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La Stampa Rassegna Stampa
03.07.2018 Quando la paura si taglia con il coltello
Reportage dalla Baviera di Francesca Sforza

Testata: La Stampa
Data: 03 luglio 2018
Pagina: 11
Autore: Francesca Sforza
Titolo: «Nella Baviera che si sente invasa 'Per la strada nessuno parla tedesco'»

Riprendiamo dallaSTAMPA di oggi, 03/07/2018, a pag.11 con il titolo "Nella Baviera che si sente invasa 'Per la strada nessuno parla tedesco' " il reportage di Francesca Sforza

Con gli attentati, tutti di matrice islamica, verificatisi in Germania,  l'atmosfera di paura raccontata da Francesca Sforza ci pare più che motivata. Il titolo della Bild «Questo soggetto pericoloso gode della protezione dello Stato». ci pare tutt'altro che campato in aria, in un paese dove in troppi casi alla polizia è stato ordinato di non citare le provenienze di chi commette atti criminali.

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Francesca Sforza                Monaco, aeroporto

Tutta colpa dei bavaresi, dicono a Berlino. Colpa loro se salta Frau Merkel, se il Paese scivola nell’incertezza, se l’Europa perde la bussola; e colpa loro anche se alla fine non succede niente, perché disturbano, si agitano, e alla fine si confermano «uno sgorbio politico» come diceva lo storico prussiano Heinrich von Treitschke, ieri di nuovo ripescato e ampiamente citato dalla grande stampa tedesca. «Ma che ne sanno a Berlino di quello che succede qui?», dicono i genitori della scuola elementare sulla Guldeinstrasse, non lontano dalla stazione centrale di Monaco di Baviera, un quarto d’ora di cammino dalle scintillanti vetrine che portano alla Marienplatz, dove c’è la fila davanti alla Apple e le signore escono dai negozi cariche di pacchi perché sono cominciati i saldi. «Prima i bambini tornavano a piedi - dice un papà che è venuto a prendere il figlio - ma con tutta questa gente che si aggira intorno alle scuole senza fare niente abbiamo paura, e allora veniamo a prenderli, magari ci organizziamo fra noi, certo non li possiamo lasciare da soli». C’è più ricchezza che a Berlino, qui, e anche più paura. «Ha sentito qualcuno parlare tedesco sulla Bayerstrasse?», chiede la mamma di una bambina di nove anni, in attesa di riprenderla dalla ginnastica. «Ci faccia caso, tutti uomini, soli o in gruppo, e nessuno che parli tedesco». Non ha detto «tutti neri», ma ha fatto un gesto secco portandosi le mani verso il viso, quasi dicesse che erano dipinti, con le facce truccate. I dati sulla criminalità non parlano di un aumento di reati legati alla presenza di rifugiati o richiedenti asilo o migranti economici, ma cambia poco: la paura cresce e l’economia soffre. Anche in assenza di reali flessioni della crescita, l’ultimo bollettino dell’Ifo, il più autorevole istituto economico tedesco, parla di un peggioramento complessivo spalmato su tutti i settori: «Gli imprenditori sono meno soddisfatti della loro situazione economica rispetto a un mese fa - si legge - e nel settore manifatturiero l’indice è migliorato solo perché le valutazioni erano peggiori rispetto alla situazione reale». Pessimismo si registra anche nel settore dei servizi, dell’edilizia e soprattutto fra i commercianti, che dichiarano di vedere nero per la prima volta dal febbraio 2015. La paura chiama, e la politica risponde. «Parliamoci chiaro - dice Heinrich Oberreuter, politologo e esperto delle dinamiche della Csu - dopo la sconfitta elettorale ricevuta al voto federale, i cristiano-sociali non intendono più farsi scippare voti a destra, ne va della loro sopravvivenza politica». In televisione, dove la crisi tra il ministro dell’Interno Seehofer e Angela Merkel è seguita minuto per minuto, scorrono le immagini dei richiedenti asilo alla frontiera, poco importa che siano del 2015, e che oggi la politica dei respingimenti in Germania sia molto più efficiente di quella per concedere il diritto d’asilo. Anche la stampa popolare soffia sul fuoco: sulla «Bild» l’immagine segnaletica di Nureddin Darwish, un siriano arrivato in Germania quattro anni fa, è accompagnata dal titolo: «Questo soggetto pericoloso gode della protezione dello Stato». Si parla di un suo presunto coinvolgimento in attività legate al terrorismo internazionale, e poco importa che si tratti solo di sospetti che la procura «fino ad oggi» non ha confermato. I dati della Bundespolizei bavarese non danno modo di pensare a nuove ondate di arrivi: dal gennaio al 2018, la direzione della polizia federale di Monaco ha contato circa 4.600 ingressi non regolari attraverso il confine tedesco-austriaco, provenienti soprattutto da Nigeria, Afghanistan e Serbia. Più della metà sono stati rimandati indietro - «problema degli austriaci», ci dice un funzionario - e gli altri indirizzati all’Ufficio Immigrazione per vedere se ci sono gli estremi per regolarizzarli. Nel 2017, soltanto un anno fa, gli ingressi erano oltre il triplo. Sulla Bayerstrasse scoppia una lite tra tassisti, parlano turco ad alta voce, le persone si voltano, niente di grave. «L’emergenza sugli stranieri è una bugia - dice Amid, nato in Anatolia, a Monaco da dieci anni - i tedeschi hanno paura che i nostri figli facciano concorrenza ai loro. Va bene finché facciamo i tassisti, gli operai, edili, gli spazzini, ma se per caso vuoi diventare medico o avvocato chiudono tutte le porte». Amid racconta di quando l’insegnante di sua figlia gli disse che non doveva farle frequentare il ginnasio «perché sarebbe stata infelice». «Ma io mi sono intestardito, la vedevo che era brava, e oggi fa l’insegnante anche lei, e non è infelice per niente».

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