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La Stampa Rassegna Stampa
24.11.2018 Con i suoi telefoni Hauawei la Cina spia il mondo. L'appello di Trump
Commento di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 24 novembre 2018
Pagina: 2
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Trump cerca alleati per boicottare Huawei 'con i suoi telefoni la Cina spia il mondo'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/11/2018, a pag.2, con il titolo "Trump cerca alleati per boicottare Huawei 'con i suoi telefoni la Cina spia il mondo'" il commento di Paolo Mastrolilli

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Ecco un nuovo esempio di come Donald Trump fa politica, illustrato con la massima visibilità dalla Stampa. La Cina, giorno dopo giorno, diventa sempre di più una potenza mondiale, in grado di superare in quanto a forza economica (per ora) le nazioni democratiche. Non dimentichiamo che la Cina rimane un paese comunista, anche se ha adottato in economia le regole capitalistiche, unendole a un sistema dittatoriale, un cocktail che unisce mancanza di liberta civili e obbedienza cieca,pronta assoluta. Le democrazie occidentali hanno delocalizzato in Cina le loro produzioni, con il risultato che vediamo.
Ma Trump sa che in Italia vigono le regole 5Stelle? Strettamente legato alla Russia? Che fa l'ambasciata americana a Roma, dorme?

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Paolo Mastrolilli

Qualche tempo fa l’ambasciata americana a Roma ha invitato l’allora amministratore delegato di Tim, Amos Genish, per una conversazione sul futuro delle telecomunicazioni. Nel corso del colloquio, i rappresentanti degli Stati Uniti hanno spiegato le loro preoccupazioni per l’offensiva della Cina nel campo tecnologico, chiarendo che il problema non è solo economico, ma riguarda la sicurezza del Paese. In altre parole, consegnare a Pechino la gestione della nuova tecnologia dei cellulari 5G significherebbe esporsi al rischio di essere spiati e usati, e Genish doveva saperlo, vista la sua esperienza internazionale. La replica dell’ex ceo di Tim, però, è stata netta: «Tra gli Usa e l’Italia esiste una differenza. Negli Usa c’è un governo contrario alla penetrazione cinese nel sistema delle telecomunicazioni, mentre in Italia c’è un governo che la auspica». Porte aperte Risposte simili sono arrivate agli americani un po’ da tutti i protagonisti del settore, e da qui nasce l’allarme arrivato ieri sul «Wall Street Journal», che ha rivelato l’offensiva diplomatica di Washington per convincere gli alleati più vicini a non comprare la tecnologia 5G di Huawei e Zte. Un avvertimento diventato pubblico, proprio perché le reazioni dei Paesi amici non sono state positive. Così gli Usa alzano il livello dello scontro, nella speranza di cambiare la dinamica, obbligando tutti i partner a riconoscere il problema e assumersi le loro responsabilità. Il controllo del mercato Huawei ha 180.000 dipendenti e opera in 170 Paesi. Controlla il 22% del mercato della tecnologia 5G, seguita da Nokia con il 13%, Ericsson con l’11%, e Zte con il 10%. I cinesi quindi hanno un terzo del mercato mondiale, e gli americani temono che lo sfruttino per spiare, o anche per lanciare attacchi cibernetici. La paura riguarda soprattutto i Paesi con grandi strutture Nato, come Germania e Italia, o alleati tipo il Giappone, con cui esiste una forte collaborazione militare che potrebbe essere violata. In Europa c’è preoccupazione anche per le attività in Gran Bretagna, mentre la Francia è scettica sui cinesi. In Asia, oltre al Giappone, Huawei è attiva nella Corea del Sud, che però l’ha esclusa dallo sviluppo del 5G. In Africa è presente in Sudafrica, e in America Latina è appena tornata in Brasile. L’allarme esiste da anni, molto prima di Trump o del governo giallo-verde, e i servizi di Intelligence italiani lo condividono. È una valutazione tecnica oggettiva, che non ha nulla a che vedere con le inclinazioni politiche dei vari esecutivi, o con la legittima speranza del nostro Paese di sviluppare le relazioni economiche con Pechino. La preoccupazione si spinge al punto di tutelare gli stessi capi dei governi, che possono essere esposti ad attacchi digitali. Aziende come Huawei e Zte, ad esempio, sono solite fare omaggi a presidenti e primi ministri che le visitano. In apparenza sembrano regali innocui, tipo l’ultimo smartphone prodotto, ma in realtà si tratta di apparecchiature utilizzabili per lo spionaggio, che gli uomini dell’Intelligence sequestrano prontamente per evitare la loro attivazione. È accaduto anche con i rappresentanti degli ultimi esecutivi italiani, e non solo. Le contromisure La questione è stata discussa tra i servizi dei Paesi alleati, e la Gran Bretagna ha avviato un’operazione coordinata con gli altri. In sostanza ha permesso alle aziende cinesi di entrare nei suoi confini, in apparenza per usare la loro tecnologia e concludere affari vantaggiosi. Huawei, ad esempio, ha aperto un laboratorio a Cambridge. In realtà, però, questo via libera è stato concesso proprio per studiare da vicino cosa facevano le compagnie digitali della Republica Popolare, scoprire le tecniche che usano per lo spionaggio, e condividerle poi con le nazioni amiche allo scopo di facilitare le loro difese. Nel luglio scorso, infatti, lo Huawei Cyber Security Evaluaton Centre gestito dall’agenzia britannica Gchq ha emesso un parere negativo sulle attività dell’azienda cinese, che è stata bandita in Australia e India. Negli Usa Huawei e Zte sono vietati dall’agosto scorso, e la disputa tecnologica sarà uno dei temi dell’incontro del primo dicembre a Buenos Aires fra i presidenti Trump e Xi. Nel frattempo Washington preme sugli alleati, offrendo anche sovvenzioni per spingerli a comprare prodotti non cinesi. Scegliere di continuare la collaborazione con Pechino diventerebbe dunque un affronto, che andrebbe oltre la tutela degli interessi economici dell’Italia.

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