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La Stampa Rassegna Stampa
06.11.2018 Iran: le sanzioni indispensabili per frenare il regime degli ayatollah
Servizi di Giordano Stabile, Francesca Schianchi, Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 06 novembre 2018
Pagina: 2
Autore: Giordano Stabile - Francesca Schianchi - Francesca Paci
Titolo: «Petrolio e banche, Trump assedia l’Iran. Rohani: è guerra, aggireremo le sanzioni - Casa Bianca, per l’alleata Roma l’esenzione dura solo sei mesi - Salari dimezzati e rial in caduta libera: 'Qui a Teheran assalteranno i forni'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/11/2018, a pag.2 con il titolo "Petrolio e banche, Trump assedia l’Iran. Rohani: è guerra, aggireremo le sanzioni" la cronaca di Giordano Stabile; con il titolo "Casa Bianca, per l’alleata Roma l’esenzione dura solo sei mesi", la cronaca di Francesca Schianchi; a pag. 3, con il titolo "Salari dimezzati e rial in caduta libera: 'Qui a Teheran assalteranno i forni' ", la cronaca di Francesca Paci.

A destra: Donald Trump: "Le sanzioni stanno arrivando"

Ecco gli articoli:

Giordano Stabile: "Petrolio e banche, Trump assedia l’Iran. Rohani: è guerra, aggireremo le sanzioni"

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Giordano Stabile

L’America impone le sanzioni più «dure di sempre» all’Iran e intima agli ayatollah di «invertire la rotta». Teheran risponde alla sfida e assicura che riuscirà a «spezzare il blocco», mentre l’Europa non riesce a trovare un modo per proteggere le sue aziende e tenere in vita l’accordo sul nucleare firmato nel 2015. Ad annunciare nel dettaglio il nuovo round è il segretario di Stato Mike Pompeo. Riguarda oltre 700 fra individui, aziende, organizzazioni, compagnie marittime e aeree. Sono incluse le principali banche, che saranno tagliate fuori dal sistema di transazioni internazionali Swift. Diventa impossibile fare affari. «Il regime ha una scelta – incalza Pompeo –: o fa inversione di marcia e si comporta come un Paese normale o vedrà la sua economia crollare».

Pompeo conferma però anche «esenzioni» per otto Paesi, compresa l’Italia. Potranno continuare ad acquistare petrolio dall’Iran per sei mesi. Oltre all’Italia sono Cina, India, Giappone, Turchia, Corea del Sud, Taiwan e Grecia. Non è uno sconto da poco perché assieme coprono l’83% delle esportazioni iraniane, secondo i dati elaborati dal Csis. La Casa Bianca ha voluto evitare una fiammata dei prezzi con un blocco immediato e totale, e sottolinea, con l’inviato speciale Brian Hook, che l’export di Teheran è già calato di 1 milioni di barili al giorno, «il regime ha perso 2,5 miliardi», e presto «non avrà più alcun introito da spendere in terrorismo, proliferazione missilistica, guerre per procura, o programmi nucleari».

Per gli analisti mediorientali è un chiaro auspicio di «cambio di regime», anche se il presidente Donald Trump, venerdì, non aveva usato quell’espressione e aveva preferito citare il «Trono di Spade». A conti fatti, però, l’azione sembra meno incisiva di quanto si pensasse. Ad aprile, prima che l’America si ritirasse dall’accordo, l’export iraniano aveva toccato un picco di 2,88 milioni di barili. A settembre è sceso a 1,8 milioni. Il «livello zero» è ancor lontano e secondo gli specialisti che monitorano i movimenti delle petroliere l’export potrebbe essere più alto dei dati ufficiali. L’Iran già in passato ha usato il baratto per aggirare il blocco, è sotto pressione dal ’79, conta di resistere. Prima ancora che parlasse Pompeo, ieri mattina, il presidente Hassan Rohani ha promesso: «È guerra, spezzeremo le sanzioni, con onore, perché sono illegali».

Il nodo del «veicolo speciale»
Anche se la Borsa crolla, il fronte interno è più compatto, le critiche dei conservatori si sono placate, i pasdaran hanno lanciato una grande esercitazione militare, ma Rohani ha bisogno dell’appoggio degli altri firmatari dell’intesa sul nucleare, Francia, Gran Bretagna, Germania, Russia, Cina e Ue. L’Europa sembra in panne. A settembre l’Alto rappresentante Federica Mogherini aveva annunciato l’istituzione di un «veicolo speciale», un’entità giuridica, per permettere gli scambi finanziari e proteggere le aziende europee. Di questo «veicolo», o Spv, non c’è traccia. Il problema è che nessuno dei 28 Paesi europei vuole ospitarlo. Secondo il «Financial Times», tutti «se lo rimpallano». Anche perché, come ha sintetizzato il direttore del centro studi Bruegel Guntram Wolff, «se il presidente di questa entità dovesse andare in vacanza a Miami rischierebbe di essere arrestato».

Pompeo aveva giudicato l’Svp come «una delle misure più controproduttive per la pace». La mossa americana di esentare alcuni Paesi europei è vista anche come un modo per sabotarlo e isolare Francia e Germania. Il tempo gioca a favore di Washington. Da maggio, quando Trump ha annunciato il ritiro dall’accordo su nucleare, si sono sfilate dall’Iran una dopo l’altra tutte le maggiori multinazionali. La francese Total ha rinunciato a un contratto da un miliardo di dollari per il giacimento Pars Sud. L’ha seguita l’italiana Eni, la tedesche Siemens e Daimler, poi la Peugeot, oltre all’americana General Electric e persino la russa Lukoil. ll mondo pragmatico dei businessmen ha già fatto la sua scelta.

Francesca Schianchi: "Casa Bianca, per l’alleata Roma l’esenzione dura solo sei mesi"

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Bandiere Usa bruciate in pubblico a Teheran

Un occhio di riguardo verso l’Italia. Così alla Farnesina interpretano la decisione dell’amministrazione americana di esonerare per sei mesi il nostro Paese, insieme ad altri sette (l’unico altro europeo è la Grecia) dalle nuove sanzioni scattate nella notte tra domenica e lunedì. Un riguardo che a Palazzo Chigi interpretano, sottolineandolo con una certa soddisfazione, come una scelta non casuale dell’alleato a stelle e strisce, ma frutto del buon rapporto tra Italia e Stati Uniti.Non è stata Roma, fanno sapere, a chiedere espressamente di rientrare nel novero degli Stati che hanno ottenuto questa dispensa temporanea, ma certo la decisione appare come un’ottima notizia per le nostre aziende.

E proprio così viene interpretata dal governo, come una cortesia nei confronti di un Paese amico che ha rapporti importanti con l’Iran: l’anno scorso, nel 2017, spiegano infatti che siamo stati i primi importatori da Teheran di petrolio dell’intera Europa. Questa esenzione, che riguarda solo il petrolio, permetterà quindi di chiudere in maniera ordinata i contratti in essere. Anche se ancora non si conosce la durata esatta: la nostra ambasciata a Washington ha avuto indicazioni di una durata massima di sei mesi, ma potrebbe anche essere inferiore.

Ovvero, il governo Conte ha qualche mese di tempo per trovare alternative alle importazioni di greggio dagli ayatollah. Appare lontano il tempo in cui il governo guidato da Matteo Renzi, accoglieva Hassan Rohani a Roma a braccia aperte e statue velate all’indomani dell’accordo che mise (temporaneamente) fine alle sanzioni. Non solo: fu proprio l’allora premier italiano il primo leader di Stato occidentale a presentarsi in Iran. È troppo presto per valutare quali potranno essere le conseguenze delle sanzioni, anche per noi. Per ora, resta qualche mese di vantaggio tattico grazie all’esenzione decisa ieri.

Francesca Paci: "Salari dimezzati e rial in caduta libera: 'Qui a Teheran assalteranno i forni' "

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Francesca Paci

Tra i mille volti di Teheran, sui viali che dai bassifondi scalano le alture opulente di una capitale socialmente scissa, l’alba del blocco totale svela una sola condivisa certezza: «the day after» è arrivato. Adesso si salvi chi può. «Non ci credevo, pensavo che alla fine Trump ci avrebbe ripensato» ammette mamma Neshem al mercato ortofrutticolo di Tajrish, dove tra settembre e ottobre tutto tranne il pane è aumentato del 47% mentre il suo stipendio d’impiegata è passato da 400 a 100 dollari al mese. Non ci credeva neppure il regime sul principio: sollevati dalla sventata vittoria della Clinton gli ayatollah avevano salutato con ottimismo l’avvento del pragmatico presidente manager salvo risvegliarsi bruscamente alla luce della sua visita a Riad.

«Le sanzioni accelereranno il caos in corso da sei mesi, la caduta libera del rial iniziata a marzo, il rincaro di tutto, la palude dei salari, temo uno scenario venezuelano con i poveri che assaltano i forni e la città» ammette Majid, decano dei tappeti di quel Gran Bazar dove un paio di mesi fa i commercianti, storicamente governativi, hanno incrociato le braccia per protestare contro il tracollo economico del Paese che ha visto i loro mensili passare da mille a 500 euro e i lavoratori di fatica afghani tornare a casa per disperazione. Molti, come l’assai conservatore maestro del té Haj Ali Darvish, riducono quella serrata a «una bravata» ma basta addentrarsi nei dedali bizantini perché si mormori di almeno 60 arresti e perché un gioielliere racconti di una corsa all’oro senza precedenti: «Gli iraniani più moderni comprano dollari, i tradizionalisti fanno la fila qui».

L’ondata di scioperi del 2018
Nei mesi scorsi lo sciopero dei bazarini, vero motore dell’economia nazionale, ha terremotato la resilienza del regime al pari di quelli dei camionisti. Oggi tutto tace al terminal di Nasimshahar, la capitale dei tir a 20 km da Teheran, dove tra le strade sterrate e puzzolenti d’inquinamento gli autisti dei bestioni da tonnellate di merci hanno tenuto il governo in scacco a più riprese. «L’agitazione si è fermata un paio di settimane fa» dice evasivo il titolare di uno dei mille chioschi di copertoni, specchietti, carrozzeria usata. Poi, cauto, butta là che però ci sarebbero stati almeno un centinaio di arresti.
L’euforia esagerata con cui nel 2016 Teheran celebrò l’intesa sul nucleare si specchia nella depressione di queste ore, con i nuovi fiammanti manifesti «Down with Usa» a campeggiare su via Ferdowsi dove uomini e donne fanno la fila per comprare valuta straniera con la loro carta quasi straccia: il cambio agevolato permette di ritirare al massimo 2 mila dollari ma per 100 euro ci vogliono 15 milioni di rial.

«Ho l’impressione che abbiano allentato la morsa contro di noi perché hanno un malessere sociale più pericoloso da gestire» ragiona una giovane architetta con il chador talmente sceso sui capelli da sembrare una sciarpa. Siamo sulla centrale Valiasr street e sebbene siano passati solo dieci mesi dall’arresto della ragazza senza velo in piazza Enghelab s’incrocia più d’una fanciulla con il foulard non in testa ma tra le mani. A parecchie fermate di metro da qui, parco Obi Ortash, una fitta macchia verde a ridosso del ponte Tabiat, Amir, laureato in ingegneria prestato per fame all’accompagnamento dei turisti (da 10 giorni il visto non viene più stampato sui passaporti ma rilasciato a parte per evitare grane con gli Stati Uniti), conferma il cambio di stagione: «Ci lasciano più in pace, adesso le feste dove ci ubriachiamo e ascoltiamo M.H project non sono a rischio. L’attenzione è sui poveri disperati, prova ne siano le impiccagioni eseguite anche nel mese solitamente senza esecuzioni di Muharram. Io però, anche se per cautela ho pagato in anticipo alcuni mesi di affitto, spero che le sanzioni picchino duro e facciano saltare il regime».

Tra furti e droga a pochi rial
L’allerta è massima. La polizia registra furti nelle auto e nei supermercati, le ragazze tengono la borsa stretta, i garage della ricca Teheran Nord si sono dotati di doppia cancellata. Chi lavora nell’antidroga rivela che eroina e metanfetamine, più economiche di un pasto completo, prolificano, estremo rifugio interclassista della cui esistenza ormai il governo non fa mistero, ammettendo almeno 3 milioni di tossicodipendenti ufficiali. Ed è fiorita la prostituzione stile cubano, un mese di lavoro con i turisti religiosi di Mashhad per comprare al mall Chaharsu un frigorifero Samsung che intanto è passato dai 70 milioni del 2017 ai 180 del 2018 e attende il nuovo rincaro post sanzioni già annunciato dalle commesse.
«Il vero perdente è il presidente Rohani che per anni ha chiesto invano all’Europa aiuti finanziari per avere quel potere economico senza cui in Iran non puoi far nulla, figurarsi le riforme» confida una fonte diplomatica. La sensazione degli analisti è che il regime sia tentato di tornare alla sussistenza del mercato nero d’epoca Ahmadinejad riportando la palla nel campo dei falchi. Il contrabbando del petrolio, il cui prezzo è fisso a neppure 5 centesimi al litro, fiorisce già lungo i confini con una fuoriuscita quotidiana di milioni di litri. Potrebbe moltiplicarsi arricchendo ulteriormente le casse con cui pasdaran e basij controllano già i più poveri.
«Sto cercando di ottenere un visto di un anno per starmene lontano dalla bufera, ma purtroppo siamo in tanti ad averci pensato» chiosa un ricercatore universitario a un tavolo della catena popolare Moslem, dove con 6 euro si mangia una porzione multipla di riso allo zafferano e agnello. Intorno a lui le famiglie dividono un piatto in 4 o 5 e lo puliscono bene. Da oggi bisogna risparmiare ancora di più.

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