilli - Stefano Stefanini
Titolo: «Qatar, addio all’Opec per togliere ai sauditi la leadership del Golfo - Gli sms di Khashoggi spiati da Riad: 'Bin Salman è un Pac-Man, divora tutti' - Ora può saltare il club dei Grandi del petrolio - Per Trump al mondo serve un G3»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/12/2018, a pag. 8, con il titolo "Qatar, addio all’Opec per togliere ai sauditi la leadership del Golfo" la cronaca di Giordano Stabile; la breve dal titolo "Gli sms di Khashoggi spiati da Riad: 'Bin Salman è un Pac-Man, divora tutti' "; a pag. 9, con il titolo "Ora può saltare il club dei Grandi del petrolio", la cronaca di Paolo Mastrolilli; a pag. 1-27, con il titolo "Per Trump al mondo serve un G3", il commento di Stefano Stefanini.

A destra: Donald Trump

Ecco gli articoli:

Giordano Stabile: "Qatar, addio all’Opec per togliere ai sauditi la leadership del Golfo"

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Giordano Stabile

Il Qatar esce dall’Opec, punta ad aumentare del 50 per cento le sue esportazioni di gas e diventare leader mondiale nel campo dell’energia.
La dirigenza di Doha ha deciso di passare al contrattacco dopo un anno e mezzo di blocco imposto dall’Arabia Saudita. Ritiene che il momento è favorevole, con Riad indebolita dal caso Khashoggi e il mercato degli idrocarburi in una fase di violenta ristrutturazione. È convinta che il futuro sia nel metano, la fonte fossile meno inquinante, un passaggio indispensabile verso un mondo a basse emissioni di anidride carbonica. Ma alle ragioni economiche si affiancano quelle politiche. Il colpo di piccone all’organizzazione, fondata nel 1960 e simbolo della riscossa araba negli Anni Settanta, è considerato negli ambienti del settore «senza precedenti» e tale da spingere «altri a fare lo stesso». E lo sgretolamento dell’Opec giova soprattutto al Qatar, poco legato al corso del greggio, mentre mette in difficoltà l’Arabia Saudita, padrona di casa e più interessata a mantenere alti i prezzi.
L’emirato, grande come le Marche e con 2,6 milioni di abitanti, sesto Paese più ricco al mondo per reddito pro capite, punta a battere il rivale saudita, dodici volte più popoloso. L’annuncio arriva di prima mattina. È il ministro dell’Energia Saad Sherida al-Kaabi, in una conferenza stampa a Doha, a precisare che il passo verrà fatto «a gennaio del 2019» e che il suo governo, senza più vincoli, «aumenterà la produzione di gas da 77 milioni di tonnellate all’anno a 110 milioni». Cioè equivale «ad accrescere la produzione di barili di greggio equivalenti da 4,8 milioni al giorno a 6,5».
Il Qatar punta anche a «mantenere la leadership mondiale nell’esportazione di Lng», vale a dire metano liquido. I dettagli tecnici rivelano le ambizioni geopolitiche. Se infatti Doha è un nano per il greggio, 700 mila barili al giorno contro gli 11 milioni dell’Arabia Saudita, nel gas è un gigante: ha il 14 per cento delle riserve mondiali. Come riassume in un Tweet il decano degli analisti mediorientali Joshua Landis, il piano è «schiacciare i sauditi».
Per Riad è uno choc. Quando il 5 giugno 2017 Mohammed bin Salman ha imposto il blocco da parte di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein ed Egitto, pensava di piegare il piccolo emirato in poche settimane. I confini terrestri e marittimi sono stati sigillati, chiuso lo spazio aereo, bloccata la gran parte delle importazioni di cibo e beni di prima necessità.
Doha ha reagito, chiesto aiuto militare alla Turchia, pescato 40 miliardi dall’immenso Fondo sovrano. Ora, come spiega Theodore Karasik, senior advisor al Gulf State Analytics di Washington, la dirigenza qatarina «ritiene di poter far meglio fuori dall’Opec, dove ha un ruolo non più adeguato alle proprie ambizioni». Ma soprattutto vuole «distanziarsi dall’Arabia Saudita, perché è convinta che Riad sia la vera fonte di instabilità nella regione, e che presto arriveranno altri choc», cioè nuove avventure di Mbs.
L’afflusso finanziario che arriverà dal gas servirà a creare un fortino inattaccabile. E a condurre una offensiva politica in tutta la regione. Sono finiti i tempi in cui il Qatar era considerato il «fratello minore» dell’Arabia Saudita, conferma Ali Alahmed, direttore del think thank Gulf Affairs e molto critico con Riad. Nella sfida fra il 33enne Bin Salman e il 38enne Tamim bin Hamad Al-Thani, è quest’ultimo «il favorito» perché può contare su riserve potenziali per «45 mila miliardi di dollari». In ballo c’è la leadership nel mondo sunnita. Mbs vuole arrivarci dopo aver schiacciato «l’islam politico», cioè i Fratelli musulmani, e messo in ginocchio l’Iran sciita. Al-Thani la pensa all’opposto. La sfida è solo all’inizio.

"Gli sms di Khashoggi spiati da Riad: 'Bin Salman è un Pac-Man, divora tutti' "

Che senso ha pubblicare questa breve che riprendiamo dalla Stampa? Una serie di pettegolezzi e maldicenze e niente altro...

Ecco il pezzo:

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Mohammed Bin Salman

Una «bestia», un «Pac-Man» che divora tutti quelli che incontra lungo la sua strada, proprio come nel videogioco. Così Jamal Khashoggi, l’editorialista saudita del Washington Post ucciso il 2 ottobre nel consolato di Riad a Istanbul, descriveva - in privato - il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. A rivelarlo è la «Cnn» che ha pubblicato in esclusiva alcuni messaggi privati che Khashoggi ha scambiato su WhatsApp con l’amico Omar Abdulaziz, un attivista saudita in esilio a Montreal. «Più vittime divora, più ne desidera», scriveva a maggio Khashoggi.
I due amici pensavano alla creazione di un movimento online di denuncia per chiedere conto a Mbs delle sue azioni.
Tra l’ottobre 2017 e l’agosto 2018, Khashoggi e il 27enne Abdulaziz hanno immaginato di mettere insieme un «esercito digitale» per smascherare la propaganda del regno sui social con un’offensiva digitale, un’idea nata da precedenti scambi di opinioni sul lancio di un portale per documentare abusi dei diritti umani nella monarchia del Golfo e sulla produzione di cortometraggi per la distribuzione sulle piattaforme digitali.

Paolo Mastrolilli: "Ora può saltare il club dei Grandi del petrolio"

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Paolo Mastrolilli

L’uscita del Qatar dall’Opec è un terremoto, perché oltre alle sue ragioni specifiche, avviene sullo sfondo di un dibattito che sta mettendo in discussione la stessa sopravvivenza dell’organizzazione, anche da parte dell’Arabia Saudita.
La motivazione della mossa data dal ministro Saad al Kaabi è che il suo paese produce poco petrolio, e vuole concentrarsi invece sulle sue enormi risorse di gas, che rappresentano il futuro. Tutto ciò è vero, ma non basta a spiegare la decisione. Un’altra ragione molto forte è quella geopolitica. Da diciotto mesi Riad e i suoi alleati hanno imposto l’embargo al Qatar, accusandolo di sostenere l’Iran e il terrorismo.

Lo storico mediatore
Il piccolo emirato si sente isolato e sotto attacco, e ha concluso che non era più nel suo interesse restare in un’organizzazione dominata dai propri rivali, dando un colpo ai sauditi. Da questo punto di vista l’impatto è molto forte, perché Doha ha storicamente svolto un ruolo di mediazione con Teheran e il Venezuela, che adesso verrà a mancare. Così la spaccatura tra sunniti e sciiti, già causa di una sfida epocale per il controllo del Medio Oriente, con ramificazioni che vanno dalla guerra in Siria a quella nello Yemen, si allargherà alla gestione del mercato del greggio.
La Repubblica islamica già accusa l’Arabia di fare il vassallo degli Usa, aumentando la sua produzione per compensare la riduzione delle forniture iraniane provocate dalla denuncia dell’accordo nucleare.

Le oscillazioni dei prezzi
La questione più ampia che pone l’uscita del Qatar riguarda però la sopravvivenza stessa dell’Opec, un problema così serio che Riad ha iniziato a studiarlo, chiedendo alla propria think tank Kapsarc di simulare la sua fine per capire che impatto avrebbe sul mondo.
Il primo problema dell’organizzazione sta nelle difficoltà a svolgere la propria funzione, come dimostrano le oscillazioni del prezzo del petrolio avvenute negli ultimi mesi. Non riesce più a controllarlo, forse perché i tempi sono cambiati per sempre. Gli analisti ritengono che in generale il picco della domanda sia vicino, perché le risorse sono limitate, e il futuro sta nel gas e le rinnovabili.
Nell’immediato, poi, le ordinazioni sono destinate a diminuire, perché tutti prevedono un rallentamento dell’economia globale nel 2019, che avrà un impatto anche sugli acquisti di petrolio. In teoria, per cercare di sostenere i prezzi l’Opec dovrebbe tagliare la produzione, come ha fatto di recente, ma dall’altro lato c’è il presidente Trump che l’accusa di gonfiare artificialmente il costo del greggio, compromettendo la crescita economica globale.
In Congresso c’è già una proposta di legge chiamata Nopec, che la definirebbe come un cartello illegale.

I legami con la Russia
Un altro problema geopolitico è simboleggiato dalla calorosa stretta di mano avvenuta al G20 tra il principe ereditario Salman e il leader russo Putin. Il vero duopolio che controlla il mercato, e ha gestito gli ultimi tagli alla produzione che dovrebbero essere confermati alla prossima riunione del’Opec, è questo, e ciò rende ancora più irrilevante il resto della membership dell’organizzazione.
Gli scenari elaborati dalla saudita Kapsarc prevedono due ipotesi: il mondo senza Opec diventerebbe una giungla, dove tutti i produttori competono senza regole comuni; oppure Riad riuscirebbe comunque ad usare la sua influenza, per stabilizzare i prezzi. Questo non significa che l’Arabia sia ormai rassegnata a chiudere l’organizzazione, ma cause esterne potrebbero obbligarla a farlo.

Stefano Stefanini: "Per Trump al mondo serve un G3"

Stefano Stefanini teme che Donald Trump voglia licenziare "esperti, generali, diplomatici". Probabilmente Stefanini si considera un "esperto", e teme quindi per la propria posizione. E' questa la politica di Trump, per cui la sostanza conta più della forma.

Ecco il pezzo:

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Stefano Stefanini

In tweet veritas. Donald Trump è pronto a sedersi al tavolo con Xi Jinping e Vladimir Putin per parlare di disarmo. La bilaterale col presidente cinese sul commercio è andata bene. Perché non fare il bis (anzi il tris) sulle armi? L’idea poggia su convinzioni semplici e chiare: trattare solo con chi conta (e non perdere tempo con altri); dazi o missili, tutto può andare sul banco del bazar; si negozia in base a rapporti personali; non serve la preparazione basta l’istinto.

Il presidente americano ha in mente non un vertice Usa-Russia-Cina, ma un Trump-Putin-Xi, possibilmente con soli interpreti in stanza. I leader non gli Stati. Se i tre si mettono d’accordo è fatta, l’America non avrà più bisogno di spendere per la difesa 700 miliardi di dollari e passa. La politica estera trumpiana sta tutta lì, o quasi. Esperti, generali, diplomatici (come chi scrive): tutti inutili, come pure i fiumi di documentazione, gli studi dei think tanks, la scienza del controllo armamenti.
Il Segretario alla Difesa, Jim Mattis, avrà fatto un salto sulla sedia.
Il Pentagono inorridirà al pensiero di in incontro durante il quale Donald Trump scambi sommergibili nucleari con divisioni russe e satelliti cinesi, come fossero terreni edificabili di Manhattan e del Bronx, e magari baratti tagli al bilancio della difesa Usa con importazioni cinesi di soia e pollame americano.
Il Presidente americano non arriverà a tanto ma non abbandonerà facilmente l’idea, specie se Xi e Putin gli daranno corda. E’ nel loro interesse, quindi lo faranno. Dopo il rodaggio coreano, Trump si sente pronto a lanciarsi nell’alta classifica internazionale. Così si distrae anche, dalle indagini di Mueller, dai vincoli di un Congresso che si annuncia riottoso per i prossimi due anni. Ma non vuole perdere tempo con Nato, Apec, G7 (troppi); farà la politica vera con i suoi (due) pari.
Al resto, le frattaglie: qualche ruolo secondario se e quando fa comodo a Usa. Israele e Arabia Saudita (Khasshogi: chi era costui?) servono a strangolare l’Iran. La Polonia compra Lng americano. La Francia fa delle belle parate militari sui Campi Elisi. All’Italia si da una mano in Libia. Punire la Germania, vende troppe automobili agli Usa. Canada e Messico? Messi in riga con l’impronunciabile Usmca. L’Ue? Commerciar bisogna e con Juncker si può parlare d’affari.
Buenos Aires ha aperto gli occhi a Donald Trump. Il «G» non è da buttar via. Ma G3 non G20. Sorry, Europa: a bordo non c’è posto.

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