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La Stampa Rassegna Stampa
08.09.2018 Svezia: essere contro la sottosmissione islamica non è essere neonazi
Cronaca di Monica Perosino

Testata: La Stampa
Data: 08 settembre 2018
Pagina: 7
Autore: Monica Perosino
Titolo: «Nel sobborgo più etnico di Stoccolma il sogno di Palme si arrende ai neo nazi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/09/2018, a pag.7 con il titolo "Nel sobborgo più etnico di Stoccolma il sogno di Palme si arrende ai neo nazi" il servizio di Monica Perosino

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Il leader Jimmie Åkesson

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Olof Palme, grande amico dei dittatori

Il pezzo è discretamente equilibrato, con due eccezioni:
1) Fuori luogo la citazione di Olof Palme, fu lui a dare il via in forma ufficiale alla apertura indscriminata all'invasione dell'immigrazione musulmana. Fu anche da sempre amico dei più fanatici dittatori del secolo scorso, da Fidel Castro a Yasser Arafat
2) come nelle altre corrispondenze il titolo è disinformante, scrivere 'neonazi' non corrisponde alla attuale realtà del partito dei Democratici Svedesi, persino la cronista lo definisce "
il partito di ultradestra con origini neonaziste e una politica incentrata su sovranismo e blocco dei migranti", di origine, il che fa la differenza. In tutti i paesi europei dove si affermano i partiti che non accettano la sottomissione all'islam, i media li definiscono 'neo nazi', che è ovviamente una menzogna.

Ecco la cronaca:

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Monica Perosino

Iniziò tutto da qui, a Rinkeby, Nord di Stoccolma. È con queste casette gialle, verdi e rosa che il sogno dell’icona della socialdemocrazia svedese, Olof Palme, iniziò a diventare realtà. Dal 1965, su terreni militari in disuso, spuntarono le prime case popolari del Miljonprogrammet, il Programma Milione, l’ambizioso piano di «edilizia proletaria» che in dieci anni garantì a prezzi bassissimi alloggi a quasi 900.000 persone in tutto il Paese. Gunnar Olof Gustavson ha 78 anni e fu uno dei primi a trasferirsi qui. Ex saldatore, ha votato per tutta la vita socialdemocratico: «Ma ora il welfare è morto, Palme non se lo ricorda più nessuno, anzi qua nessuno sa neanche chi fosse Olof Plame». A Rinkeby, 16 mila abitanti, 65 etnie, centinaia di nomadi rom, il 95% degli abitanti è di origine straniera, iracheni e somali per lo più, ma anche molti turchi e greci. Gunnar è sospettoso, si guarda attorno, poi apre la porta di casa, al primo piano di una palazzina circondata da prati e roseti. Tiene a dire che è vedovo da quarant’anni e, abbassando di un tono la voce, che voterà per i Democratici svedesi, la formazione di origine neonazista che punta tutto sul blocco dell’immigrazione, la Swexit e un welfare che metta al primo posto gli svedesi: «Gli svedesi veri, non quelli che ce l’hanno scritto solo sul passaporto». Gunnar accenna al via vai di persone che si intravedono sotto le sue finestre: sono immigrati di prima, seconda o terza generazione: «Qui se non parli arabo capirsi è impossibile» dice il vedovo mentre versa la quarta tazza di caffè Löfbergs. Mai come alla vigilia di queste elezioni la Svezia è spaccata in due. Si sente parlare di voti, percentuali, candidati e sondaggi ovunque: in coda al supermercato Ica, sulla metro, perfino tra sconosciuti alla fermata dell’autobus – confidenza impensabile fino a pochi mesi fa nella riservata Svezia. E la tensione ormai non è più solo una percezione. Si sente e si vede. Gli attacchi verbali, gli scambi di accuse, le denunce incrociate tra candidati non sono mai state così violente. Nelle primissime ore di ieri, mentre si diffondeva la notizia che la Sapo stava indagando su un tentativo di omicidio ai danni del leader degli Sd, Jimmie Akesson, e di suo figlio Nils di 4 anni, veniva diffuso un rapporto della Oxford University che svelava come un terzo delle notizie sull’immigrazione diffuse in Svezia fossero false e create da hacker per manipolare le elezioni. Hacker legati ai Democratici svedesi. Negli stessi minuti il tabloid Expressen accusava Jonas Sjöstedt, il leader del Partito di sinistra (Vansterpatiet, che potrebbe essere la vera rivelazione del voto di domani con un balzo dal 5,7 al 10,2%), di essere legato a movimenti terroristici come il Grupp 194. La consapevolezza di essere al punto di svolta, auspicato da qualcuno, temuto da altri, ha trasformato la patria del lagom, del giusto mezzo, in un campo di battaglia. In ballo c’è la storia del Paese considerato il più progressista d’Europa, con il suo stato sociale generoso e l’apertura verso i rifugiati, le avanzate politiche in tema di diritti e libertà individuali. Le elezioni di domani potrebbero segnare il brusco risveglio dal rassicurante sogno socialdemocratico che dura da 101 anni. Perché domani, e nessuno può smentire Jimmie Åkesson, «si vota un referendum sul welfare, che deciderà tra chi ci ha riempito di immigrati e chi vuole la Svezia per gli svedesi». Per ora l’unica certezza è l’incertezza, con i sondaggi che sembrano giostre fuori controllo. La domanda è solo una: ce la faranno i Democratici svedesi, il partito di ultradestra con origini neonaziste e una politica incentrata su sovranismo e blocco dei migranti, a diventare il secondo partito del Paese e a superare il 20% dei voti? Secondo l’ufficio statistico Sifo la partita si gioca sul filo di lana, e su quel 5% di elettori che decideranno solo domani cosa votare. Sulla possibilità che i Democratici svedesi possano arrivare a diventare primo partito (lo ipotizzerebbe un sondaggio YouGov) il direttore di Sifo, Sjörén, è categorico: «Lo escludo nel modo più assoluto». Le ultime rilevazioni danno i Socialdemocratici al 25,1%, i Moderati al 17,2% e i Democratici svedesi al 16,9, con un margine di errore dello 0,8%. Si dice che qua, a «Mogadiscio», com’è soprannominato Rinkeby, quando succede qualcosa «è qualcosa di brutto». Stephanie Kessler, 20 anni, disoccupata e «svedesissima», osserva Gunnar che entra al supermarket Oriental livs: «Molti voteranno per l’ultradestra, ma io non voglio tornare al medioevo, non voglio cedere a chi mi dice che non ho lavoro perché lo danno agli immigrati. Siamo svedesi e siamo socialdemocratici». L’ultima parola è di Gunnar: «Povera illusa, cambierai idea».

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