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La Stampa Rassegna Stampa
18.09.2018 Italia: violenza contro le donne nelle famiglie musulmane
Cronaca di Karima Moual

Testata: La Stampa
Data: 18 settembre 2018
Pagina: 11
Autore: Karima Moual
Titolo: «'Noi ragazze musulmane cresciute a pane e botte'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/09/2018, a pag. 11, con il titolo 'Noi ragazze musulmane cresciute a pane e botte', la cronaca di Karima Moual.

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Karima Moual

«Sono tutti scandalizzati per l’ennesima storia di una ragazza marocchina picchiata dal padre, perché fin troppo legata ai suoi amici italiani, oltre agli usi e costumi occidentali. Oh, ma quando si sveglieranno a capire che per tutte le ragazze musulmane che vogliono un minimo di libertà, questa è la prassi?». Sono le parole di Soltana in poche righe, su uno dei tanti gruppi di Facebook, ormai spazio di molte giovani musulmane, per sfogarsi, scambiarsi consigli e consolarsi a vicenda.

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E Soltana, pachistana di 17 anni, riesce a sintetizzare un dramma fin troppo rinchiuso tra le mura di casa, urlato nella propria lingua di origine ma tradotto a bassa voce in italiano, solo a poche amiche intime italiane. Un dramma che affiora in pubblico solo grazie alle poche che riescono a ribellarsi e denunciare. Ma se l’iniziativa che ci arriva da Soresina - la giovane marocchina di 16 anni, che ha trovato il coraggio per chiamare i carabinieri - per noi è la normalità, per le tante ragazze musulmane è invece qualcosa di straordinario.

Samira, 20 anni, genitori marocchini, ma lei nata in Italia, lo spiega Samira, 20 anni, genitori marocchini, ma lei nata in Italia, lo spiega così: «Non c’è alternativa: per schivare le botte o ci si sottomette o si vive una vita parallela. È una regola che tutte noi conosciamo bene. Denunciare significa fare tabula rasa di tutte le tue radici. Viviamo a pane e maltrattamenti per un’ora in più fuori casa, un ragazzo troppo vicino, un jeans troppo attillato, figuriamoci uscire la sera o sognare un fidanzato italiano. Viviamo una sofferenza difficile da superare e che nemmeno possiamo raccontare a tutti».

Mentire per sopravvivere
E allora come fare? Fatima, 18 anni, genitori egiziani ma anche lei nata in Italia, usa una sola parola: mentire. «Ho 18 anni - spiega - ma per i miei genitori sarò maggiorenne solo una volta sposata. Che poi, anche lì, so che per cultura dovrò passare nelle mani di un altro padrone, il mio futuro marito, che dovrà essere per forza di fede musulmana. Prego quindi di trovare un marito, amico e complice e non padrone. Praticamente un miracolo considerando come veniamo educati tra maschi e femmine. Ho una storia con un ragazzo italiano, tutta vissuta di nascosto e con la mia consapevolezza che mai potrà proseguire seriamente».
«Nel frattempo però - spiega ancora Fatima- per respirare un po’ di libertà non mi resta che mentire. Come facciamo un po’ tutte noi che ci va stretta la vita che i nostri genitori continuano a cucirci addosso, in un Paese che viaggia su altri binari». Ed è proprio così, una vita parallela piena di menzogne, come spiegano in tante. Shereen, 19 anni anche lei di origine egiziana, racconta: «Lo sai come faccio per godermi ad esempio una banale minigonna? Me la faccio portare dalla mia amica italiana, e la indosso in treno mentre viaggio per andare a scuola a 45 chilometri di distanza da casa mia. Tante volte penso che la mia vita sia un travestimento continuo ma non ho altra scelta».

Ma fino a quando durerà questo travestimento, e questa vita parallela che vivono genitori da una parte e le figlie ribelli dall’altra, senza mai che queste ultime possano effettivamente presentarsi a viso scoperto? Sicuramente la strada è ancora molto lunga, perché siamo solo alla prima fase e lo scontro è fin troppo violento. Molte quindi, si accontentano di quei pochi attimi di libertà rubata, per poi sottomettersi e accogliere come il proprio destino la volontà del genitore di vederle sposate con un connazionale. Mentre virare per una vita tutta italiana, è ancora di rottura estrema che poche riescono a intraprendere.

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direttore@lastampa.it

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