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La Stampa Rassegna Stampa
05.05.2018 Un Libano nelle mani di Hezbollah alle urne
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 05 maggio 2018
Pagina: 14
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Il Libano torna alle urne con l'incognita di Hezbollah»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/05/2018 a pag.14 con il titolo "Il Libano torna alle urne con l'incognita di Hezbollah" l'analisi di Giordano Stabile.

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Hezbollah, un esercito regolare?

A essere sinceri, non capiamo perchè anche Stabile continui a scrivere che il premier Saad Hariri sia stato "sequestrato" dal principe ereditario dell'Arabia Saudita, quando è chiaro a chiunque che il suo viaggio a Riad non era altro che un tentativo di trovare un alleato, soprattutto per non fare la fine di suo padre, fatto saltare in aria da Hezbollah. Che lo scriva il lo Stabile Alberto su REPUBBLICA, passi, ma lo Stabile Giordano scrive sulla STAMPA, dove può evitare il politicamente corretto del babbo.

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Giordano Stabile

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Sequestrato?

Un Paese dove soltanto i cristiani contano 11 confessioni diverse, una legge elettorale così complicata da far impallidire il Rosatellum. Sono i presupposti che fanno pensare a un esito indecifrabile dalle elezioni parlamentari di domani, le prime da nove anni in Libano. In ballo ci sono la sopravvivenza politica del premier sunnita Saad Hariri, «sequestrato» a novembre dall’alleato saudita perché rompesse il patto di governo con Hezbollah, e la tenuta dell’alleanza strategica fra il presidente cristiano Michel Aoun e lo stesso Partito di Dio sciita guidato da Hassan Nasrallah. La possibilità per gli elettori di poter esprimere anche una preferenza, e non votare soltanto liste bloccate, potrebbe portare a qualche sorpresa e modificare gli equilibri studiati con il bilancino per non scontentare nessuna delle sette. I 128 seggi dell’Assemblea sono divisi a metà tra cristiani e musulmani: 34 ai maroniti, 14 agli ortodossi, 16 alle altre minoranze cristiane; 27 agli sciiti, 27 ai sunniti, 10 ai drusi. Nel Paese sono proibiti i sondaggi su base etnica e religiosa, ma oramai i cristiani sarebbero scesi sotto la soglia del 50 per cento, a vantaggio soprattutto degli sciiti, e questo, a nove anni dalle ultime consultazioni, dovrebbe dare una spinta alle preferenze ai loro partiti, Hezbollah ma anche l’Amal del presidente dell’Assemblea Nabih Berri. L’altro elemento di incertezza è la frantumazione dei due blocchi politici che hanno segnato il Libano dal 2005 in poi, dopo l’uccisione del premier Rafik Hariri, padre dell’attuale. Lo choc aveva innescato un’ondata di ribellione contro le ingerenze della Siria e si erano create due grandi alleanze: quella del «14 marzo» anti-siriana, filo-saudita e filo-occidentale, guidata da Hariri; e quella dell’«8 marzo», vicina alla Siria e all’Iran, ostile a Israele e anche agli Stati Uniti. Questa divisione, uno dei pochi punti di chiarezza nella politica libanese, è stata scardinata dall’intesa nel 2016 fra Aoun e Hariri, che ha portato il primo alla presidenza della Repubblica e il secondo alla guida del governo, sostenuto da Hezbollah. Il nuovo equilibrio ha portato alla reazione dell’Arabia Saudita, che ha cercato di imporre ad Hariri la rottura con gli sciiti. La «cattività» del premier a Riad ha conseguito un risultato modesto. Il premier si è limitato a insistere sulla necessità che Hezbollah resti neutrale e si ritiri dalle guerre per procura in Siria, Iraq e Yemen. Ma non ha rotto il patto di governo e anzi, il suo partito Moustaqbal (Futuro) ha stretto alleanze locali con alleati di Aoun e del Partito di Dio. Anche per questo alla fine le compagini del blocco Hezbollah-Aoun sono date in crescita. Per esempio Sleiman Frangieh, leader cristiano filo-Assad, spera di incrementare i parlamentari, mentre Walid Jumblatt, leader dei drusi anti-siriano, sembra destinato a perderne, così come il falangista Samir Gemayel. Se le previsioni verranno confermate, il patto Nasrallah-Aoun sarà più saldo e si aprirà la possibilità che i combattenti di Hezbollah vengano in qualche modo inseriti fra le forze di sicurezza nazionali, come in Iraq. E la questione del «disarmo di Hezbollah», unica milizia che dopo la fine della guerra civile nel 1990 non ha deposto le armi, verrebbe accantonata per sempre.

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