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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/07/2018, a pag.13, con il titolo "Nella scuola del regime la guerra civile descritta come catastrofe naturale" il commento di Francesca Paci.
Come sarà la Siria di domani? Uno sguardo sul Paese che a 87 mesi, 500 mila morti e 5,6 milioni di rifugiati dalle prime pacifiche proteste contro il regime di Assad è ancora lontano dalla pacificazione ci viene dal rapporto sui libri di testo dell’anno scolastico 2017-2018 appena pubblicato dal think thank Impact-se (Insitute for Monitoring Peace and Cultural Tolerance in School Education). Parliamo ovviamente delle zone riconquistate da Damasco, e (così come a suo tempo nei territori controllati e indottrinati dallo Stato islamico) la didattica segue passo passo la narrativa politica. In questo caso dunque, idioma russo obbligatorio, panarabismo identitario, la storia degli ultimi 7 anni «raccontata come una catastrofe naturale più che come un virulento conflitto civile».
Già dal 2014 il russo fa il paio con l’arabo nella formazione linguistica degli alunni siriani e affianca lo studio della cultura, soprattutto scientifica, prodotta durante e dopo l’Unione Sovietica (Yuri Gagarin, si evince dal rapporto, sembra quasi un eroe nazionale). Di contro, se la formazione scolastica prelude ad indirizzi diplomatici, allora le poche pagine dedicate all’ex impero persiano tradiscono un certo rifiuto della cultura politica komehinista (ad eccezione della comune avversione per Israele) e un atteggiamento piuttosto antagonista (la provincia iraniana di Khuzestan, storicamente percorsa da tensioni etniche e invasa nel 1980 dall’Iraq baathista di Saddam, viene indicata seccamente come un territorio arabo). Vale a dire che seppure tatticamente l’alleanza politica tra Damasco e Teheran resta solida, le sinergie perdono terreno sul piano culturale (al contrario c’è grande enfasi sull’antica civiltà egiziana). Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante direttore@lastampa.it |
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