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La Stampa Rassegna Stampa
24.04.2018 25 Aprile: chi difende la storia e la libertà, chi si schiera con gli alleati vecchi e nuovi di Hitler
Cronaca di Francesca Paci, Andrea Fioravanti intervista Piero Cividalli, reduce della Brigata Ebraica

Testata: La Stampa
Data: 24 aprile 2018
Pagina: 8
Autore: Francesca Paci - Andrea Fioravanti
Titolo: «Roma, un altro 25 Aprile di polemiche - Il reduce della Brigata Ebraica: 'L'abbiamo liberata anche noi ma oggi questa Italia mi fa pena'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/04/2018, a pag.8, con il titolo "Roma, un altro 25 Aprile di polemiche" il commento di Francesca Paci; con il titolo "Il reduce della Brigata Ebraica: 'L'abbiamo liberata anche noi ma oggi questa Italia mi fa pena' ", l'intervista di Andrea Fioravanti a Piero Cividalli, reduce della Brigata Ebraica.

L'Anpi di Roma, come riporta Francesca Paci, si è rifiutata perfino di rispondere alle domande dei giornalisti, ma di fatto si schiera con i comitati che inneggiano alla "resistenza araba palestinese", durante la Shoah alleata di Adolf Hitler e oggi pronta a continuarne i progetti genocidi contro gli ebrei di Israele. Paci riporta la posizione di giusta fermezza della Comunità ebraica di Roma e della presidente Ruth Dureghello.

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Ruth Dureghello

Ignobile la cronaca del MANIFESTO, che si schiera con i vecchi alleati di Hitler - a partire dal Gran Muftì di Gerusalemme Hajj Amin al Husseini - e accusa la Comunità ebraica romana della frattura. Non stupisce che sia proprio il quotidiano comunista a difendere i vecchi e nuovi nazisti.

Ecco gli articoli:

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Francesca Paci: "Roma, un altro 25 Aprile di polemiche"

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Francesca Paci

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Hitler e il Gran Mufti

Stavolta Roma ce l’aveva quasi fatta, dopo mesi di negoziati il Campidoglio era riuscito a far passare l’appello per un 25 Aprile comune, una manifestazione unitaria che non replicasse la solita polemica con cui ogni anniversario si sovrappone la lotta nazionale contro il nazi-fascismo alla causa palestinese. Nel 2017 finì con due cortei separati, uno per l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (Anpi) e l’altro per la Brigata Ebraica. Quest’anno, in un contesto già incandescente in cui l’amministrazione di centro-destra del Comune di Todi ha negato il patrocinio dell’Anpi alle celebrazioni perché «di parte» e Matteo Salvini si è spinto ad associare il «non passa lo straniero» ai migranti, la capitale sembrava magicamente vicina alla tregua. Fino a ieri.

Quando è arrivata la nota della Comunità Palestinese di Roma, in cui si annuncia la partecipazione al corteo «sfilando con le kefieh e le bandiere palestinesi» per rilanciare «l’appello a tutti gli antimperialisti, antifascisti, antirazzisti, antisionisti, a tutte le resistenze internazionali», la Comunità ebraica ha chiamato l’associazione dei partigiani e non trovando risposta si è tirata indietro: «Se l’Anpi non prende una posizione, da parte nostra non ci sono le condizioni per partecipare».

L’Anpi, ripetutamente contattata, non risponde neppure a «La Stampa». Resta a far fede il comunicato un po’ cerchiobottista precedente alle nuove polemiche: «Richiamiamo le ragioni della manifestazione espresse nell’appello sottoscritto dalle associazioni della Resistenza e della Guerra di Liberazione, affermando con chiarezza che qualsiasi altra rivendicazione non fa parte quel giorno degli obiettivi della manifestazione e non ci rappresenta». E però qualcosa nel frattempo è cambiato. Ed è cambiato anche il contesto internazionale, con la situazione a Gaza che rischia di detonare a distanza mercoledì a Roma.

«Il 25 Aprile per noi è una festa italiana dove partecipiamo anche perché vogliamo la nostra libertà» dice il giornalista palestinese Jamal Jadallah. E per farlo è necessaria la kefiah, dopo aver cercato una mediazione? «La kefiah non è proibita. L’Anpi conosce la nostra lotta, abbiamo un ottimo rapporto: sono loro dell’associazione partigiani che gestiscono tutto, anche il servizio d’ordine, sono loro a decidere, noi ci saremo». Come dire che l’ultima parola tocca agli organizzatori e che le cose cambierebbero (o no?) se chiedessero esplicitamente di evitare i simboli di altre storie, altre cause, altri contesti, pena l’eslusione dal corteo.

Ma l’Anpi non si pronuncia, chiosa una voce della comunità ebraica. S’ipotizza che il motivo possa essere che tra gli iscritti all’associazione ci sono molti simpatizzanti della causa palestinese ma soprattutto si lamenta l’occasione mancata: «Si era detto di sospendere per un giorno le posizioni spesso divergenti sul Medioriente, eravamo pronti a non rispondere alle provocazioni di qualche bandiera palestinese, si era detto di accogliere i vessilli di tutti i gruppi che hanno combattuto per la liberazione d’Italia, anche i Paesi stranieri. Ma se la Comunità palestinese chiama così a raccolta i suoi non si tratterà di casi isolati e non si tratta della bandiera di un Paese che era dalla parte della democrazia ma all’opposto, perché all’epoca l’haji di Gerusalemme stava con l’Asse». Epilogo non liberatorio: se non succede nulla nelle prossime ore la Brigata Ebraica, come lo scorso anno, non ci sarà.

Andrea Fioravanti: "Il reduce della Brigata Ebraica: 'L'abbiamo liberata anche noi ma oggi questa Italia mi fa pena' "

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Piero Cividalli

«Guardi, non mi interessa delle ultime polemiche sul corteo del 25 aprile. Conta solo una cosa: la Brigata Ebraica e la Resistenza ambedue in campi diversi hanno lottato per la stessa cosa: la libertà dell’Italia» Piero Cividalli, 91 anni, non è solo un insegnante italiano di storia dell’arte che vive a Ramat Gan, nella periferia est di Tel Aviv. È l’ultimo sopravvissuto della Brigata Ebraica, la compagnia di ebrei italiani e stranieri che combatterono per liberare l’Italia dal nazifascismo nella seconda guerra mondiale. Erano nelle fila dell’esercito britannico, sotto la bandiera sionista che poi diventerà quella dello Stato di Israele. Cividalli è uno dei protagonisti della mostra «La Brigata Ebraica in Italia e la Liberazione» curata da Stefano Scaletta dell’Università del Piemonte Orientale e dai professori Cristina Bettin e Samuele Rocca delle università Negev e Ariel, dall’1 maggio a Milano.
Cividalli, festeggia il 25 aprile?
«Ho sempre rifuggito cerimonie e anniversari . Non li ho mai sentiti come veramente miei. Contano i ricordi e il lato umano di quel periodo. Ormai tutto questo fa parte del passato, anche se fa piacere stabilire una verità storica».
Quale?
«L’aver contribuito a liberare l’Italia. Quando sono sbarcato a Taranto nel luglio del 1945 la guerra era finita. Ma gli altri commilitoni della Brigata avevano contribuito con coraggio a liberare parte dell’Emilia. Ho visto un’Italia distrutta, misera. Arrivato a Taranto sono rimasto lì per un po’ di settimane. Poi ci mandarono a Udine: quattro giorni in un carro merci perché non funzionavano le vie di comunicazione. Bisognava ricostruire tutto».
Qual era il compito della Brigata?
«Eravamo inquadrati nell’esercito britannico, ma a differenza degli inglesi sentivamo dal profondo le disgrazie delle vittime di quella guerra.Per questo la Brigata aiutò non ufficialmente migliaia di profughi a fuggire dall’Europa dell’orrore nazifascista. E non erano solo ebrei fuggiti dai campi di concentramento».
Perché decise di arruolarsi?
«Avevo 18 anni e vivevo in Palestina da pochi anni. I miei genitori avevano lasciato Firenze dopo la pubblicazione delle leggi razziali nel 1938 . Mio padre era un convinto antifascista, amico dei fratelli Rosselli (uccisi dal regime fascista nel giugno nel ‘37 ndr). Fin dall’infanzia erano andati a scuola insieme. Questo sentimento antifascista si è risvegliato in me quando dalla Palestina vedevo Mussolini portare l’Italia al collasso. Durante l’addestramento in Egitto mi ricordo di aver parlato con i prigionieri italiani. Mi dicevano «Ma cosa ti arruoli a fare? Ormai tutto è perduto». E io rispondevo: «È il mio dovere, dobbiamo salvare il salvabile».
Si sente ancora italiano?
«Fino a un certo punto. Lo schiaffo ricevuto con le leggi razziali è stato forte. Ma non mi sento nemmeno israeliano. A dire il vero non mi sento niente. Dopo quello che è successo non riesco a immedesimarmi completamente in nessun Paese. Se dovessi dire la verità mi sento europeo».
Cosa pensa dell’Italia di oggi?
«Mi fa pena e rabbia perché non abbiamo imparato niente dalle nostre disgrazie. Dopo aver visto l’Italia distrutta dal fascismo, e da una guerra senza senso, non riesco a credere che ci sia ancora gente che rimpiange il fascismo. Torno spesso in Italia dai miei parenti e quando a Predappio ho visto i cimeli fascisti, mi è venuto da vomitare. I giovani non sanno più a cosa ci ha portato Mussolini».

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