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La Stampa Rassegna Stampa
13.08.2018 Israele, Legge della nazione: il dibattito sulla Stampa
Intervento a favore di Mordechai Kedar, contro di Abraham B. Yehoshua

Testata: La Stampa
Data: 13 agosto 2018
Pagina: 20
Autore: Mordechai Kedar - Abraham B. Yehoshua
Titolo: «Protegge la nostra identità dai nemici esterni - Ferisce la convivenza tra noi e gli altri popoli»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/08/2018, a pag. 20-21, con i titoli "Protegge la nostra identità dai nemici esterni", "Ferisce la convivenza tra noi e gli altri popoli", i commenti di Mordechai Kedar, Abraham B. Yehoshua.

Complimenti alla Stampa, che ha il merito di fare un'ottima scelta per il dibattito sulla "Legge della nazione" israeliana, in particolare per quanto riguarda Mordechai Kedar, analista politico e professore universitario noto in Israele e conosciuto, in Italia, dai lettori di IC,che pubblica tutti i suoi commenti da anni

La Repubblica oggi, forse per un fortunato errore, pubblica a pag. 14 la dichiarazione di Benjamin Netanyahu sulla manifestazione che si è svolta a Tel Aviv contro la Legge della nazione. Ecco le parole del premier d'Israele: "Molti dei dimostranti vogliono abrogare la Legge del Ritorno, cancellare l'inno nazionale, ammainare la nostra bandiera, abolire Israele e il popolo ebraico e, come ha detto il loro portavoce, cambiarlo in uno Stato ebraico palestinese", commentate da Angelo Pezzana oggi in altra pagina di IC: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=71708

Ecco gli articoli:

Mordechai Kedar: "Protegge la nostra identità dai nemici esterni"


Mordechai Kedar

Molto si è scritto contro la nuova legge israeliana che proclama Israele uno Stato nazionale del popolo ebraico. Molti, in Israele e all’estero, si chiedono a cosa servisse questa legge, come si concilia con la democrazia e quale sarà ora lo status delle minoranze, in particolare degli arabi musulmani, che rappresentano circa il 20 per cento della popolazione israeliana.
Per comprendere la necessità di questa legge dobbiamo capire la sfida rappresentata dall’esistenza stessa di Israele in Medio Oriente. Prima di tutto, l’aspetto religioso: secondo l’islam, il giudaismo e il cristianesimo sono «din al-batel» («religioni false»), mentre solo l’islam è «din al-haqq» («religione della verità»), e di conseguenza da quando il mondo ha conosciuto l’islam il giudaismo non vale più nulla, e non esiste alcun motivo di fondare uno Stato ebraico.

Inoltre, secondo l’islam, gli ebrei (e i cristiani) dovrebbero vivere sotto la legge islamica come «Dhimmis» («Protetti fintanto che si comportano secondo le regole islamiche») e «pagare la jizya e rimanere sottomessi» (Corano 9:29). Di conseguenza, gli ebrei non avrebbero diritto ad avere uno Stato, un esercito, una polizia, e dovrebbero vivere umiliati, alla mercé dei musulmani. L’islam ha forgiato la cultura del Medio Oriente negli ultimi 14 secoli, e le altre minoranze religiose mediorientali – i cristiani, i drusi, gli alawiti e altri – hanno accettato questa idea musulmana.

Quanti italiani accetterebbero di vivere sotto il governo islamico?
Secondo punto, l’aspetto nazionale: il fatto che Israele sia uno Stato nazionale del popolo ebraico viene rifiutato da tutti i suoi vicini. Per esempio, l’articolo 20 della Carta nazionale palestinese recita (tra parentesi, il mio commentario): «Il Mandato palestinese e tutto quello che ne deriva» (la decisione internazionale di fondare uno Stato ebraico) «è ritenuto nullo. Le rivendicazioni di legami storici o religiosi degli ebrei con la Palestina sono incompatibili con i fatti storici e con la concezione vera di quello che costituisce uno Stato» (nella Terra Santa non c’è una storia ebraica). «Il giudaismo, essendo una religione, non è una nazionalità distinta, e gli ebrei non costituiscono una nazione distinta con una propria identità: essi sono cittadini degli Stati dai quali provengono» e quindi noi ebrei dovremmo lasciare la terra dei nostri padri e tornarcene in Polonia (Auschwitz), Germania (Dachau), Iraq, Marocco ecc.

Ogni Paese al mondo, Italia inclusa, sostenendo la fondazione di uno Stato palestinese, sostiene implicitamente anche queste idee. La nuova legge vuole rendere chiaro quanto possibile che noi, ebrei, siamo una nazione, che «la terra di Israele è la patria storica del popolo ebraico, nella quale è stato fondato lo Stato israeliano; lo Stato d’Israele è la casa nazionale del popolo ebraico, che così realizza il suo diritto naturale, culturale, religioso e storico all’autodeterminazione; il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale nello Stato d’Israele appartiene esclusivamente al popolo ebraico», recita la legge. Proprio come l’Italia, Stato nazionale del popolo italiano, la Francia, Stato nazionale dei francesi, Israele è lo Stato nazionale del popolo ebraico.
Esistono però anche ebrei israeliani che si oppongono alla legge sullo Stato nazionale per varie ragioni, in primo luogo politiche: molti appartenenti alla sinistra della mappa politica non amano Netanyahu in quanto tale, e criticano tutto quello che fanno lui e la sua coalizione.

Un’altra ragione, più importante, è quanto accaduto alla Corte Suprema dal 1992, quando venne nominato giudice Aharon Barak, che si dedicò alla «rivoluzione costituzionale» (una frase che egli stesso ha coniato) israeliana, privilegiando e promuovendo i diritti umani a spese del carattere ebraico dello Stato. Il migliore esempio di questa rivoluzione è il movimento arabo al-Ard, il cui scopo era quello di cancellare il carattere ebraico e sionista di Israele. Il movimento cercò di correre alle elezioni della Knesset nel 1965, ma venne respinto dalla Corte Suprema. 31 anni dopo, nel 1996, la Corte Suprema presieduta da Aharon Barak permise al Partito Balad di candidarsi alla Knesset, nonostante avesse – e abbia tuttora – un programma molto simile a quello di al-Ard negli Anni Sessanta.

In Israele abbiamo anche quelli che credono nel multiculturalismo, che naturalmente si oppongono alla legge. Quando noi israeliani vediamo cosa è successo in Europa per colpa del multiculturalismo, vogliamo allontanarci quanto possibile da questa idea distruttiva. Se gli europei vogliono commettere un suicidio culturale auguriamo loro buona fortuna. Noi invece non vogliamo perdere il nostro carattere nazionale, la nostra patria, il nostro Stato e la nostra cultura. La legge sullo Stato nazionale deve garantire che Israele non venga sacrificata sullo stesso altare su cui l’Europa sta commettendo un suicidio culturale.

Abraham B. Yehoshua: "Ferisce la convivenza tra noi e gli altri popoli"

Immagine correlata
Abraham B. Yehoshua

Risultati immagini per tel aviv palestinian nation state law
La manifestazione contro la Legge della Nazione a Tel Aviv, con le bandiere delloStato palestinese

Qual è, a mio parere, il motivo dell’approvazione della nuova legge che sancisce il carattere ebraico dello Stato di Israele, l’ebraico come unica lingua ufficiale e incoraggia lo sviluppo futuro degli insediamenti, sottolineandone il valore nazionale? Perché questo provvedimento suscita l’indignazione dell’ala liberale di Israele, dell’opposizione in Parlamento e di molti accademici, che la vedono come un ulteriore avvicinamento a uno stato di apartheid non solo nei territori palestinesi della Cisgiordania ma anche entro i confini della Linea Verde?
Anche il presidente Reuven Rivlin, per anni membro del Likud (il partito di maggioranza al governo), ha criticato apertamente il premier Netanyahu e i suoi ministri chiedendo il rinvio dell’approvazione del recente decreto, o almeno alcuni suoi significativi emendamenti.

La legge ha suscitato le forti proteste della comunità drusa, profondamente legata all’identità israeliana. Una comunità che ha rappresentanti in Parlamento (per lo più, ironicamente, nei partiti di destra) e i cui figli si arruolano nell’esercito e prestano servizio in unità di combattimento e di élite. Una comunità che parla l’arabo, retrocesso dalla nuova legge da lingua ufficiale - a fianco dell’ebraico - a «speciale»: una definizione poco chiara e non ben definita.

Anche la minoranza palestinese è giustamente insorta contro questo decreto in cui non compaiono i termini «democrazia» e «uguaglianza», presenti invece nella Dichiarazione di Indipendenza redatta alla fondazione dello Stato, nel 1948, in cui si specifica che Israele assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti, senza distinzione di religione, razza o sesso.

Nemmeno agli ebrei della diaspora è chiaro l’onnicomprensivo concetto di «nazionalità ebraica» che li vede inclusi. Un ebreo, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, il cui compito è di interpretare la costituzione di quello stato, può ritenersi parte della nazione ebraica? E in che modo la sua nazionalità americana si integrerà con quella ebraica? C’è una sovrapposizione fra le due o sono in contraddizione? Se l’ebraismo è per lui solo una componente culturale o religiosa della sua identità americana, Netanyahu ha il diritto di imporgli una nazionalità chiaramente connessa allo Stato di Israele che lui forse non desidera?

Malgrado sia essenzialmente dichiarativa, la nuova legge è comunque superflua e colpisce gravemente l’identità israeliana, un’identità nella quale si accomunano tutti i cittadini dello Stato. Il nome della nazione in cui viviamo è Israele e tutti i suoi cittadini posseggono una carta d’identità israeliana, non ebraica. Che bisogno c’è quindi di un provvedimento simile? Dopotutto, già nel 1947, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale durante la quale un terzo del popolo ebraico è stato sterminato, le Nazioni Unite riconobbero il suo diritto a uno Stato.

Se volessimo chiarire il motivo profondo di questa norma giuridica provocatoria e inutile, ho l’impressione che lo si debba cercare non nel passato ma nel futuro. Ovvero nel dibattito sull’avvenire della Cisgiordania, dove circa due milioni e mezzo di palestinesi vivono sotto occupazione militare. L’auspicata soluzione di due Stati per due popoli appare sempre più inattuabile col passare del tempo, soprattutto a causa della presenza di quattrocentomila israeliani negli insediamenti in Cisgiordania, che sarà impossibile sradicare con la forza se non a prezzo di una sanguinosa guerra civile.

Lo schieramento per la pace sostiene che il proseguimento della costruzione di insediamenti e il deliberato e continuo rinvio del processo di pace trasformeranno profondamente l’identità ebraica di Israele, la cui popolazione, in futuro, sarà costituita dal quaranta per cento di palestinesi e dal sessanta per cento di ebrei. Per difendersi da questa asserzione, considerata dalla maggior parte degli israeliani più teorica che politica, il governo Netanyahu, convinto che le parole possano cambiare la realtà dei fatti, ha varato in maniera affrettata e irresponsabile una legge nazionalista che definisce Israele come Stato del popolo ebraico, rendendo così nebulosi i diritti democratici delle minoranze presenti nel Paese.

Che lo si voglia o no Israele sta scivolando lentamente verso una realtà di doppia nazionalità, costituita dal sessanta per cento di cittadini ebrei e dal quaranta per cento di palestinesi, fra cui due milioni con cittadinanza israeliana e altri due milioni e mezzo privi di diritti civili in Cisgiordania. Due milioni e mezzo di palestinesi che, prima o poi, chiederanno i loro diritti e noi, a dispetto delle parole vuote della recente legge, non potremo negarglieli.

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