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La Stampa Rassegna Stampa
03.12.2018 Gli Ovazza: prima e dopo le leggi razziste del '38
Cronaca di Maria Teresa Martinengo

Testata: La Stampa
Data: 03 dicembre 2018
Pagina: 37
Autore: Maria Teresa Martinengo
Titolo: «La normale vita degli Ovazza prima delle leggi razziali. Un film con documenti inediti»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/12/2018, a pag.37, con il titolo "La normale vita degli Ovazza prima delle leggi razziali. Un film con documenti inediti" l'articolo di Maria Teresa Martinengo.

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Maria Teresa Martinengo

Sono arrivati dall’Italia e dal mondo i discendenti della famiglia Ovazza per assistere, ieri, primo giorno di Hannukkah, alla proiezione di un film sulla loro storia: immagini degli Anni 30, girate da Vittorio Ovazza, padre di Carla, nonno di Alain Elkann e di Giorgio Barba Navaretti, ritrovate fortunosamente, digitalizzate e montate. Un film muto con musiche scritte dallo stesso Vittorio e curate dal Centro Primo Levi di New York. Scene di serenità, passeggiate, vacanze, bambini che giocano, signore eleganti. Elegantissime anche in un viaggio di affari in Libia, impeccabilmente accolte dal governatore Italo Balbo, spedito laggiù da un Mussolini geloso della sua popolarità.

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Un fotogramma del film


Normalità di persone benestanti. Che nel ’38 si interrompe. «Quando non può più frequentare il liceo D’Azeglio ed entra alla scuola ebraica, mia madre scrive nel diario di aver percepito per la prima volta il suo essere ebrea», ha spiegato Barba Navaretti alla platea di parenti e cittadini che affollavano la Sala grande del Museo Nazionale del Cinema. L’unicità dell’evento sta anche nel fatto che ha riunito per la prima volta tutta la discendenza della famiglia Ovazza, molti dei quali non si erano mai incontrati tra di loro. Come ha detto Alain Elkann: «È un incontro tra parenti conosciuti e sconosciuti».

«Persone di ottima moralità»
La Storia attraverso la «microstoria». Michele Molteni, ricercatore alla University of Oxford, ha dato un contributo con una ricerca sulla banca di cui la famiglia fu proprietaria dal 1866 all’entrata in vigore delle leggi razziali, quando dovette vendere. Nel 1928 una relazione alla Banca d’Italia sulla Ditta Ovazza, nell’attestarne la serietà e l’importante giro d’affari, descrive i fratelli Ettore, Alfredo e Vittorio come «persone di ottima moralità. Operano con la dovuta prudenza e dispongono di larghi mezzi». Stesse considerazioni nel 1936. Ma nel 1938 sono liquidati come «soci di razza ebraica». Nel dibattito che è seguito al film e alla ricerca, il direttore della Stampa, Maurizio Molinari, ha osservato: «Colpisce che, nell’informare i clienti della vendita della banca, i fratelli non facciano cenno alla motivazione. Come se le leggi razziali non esistessero». Lo storico Michele Sarfatti ha risposto: «La banca era la loro vita, i clienti erano il loro mondo, erano pranzi, incontri. Per certi versi, quella lettera è un disperato appello a dire “Sono ancora parte di voi”».

Vittorio e Alfredo lasceranno l’Italia, il primo diretto a New York, l’altro in Uruguay. Ettore, illudendosi che l’essere stato un fascista della prima ora sia un «lasciapassare», sarà assassinato con la moglie e i figli a Intra. La ricerca di Molteni include anche uno scambio di corrispondenza nel 1948 tra Alfredo Ovazza, in Uruguay, e Luigi Einaudi, allora vice presidente del Consiglio. Il tono è formale, ma la breve risposta di Einaudi lascia trasparire conoscenza e apprezzamento. «La ricordo sempre con molta cordialità, sono assai lieto di constatare il crescente sviluppo della sua attività. Con i migliori auguri, mi creda».

«Uno strappo da recuperare»
Einaudi aveva giurato fedeltà al fascismo per poter continuare a insegnare all’Università di Torino, ma aveva votato contro le leggi razziali. Se Alfredo si sia confrontato con Einaudi sul destino della banca non è noto. Quel che è certo è che sarà l’unica di proprietà ebraica a non ritornare agli antichi titolari dopo la guerra. «Fu una scelta. Mio nonno Alfredo era in Uruguay e mio padre», ha ricordato Ernesto Ovazza, «disse: “Per come ci ha trattati l’Italia non voglio più saperne”». Poco alla volta, però, tutti i discendenti della famiglia rientrarono a Torino. Abbastanza per far dire allo storico Alberto Cavaglion che «se Bertolucci avesse dedicato Novecento a una famiglia ebraica, gli Ovazza sarebbe stati la sua storia».

Di «uno strappo che resta da recuperare in questo Paese» ha parlato Molinari. «Bisogna incentivare gli studi, come sulla Banca Ovazza», ha ossevato Sarfatti, «sapere cosa è accaduto alle persone. È più importante dell’ondata di scuse in questo 80° delle leggi razziali. Ed è importante avere un governo nazionale che rispetti tutte le minoranze. Cosa andrà a fare allo Yad Vashem chi ha pronunciato frasi orribili sui Rom?». Elkann: «Sul mondo si stanno addensando nuove nubi. Oggi però siamo ancora in tempo per mettere argini».

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