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La Stampa Rassegna Stampa
31.03.2018 Italia: arrestare i terroristi invece di ritenerli 'presunti'. Era ora
Cronaca di Massimiliano Peggio

Testata: La Stampa
Data: 31 marzo 2018
Pagina: 15
Autore: Massimiliano Peggio
Titolo: «Pronto alla fuga in Spagna, preso jihadista»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 31/03/2018, a pag.15, con il titolo "Pronto alla fuga in Spagna, preso jihadista" la cronaca di Massimiliano Peggio sull'arresto del terrorista llyass Hadouz. Nella lotta al terrorismo islamico va registrato un passo avanti, non si attende più la strage per considerare i criminali per ciò che sono, terroristi, appunto, e non "presunti" che è sempre avvenuto. Come dimostrano gli arresti, non è poi così difficile individuarli, basta volerlo, vale a dire che gli ordini vengano dati. Ordini che andrebbero allargati anche alle famiglie, che invariabilmente non si accorgono mai di nulla!

Ecco la cronaca:

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Massimiliano Peggio

«Per ognuno che è sulla terra vi è il suo destino. Che dolore non sapere la sua tomba». Chissà quale sarebbe stato il suo destino, se i carabinieri del Ros di Roma non fossero intervenuti a interrompere il suo processo di radicalizzazione, iniziata nell’ombra delle sua stanza, sempre di fronte al computer, ad abbeverarsi quasi tutte la notti dalle fonti dell’odio che abbondano nel web, pulpito di guerra dello Stato Islamico. Ilyass Hadouz, 19 anni, residente da un paio d’anni a Fossano, in provincia di Cuneo, passava il suo tempo a scaricare e a diffondere video e messaggi di violenza, inneggiando al Jihad e al martirio per i «soldati» di Daesh. Ieri mattina è stato sottoposto a fermo di indiziato di delitto disposto dal pm Sergio Colaiocco, della procura di Roma, con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere. I militari del Ros, in collaborazione con i colleghi del comando provinciale di Cuneo, hanno eseguito d’urgenza il fermo perché il ragazzo era in procinto di raggiungere la Spagna, forse per raggiungere altri attivisti della rete del terrore. «Non so che cosa facesse nella sua stanza» ha detto sconvolta la mamma Fatima, uscendo di casa, dopo la perquisizione degli investigatori. La mamma convive con un italiano. Ilyass, nato in Marocco, ha una sorella più piccola. «Sono una famiglia strana. Litigano in continuazione. Nel condominio nessuno li sopporta» dice un vicino. Vivono in affitto, all’ultimo piano di un palazzo che sorge a pochi metri dalla caserma del Genio Guastatori, una volta caserma degli allievi carabinieri. Solitario, pochissimi amici, usciva di rado. Frequentava saltuariamente i corsi di «alfabetizzazione» curati dall’istituto salesiano. Un anno fa era stato denunciato con altri tre minorenni per aver rubato bevande e generi alimentari nel bar dell’oratorio parrocchiale. Tutti i ragazzi erano stati coinvolti in un progetto di «riparazione» promosso dal Comune, con la raccolta dei rifiuti in città. Un progetto a metà tra punizione e impegno sociale. Ilyass ricorda oggi il parroco don Mario Dompè, era stato l’unico a non chiedere scusa per il furto. «La sua indifferenza mi colpì», ammette il sacerdote. Stando alle indagini dei carabinieri Hadouz, che ha nominato come difensore di fiducia l’avvocato Wilmer Perga, uno tra i più battaglieri legali del foro torinese, avrebbe iniziato il suo percorso di radicalizzazione attraverso i social media: Facebook, Instagram, Twitter. Su Facebook usava l’alias Ilyass El’ maghribi. Disseminava il web di «like» e «condivisioni». Seguiva con una certa assiduità la pagina intitolata «La Consapevolezza Islamica» infarcita di contenuti di matrice jihadista, con messaggi di violenza e propaganda antioccidentale. Immagini intrise di sadismo e che esaltano il Califfato. Leggeva storie di «martiri» dell’Isis, come quella di Ahmed Yusef Washah, membro della cellula marocchina di Daesh, caduto per mano di Hamas nel «massacro della moschea Ibn Taimya» dell’agosto 2009, nota come la «moschea rossa» di Rafah. L’indagine degli investigatori del Ros, al comando del generale Pasquale Angelosanto, ha seguito per mesi le sue connessioni, i contatti con una rete di altri sostenitori. Lui, come altri «adepti» del Califfato, si trovava in quella fascia di «anticamera» in cui la radicalizzazione cresce, favorita a volte da disavventure personali, inasprita da altri guai con la giustizia e da fallimenti esistenziali. Diventando così soggetto dal profilo ad alto rischio, che le norme italiane consentono di «disinnescare» prima della soglia di non ritorno. Quella che gli esperti chiamano «stadio di prevedibilità zero». Quando il passo tra ideazione ed esecuzione di un attentato è beve. Anche brevissimo. Talvolta di poche ore.

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