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La Stampa Rassegna Stampa
03.10.2018 Walter Laqueur, addio allo storico di totalitarismi e terrorismi
Analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 03 ottobre 2018
Pagina: 22
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Walter Laqueur»

Riprendiamo dalla Stampa di oggi, 03/10/2018, a pag.22 con il titolo "Walter Laqueur" l'analisi del direttore Maurizio Molinari.

A destra: Walter Laqueur

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Maurizio Molinari

Con Walter Laqueur scompare, a 97 anni, uno degli storici più coraggiosi che la cultura occidentale ha espresso nella stagione del confronto con i totalitarismi. Nato a Breslau, Slesia del Sud, durante la Repubblica di Weimar in una famiglia ebraica decimata dai nazisti - genitori inclusi - Laqueur fugge, ad appena 17 anni, poco prima della Notte dei Cristalli e si rifugia nell’allora Palestina sotto mandato britannico trovando prima a Gerusalemme e poi in un kibbutz un riscatto dalla persecuzione che si trasforma in sfida intellettuale alle debolezze delle democrazie.
Scrittore, giornalista, ricercatore e docente universitario in più atenei negli Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele affronta in ogni stagione storica le verità più imbarazzanti per le democrazie. Inizia con la Seconda Guerra Mondiale, il nazismo e la Shoah per sostenere con forza - sulla base di una documentazione monumentale, accumulata anche negli anni del dopoguerra in cui dirige a Vienna la Biblioteca sul Genocidio - che «pur considerate tutte le possibili attenuanti, ragioni ed anche le scuse non c’è alcuna giustificazione possibile per il mancato intervento contro lo sterminio degli ebrei» da parte di presidenti, monarchi, papi, leader, sindaci, sindacalisti e chiunque altro abbia avuto una qualsiasi responsabilità nell’Europa occupata. Il j’accuse che Elie Wiesel rivolse all’America di Franklin D. Roosevelt per non aver bombardato Auschwitz nelle pagine dello storico Walter Laqueur si trasforma in processo ad ogni leader che avrebbe potuto agire ma - pur sapendo l’entità dei crimini in corso - scelse di restare inerme.

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Generazione Exodus
Quando lascia Israele per trasferirsi a Londra, andando ad abitare in una casa che si affacciava sulla tomba di Carlo Marx, Laqueur affronta con identico coraggio il tema al cuore della Guerra Fredda: la minaccia di un comunismo sovietico che ha il proprio cavallo di Troia nelle folte schiere di sovietologi intenti non solo a spiegare ma anche a giustificare le politiche più oppressive del Cremlino. Laqueur descrive le complicità degli intellettuali americani ed europei con l’Urss che schiaccia la rivoluzione ungherese e la Primavera cecoslovacca, crea l’arcipelago Gulag e foraggia con il Kgb il terrorismo che insanguina l’Europa e si accanisce contro Israele per aggredire la comunità delle democrazie.

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Terrorismo dal fanatismo
Poliglotta per vocazione, testimone della Storia, protagonista della «Generazione Exodus» - a cui dedica un romanzo - e analista spietato davanti ai fatti - preveggente la Storia del terrorismo che esce nel 1977 - Laqueur reagisce agli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti con libri e scritti che aggrediscono un altro tabù dell’Occidente: «Non è vero che il terrorismo Islamico nasce dalla povertà perché dai 49 Paesi più poveri del mondo non è arrivato nessun kamikaze, a partorirli sono piuttosto i Paesi dove regna il fanatismo religioso e l’esaltazione ideologica». Il riferimento alla pericolosità del radicalismo wahabita e del khomeinismo sciita si accompagna sempre, nelle sue pagine, alla convinzione che la genesi del conflitto arabo-israeliano sia nella «collisione fra opposti impulsi», quello arabo per «ricevere onore e dignità» e quello israeliano di «sopravvivere».
Sionista per vocazione dopo la Shoah, ha sempre interpretato il legame con Israele nello spirito dei padri fondatori, determinati a cercare con fermezza la coesistenza con il mondo arabo, ma senza mai cedere nulla sul fronte della sicurezza. Negli ultimi anni di vita, trascorsi fra le aule di Georgetown, i seminari del Centro di studi strategici e la residenza a Washington, Laqueur si dedica a due temi: il declino dell’Europa e la pericolosità della Russia di Putin. Spiegando il primo con litigiosità interna, crollo della competitività e l’arrivo di masse di musulmani fino ad essere indicato dall’Economist come «il profeta del declino europeo». E sottolineando la seconda con gli elementi di continuità ideologica fra il nazionalismo russo e l’attuale leader del Cremlino.

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Populismo russo
Nel libro sul Putinismo uscito nel 2015 parla di un «regime autoritario basato sul populismo» destinato a farsi largo sulla scena internazionale, soprattutto a scapito dell’Europa. Convinto sostenitore del patto atlantico per unire le democrazie contro ogni avversario, Laqueur fino all’ultimo non ha mancato occasione per suggerire al presidente Donald Trump di riportare l’America alla guida dell’Occidente «perché nessun altro è in grado di farlo». A chi gli chiedeva di descriversi rispondeva ricordando che «gran parte delle persone con cui sono cresciuto sono morte ad Auschwitz, Stalingrado e nella guerra d’indipendenza di Israele del 1948».

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