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La Stampa Rassegna Stampa
16.05.2018 Erdogan contro Israele
Due servizi di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 16 maggio 2018
Pagina: 13
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Strage a Gaza, Ankara alza la voce. Espulso l’ambasciatore israeliano - Accuse a Netanyahu e comizi in Bosnia, Erdogan punta alla leadership islamica»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/05/2018, a pag. 13, con i titoli "Strage a Gaza, Ankara alza la voce. Espulso l’ambasciatore israeliano", "Accuse a Netanyahu e comizi in Bosnia, Erdogan punta alla leadership islamica", due servizi di Giordano Stabile.

L'ennesima ignobile presa di posizione del sultano Erdogan a favore di Hamas e contro Israele dovrebbe chiarire definitivamente la natura del suo potere e del regime turco. Come scrive Giordano Stabile, Erdogan vuole proporsi come leader nel mondo islamico mediorientale. Come fare? Semplice: attaccando e demonizzando Israele.

Ecco gli articoli:

"Strage a Gaza, Ankara alza la voce. Espulso l’ambasciatore israeliano"

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Giordano Stabile

La giornata della Nakba, la «catastrofe», non è stata una catastrofe come quella di lunedì, anche se altri due palestinesi sono rimasti uccisi dal fuoco israeliano a Gaza, e 250 feriti, anche a Betlemme e Ramallah, per lo più in maniera lieve. Il bilancio è continuato a salire, a 63 morti, compresa una bambina di otto mesi, portata l’altro ieri dai genitori fino alla prima linea e rimasta soffocata dai gas lacrimogeni vicino al reticolato che segna il confine fra la Striscia e Israele.

Ieri non c’è stato però l’assalto alle barriere che aveva scatenato una pioggia di proiettili, con quasi tremila feriti: molti rischiano amputazioni in ospedali sopraffatti dall’emergenza, come ha denunciato fra gli altri Medici senza frontiere. «L’uso eccessivo della forza» ha suscitato una ondata di proteste in tutto il mondo islamico, e anche in Europa, con il Belgio e l’Irlanda che hanno convocato l’ambasciatore israeliano, mentre la Gran Bretagna si è unita ai Paesi arabi nella richiesta di una «indagine indipendente» sulle violenze, nonostante l’opposizione degli Stati Uniti. Il presidente Abu Mazen li ha attaccati definendo la loro ambasciata «un insediamento nel cuore di Gerusalemme» e ha richiamato l’inviato palestinese a Washington.

Ma ad alzare di più la voce è stata la Turchia che ha espulso l’ambasciatore israeliano. E’ un passo che può condurre alla rottura delle relazioni diplomatiche, come dopo l’incidente della Mavi Marmara nel 2010. Il primo ministro Binali Yildirim ha invitato tutti i Paesi musulmani a «rivedere le proprie relazioni con Israele», dopo che il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva parlato addirittura di «genocidio» palestinese. Accusa respinta al mittente dal premier israeliano Benjamin Netanyahu: «Erdogan è fra i principali sostenitori di Hamas e non vi è dubbio che capisca perfettamente il terrorismo e i massacri, non ci venga a dare lezioni di morale».

La battaglia all’Onu
La battaglia si è poi spostata al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Già nella tarda serata di lunedì gli Stati Uniti avevano bloccato una richiesta di «inchiesta indipendente» invocata dai Paesi arabi attraverso l’ambasciatore del Kuwait, che è tornato alla carica e ha presentato ieri notte un progetto di risoluzione «per proteggere i civili palestinesi». L’ambasciatrice americana Nikki Haley ha replicato che la vera minaccia è Hamas e che «Israele ha mostrato una moderazione che nessun altro Paese avrebbe mostrato» in circostanze simili. Quando ha cominciato a parlare il rappresentante palestinese, Ryad Mansour, si è alzata e se ne è andata.

"Accuse a Netanyahu e comizi in Bosnia, Erdogan punta alla leadership islamica"

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Recep Tayyip Erdogan

Israele è uno «Stato terrorista», che pratica l’Apartheid e sta compiendo «un genocidio» nei confronti dei palestinesi, guidato da un premier, Benjamin Netanyahu, «con le mani sporche di sangue», mentre gli Stati Uniti sono «parte del problema» in Medio Oriente con la loro scelta di spostare l’ambasciata, perché «il mondo islamico non permetterà mai che Gerusalemme sia perduta». Se la scelta delle parole indica qualcosa nell’orientamento politico, quello del presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è avvicinato vertiginosamente all’asse anti-israeliano che di solito vede l’Iran in prima linea.

Campagna elettorale
Le dichiarazioni del leader turco, ieri in visita a Londra, colpiscono ancora di più se confrontate con quelle, prudenti, dell’Arabia Saudita, e con l’azione sottotraccia dell’Egitto che ieri ha imposto ad Hamas di non spingere più i manifestanti contro il confine e il fuoco dei cecchini. I Paesi arabi sunniti puntano alla diplomazia, la Turchia, potenza sunnita non araba, vuole isolare lo Stato ebraico e preme sui 57 Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, Oic, invitati venerdì a un summit straordinario a Istanbul, perché espellano gli ambasciatori israeliani.
Monito a Riad e al Cairo

C’è tanta retorica, Erdogan è in piena campagna elettorale, punta a fare il pieno di voti fra i pii musulmani. Ma la sua azione ha ambizioni più vaste.
Ora che l’Arabia Saudita e l’Egitto si sono allineati sulle posizioni di Usa e Israele, il leader turco punta alla leadership islamica nel nome di «Al-Quds», un nome che evoca battaglie epiche, da Saladino in poi. Ieri i suoi sostenitori sfilavano nelle città e scandivano: «Guerra, jihad, martirio, lascia che le truppe turche marcino su Gerusalemme». Due mesi fa il giornale Yeni Safak, il megafono ideologico di Erdogan, ha pubblicato uno «studio» che sosteneva come le forze armate congiunte dei Paesi dell’Oic sarebbero in grado di sconfiggere Israele e «liberare» Gerusalemme «in dieci giorni».

Missione in Europa
L’articolo è stato notato anche dall’Intelligence militare israeliana, e preso sul serio. Venerdì Erdogan sfilerà con i manifestanti ad Ankara e forse anche a Dyarbakir, vicino alla Siria, dove si è già scavato una zona di influenza sotto il controllo delle sue truppe, a spese dei curdi. Ma l’appuntamento più importante sarà a Sarajevo, nel cuore dell’ex Europa ottomana: una sfida a Germania, Austria e Olanda che hanno proibito comizi di politici turchi durante la campagna elettorale. Sono attesi almeno diecimila immigrati turchi da tutta Europa. Erdogan l’anno scorso ha accusato Germania e Olanda di «metodi nazisti» e un mese fa ha minacciato l’Austria di «un caro prezzo da pagare» se avesse insistito con il bando ai comizi.

Sfidare Vienna da Sarajevo dà i brividi storici, perché nella Bosnia per metà musulmana e per metà cristiana l’Impero asburgico e i sultani di Istanbul si sono combattuti per secoli. L’offensiva balcanica non comincia oggi. La Turchia ha investito miliardi di dollari anche in Macedonia e Albania, dove il paesaggio è marcato da decine di moschee nuove di zecca, con annesse scuole islamiche. Oltre alla diaspora turca ad attendere Erdogan ci saranno anche i bosniaci. Il loro leader Bakir Izetbegovic, uno dei tre presidenti della Bosnia, è pronto ad accoglierlo e ha avvertito: «Molti in Occidente non amano il nostro amico, ma solo perché è un leader musulmano potente come non si vedeva da tempo».

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