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La Stampa Rassegna Stampa
05.07.2018 Coreografi israeliani in Italia: cosa non si fa per evitare le contestazioni dei 4 gatti odiatori
Francesca Rosso intervista Sharon Fridman, da 12 anni residente in Spagna

Testata: La Stampa
Data: 05 luglio 2018
Pagina: 58
Autore: Francesca Rosso
Titolo: «La danza sa creare un linguaggio puro lontano dalla guerra»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/07/2018, a pag.58 con il titolo "La danza sa creare un linguaggio puro lontano dalla guerra" l'intervista di Francesca Rosso al coreografo israeliano Sharon Fridman

 

Cosa non deve fare un coreografo israeliano per evitare che i soliti 4 gatti distrbuicano del volantini che invitano a non entrare nel teatro? Una bella dichiarazione contro la guerra, poi lisciare il pelo ai nemici con queste parole "Cresciamo in posti in cui siamo sempre contro qualcuno e il denaro va verso le guerre e le armi usate contro persone che vogliono vivere con noi, è un po’ assurdo. Con la danza il linguaggio è puro e lontano dalla guerra» E poi essere residente in Spagna da 12 anni.
Si accontenteranno i 4 gatti richiosi?

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Francesca Rosso                 Sharon Fridman

«All ways» è lo spettacolo della Compagnia Sharon Fridman che debutta in prima nazionale sabato alle 21,30, in piazza del Popolo a Vignale. Significa «in tutti i modi» , o «tutte le strade» e suona anche come «always», «sempre». Molte vie possibili, ma solo una conduce a noi stessi. Fridman, israeliano classe ’80 da 12 anni residente in Spagna, crea una composizione circolare: i danzatori si muovono come un unico corpo, senza sosta, alla ricerca di una continua armonia dinamica.
Che cosa racconta lo spettacolo?
«È una composizione per 6 danzatori ispirata ai 5 passi vitali che l’individuo percorre nella sua necessità di adattamento. Ogni volta che ci troviamo in un nuovo spazio o situazione affrontiamo 5 passaggi: prima ci sentiamo persi e cerchiamo una direzione; il secondo momento è la ricerca del potenziale nel nuovo ritmo e dentro la società che ci accoglie; il terzo riguarda il sogno e la possibilità di avere una nuova visione nella ricerca di senso; il quarto è l’innamoramento e la necessità di un attaccamento emozionale; infine il nuovo organismo comincia a diventare parte di un progetto più grande e inizia a costruire un nuovo paesaggio».
Che rapporto c’è tra individuo e società?
«Cerco le potenzialità del movimento all’interno di questo organismo costruito da 6 corpi che diventano uno. L’adattamento progressivo parte dalle potenzialità che abbiamo come individui in relazione allo spazio che abbiamo a disposizione e agli altri».
E il ritmo?
«A volte lo spazio è diverso da quello che conosciamo o immaginiamo e possiamo adattarlo a noi proprio attraverso il ritmo che decidiamo di abitare. L’importante è trovare un linguaggio emozionale che parli al cuore e non alla mente».
In «All ways» si è avvolti da un movimento a spirale.
«La fluidità è fondamentale perché significa che ogni cosa è viva. La sensazione del cerchio permette di toccare nuovi aspetti mentre altri sono ancora presenti. È l’idea di avere ogni cosa pulsante, viva, in movimento, “all the ways”, “todos los caminos”, sempre».
Anche i 5 passaggi non sono rigidi?
«Tutto è fluido, non sono gradini. L’idea non è tanto rappresentare gli atomi o l’energia ma la connessione che si crea fra individui vedendo persone che lottano per qualcosa. È da vedere e sentire, parlarne non aiuta a capire».
La danza israeliana sta vivendo un momento di grande popolarità in tutto il mondo. A cosa si deve questo successo?
«Israele è un Paese nato nel 1948. Non è mai esistita la danza classica, ma subito un immersione nel contemporaneo con la Batsheva Dance Company legata a Martha Graham. La linea di sviluppo è sempre stata concentrata sul presente e sul futuro. In più la creazione di un’identità artistica è un bisogno politico e culturale».
C’è una forza e una riconoscibilità uniche nella danza israeliana. Cosa ne pensa?
«La necessità di inventarsi e raccontarsi in modo puro è molto forte. Israele è un Paese dove i conflitti sono sempre presenti. Cresciamo in posti in cui siamo sempre contro qualcuno e il denaro va verso le guerre e le armi usate contro persone che vogliono vivere con noi, è un po’ assurdo. Con la danza il linguaggio è puro e lontano dalla guerra».
La forza è molto presente.
«La cultura permea ogni aspetto. Siamo allenati nell’esercito, siamo sempre insieme, impariamo a essere forti. Con la danza possiamo finalmente esplodere all’esterno».
È culturale anche la necessità di cercare nuovi spazi come racconta «All ways»?
«La danza permea ogni aspetto della vita e ci obbliga ad adattarci costantemente a un nuovo presente creando nuovi organismi».

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direttore@lastampa.it

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