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La Stampa Rassegna Stampa
10.06.2018 L'Europa vista da Bernard-Henri Lévy
Intervista di Alain Elkann

Testata: La Stampa
Data: 10 giugno 2018
Pagina: 23
Autore: Alain Elkann
Titolo: «'Sono diventato attore per un giorno': racconto l'Europa che rischia il collasso'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/06/2018, a pag.23, con il titolo "Sono diventato attore per un giorno: racconto l'Europa che rischia il collasso ", l'intervista di Alain Elkann a Bernard-Henri Lévy.

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Alain Elkann                       Bernard-Henri Lévy

Bernard-Henri Lévy è un filosofo, giornalista, attivista e regista. Da oltre 40 anni la sua voce si leva con forza sui temi della morale e della contemporaneità. Attivo in Bangladesh all’età di 20 anni e in seguito in Bosnia, Libia e Ucraina, predilige occuparsi di quella che definisce «la grande rabbia delle cose». A Londra, il 4 giugno scorso, la Hexagon Society, un movimento intellettuale che si occupa della produzione di contenuti culturali di forte impatto per produrre cambiamenti positivi, ha curato una performance di Bernard-Henri Levy con il suo spettacolo «Last Exit Before Brexit». Nell’opera un uomo che deve fare un discorso sull’Europa prova un senso di impotenza spirituale e intellettuale nel momento in cui ci si aspetta che celebri la grandezza del moderno progetto europeo. Si sente devastato dalla rinascita, in tutto il continente, del nazionalismo, del populismo e dell’antisemitismo. Ed esprime poi la sua preoccupazione per la crisi che mette a rischio gli ideali e l’idea di Europa.
Che influenza può avere un filosofo sul palco?
«Probabilmente su due elementi. Uno: dare qualche argomento in più a chi è già convinto che la Brexit sia una catastrofe. Due: mettere in dubbio e indebolire le convinzioni di coloro che pensano il contrario. Questo è ciò che un filosofo può fare in tale circostanza. Non è molto, ma è qualcosa, spero».
«Last Exit Before Brexit», che è andato in scena al Cadogan Hall di Londra il 4 giugno, è un stato un evento unico?
«Sì. Non sono un attore professionista e ho scelto questa forma di performance come una sorta di azione warholiana: non era pensata per essere ripetuta». Sono state fatte riprese?
«Sì, c’erano cinque cameramen. Mi piacerebbe pubblicarla sul sito “Showstudio” di Nick Knight».
È l’inizio di un movimento?
«Sono un intellettuale, non un attivista. Ma, se qualcuno coglie questo evento e ne approfitta per costruire qualcosa, ne sarei più che felice e avrei raggiunto il mio scopo».
C’è un collegamento tra il suo nuovo libro «L’empire et les cinq rois» («L’impero e i cinque re«) e la Brexit?
«Di sicuro. Il mio libro parla del declino intellettuale e spirituale dell’America e della simmetrica ascesa di cinque nuovi poteri imperialisti: Cina, Russia, Turchia, Iran e i Paesi arabi che sostengono o hanno sostenuto il Jihad. La conclusione del mio libro è che l’unica forza su cui si può fare affidamento per contrastare queste cinque forme di imperialismo, e in grado di occupare il vuoto creato dal ritrarsi dell’America, è l’Europa. Il mio ultimo libro riguarda la salvezza per mezzo dell’Europa!»
Ma l’Europa è molto debole e nelle mani dei populisti. non è così?
«È quello che sostengo nel mio spettacolo. I quattro principali Paesi europei sono corrotti da un’enorme ondata di populismo. La Francia a causa dei gemelli Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen, la Germania a causa della debolezza della signora Merkel e dell’ascesa dell’Afd, l’Italia con questa alleanza tra Lega e Movimento 5 stelle e l’Inghilterra con la Brexit. Quindi, ovviamente, l’Europa non è mai stata così debole. L’Europa sta per collassare e il mio è un piccolo tentativo di fare fronte a questa marea».
Gli intellettuali vengono sempre accusati di essere passivi?
«Io cerco di non esserlo. Conosco il costo della passività dalla storia, dalle generazioni precedenti. La passività si paga sempre con un costo molto, molto alto e, quindi, cerco di imparare le lezioni del passato».
Pensa che siamo veramente in pericolo?
«Certo che sì: rischiamo il completo collasso dell’ Europa. E, se questo accade, prenderanno il sopravvento le peggiori forme di populismo, torneranno il razzismo e l’antisemitismo e a seguire la miseria. La solita vecchia storia!».
La responsabilità è di Putin?
«Noi siamo responsabili della nostra miseria. Come sempre. Ma certamente Putin sta approfittando della situazione. Soffia sul fuoco, tira i fili. Non bisogna mai dimenticare che ha intrapreso una nuova avventura imperialista e uno dei suoi obiettivi è destabilizzare l’Occidente e in particolare l’Europa».
E gli Stati Uniti?
«La loro strategia è folle. Devono fronteggiare quelli che chiamo i cinque re. Sono nemici potenti e pericolosi. E che fa Trump, invece? Inizia una guerra commerciale contro l’Europa e il Canada. Questo significa spararsi in un piede, sabotare l’Occidente. Un errore suicida nel momento in cui ci si trova contro la Cina, la Russia, la Turchia neo-ottomana di Erdogan, l’Iran e il Jihad sunnita. Come si può essere così irresponsabili da prendersela con gli alleati di più antica data? Una totale follia».
Anche la Brexit è folle?
«Sì. La Brexit è un suicidio, per il Regno Unito e per l’Ue».
E Macron?
«Sta facendo del suo meglio. Ha evitato che la situazione della Francia fosse come quella italiana oggi. Senza Macron abbiamo un Movimento 5 Stelle che è Mélenchon e abbiamo il partito della Lega che è Le Pen. Macron si è frapposto tra loro. In primo luogo ce l’ha fatta. Inoltre tiene più alta possibile, considerando il pessimo clima, la bandiera dell’Europa. È l’ultimo grande leader che cerca di evitare il collasso dell’Europa».
Allora, a che punto siamo?
«Siamo in una situazione di catastrofe al rallentatore».
La Cina è il nuovo grande potere?
«E anche il nuovo pericolo. In molti credono che la Cina non avrà mai vere ambizioni imperiali. Si sono fatti questa convinzione guardando al passato ed è vero che l’impero cinese tendeva a isolarsi. Ai tempi del grande impero alle loro grandi navi fu proibito di andare oltre l’Africa. Ma questo è finito! La Cina è diventata una potenza imperialista forte, avida, senza scrupoli, senza redenzione, senza riserve. La Cina vuole fare tutto ciò che può fare. Vuole dispiegare la totalità delle sue potenzialità di conquista. Quindi rappresenta un vero pericolo e non sono sicuro che l’Occidente voglia esserne consapevole».
Che cos’è un filosofo, oggi, in un mondo in cui la tecnologia prevale e le scienze umane perdono terreno?
«Uno dei vantaggi del lavorare sulla filosofia è che non serve la tecnologia. Per costruire un concetto servono solo una penna e un foglio di carta. Il ruolo di un filosofo oggi è lo stesso di sempre. Fare buone domande, confutare le cattive risposte, smontare i pregiudizi. Ci sono tre concezioni della storia che rifiuto. Uno: Hegel e l’idea dell’inevitabilità del progresso. Due: Spengler e l’idea del fatale declino. Tre: Vico e l’idea dell’eterno ritorno. Non accetto nessuna di queste teorie. Penso che qualcosa di nuovo, imprevedibile e dirompente possa accadere in qualsiasi momento».
Si considera un ottimista?
«Sono un ottimista e sono un pessimista. Credo nell’azione. L’azione ha sempre delle conseguenze. Possono essere molto piccole, quasi impercettibili e possono essere grandi. Non lo sai mai finché non ci provi».
(Traduzione di Carla Reschia)

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