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La Stampa Rassegna Stampa
17.03.2018 Trump non è è un politico tradizionale, quanto ci vorrà ancora perchè se ne prenda atto?
Cronaca di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 17 marzo 2018
Pagina: 15
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Trump caccia anche McMaster. Alla Casa Bianca solo fedelissimi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/03/2018, a pag.15, con il titolo "Trump caccia anche McMaster. Alla Casa Bianca solo fedelissimi" l'articolo di Paolo Mastrolilli.

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Donald Trump

Ci chiediamo fino a quando dovremo leggere sui nostri media lo stupore dei cronisti sul comportamento del presidente americano. Non ce ne voglia Paolo Mastrolilli, non ce l'abbiamo con lui, troviamo però inspiegabile che a nessun giornalone sia ancora venuto in mente di raccontare il vero Trump.
Il fatto che non sia una fotocopia dei predecessori non ha ancora incuriosito chi racconta gli Usa, nessuno che si sia chiesto il 'perchè' delle molte sostituzioni, quando la risposta è molto semplice, Trump non è un politico in carriera, è l'unico che, una volta eletto, onora gli impegni presi durante la campagna elettorale. Dopo un anno di esperienza alla Casa Bianca ha sostituito gran parte dello staff che gli era stato proposto dai vari consiglieri. Bene, ne ha valutato il lavoro, e poi ha preso le decisioni che tutti conosciamo. L'ha fatto secondo il suo stile, ma in politica, secondo Trump, contano i fatti, non la 'buona educazione', dietro la quale si cela quasi sempre l'ipocrisia. Per dare corpo alle promesse servono bravi esecutori, Trump ha dato opportunità a tutti, licenziando chi non eseguiva gli ordini ricevuti. Da noi avviene il contrario, il politico che non mantiene le promesse, dà la colpa sempre ad altri, " l'avrei fatto, ma mi è stato impedito" è la cantilena che ascoltiamo da sempre.  A dimostrazione della bontà delle scelte di Trump, contano i nomi che è stato lui stesso a scegliere, un esempio Nikki Haley, la bravissimo ambasciatrice all'Onu. Risultato, la sua popolarità è in crescita, dispiaciuta soltanto la gauche caviar, ma i si contano, non si pesano.

Ecco l'articolo:

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Paolo Mastrolilli

I critici del presidente Trump la descrivono come una purga, che dimostra il caos imperante nell’amministrazione; lui invece la difende come una normale ricerca delle migliori idee, che gli consente di creare un governo più vicino alla sua agenda e più determinato a realizzarla. Comunque sia, le porte girevoli di Washington continuano a muoversi, e il prossimo che dovrebbero accompagnare fuori dalla Casa Bianca è il consigliere per la sicurezza nazionale McMaster. A rischio, però, sono anche i posti del capo di gabinetto Kelly, il segretario alla Giustizia Sessions, e vari altri ministri, come Ben Carson dell’Urbanistica e David Shulkin dei Veterani. Il generale McMaster è stato chiamato al posto di Michael Flynn, costretto alle dimissioni dal coinvolgimento nel Russiagate, ma non ha mai stabilito un forte rapporto personale con Trump, per differenze caratteriali e politiche. L’errore più grave forse lo ha commesso quando ha riconosciuto l’interferenza russa nelle elezioni, ma anche su temi come l’Iran e la Corea del Nord non è sempre stato allineato al presidente, che soffre tutti i tentativi di imbrigliarlo. McMaster poi ha compromesso anche il rapporto col capo di gabinetto Kelly, soprattutto perché ha favorito la cacciata del segretario di Stato Tillerson. Secondo il «Washington Post» Trump ha già deciso di licenziarlo, prima del possibile incontro con il leader nordcoreano Kim, che il consigliere per la sicurezza voleva colpire con la strategia del «bloody nose», un attacco mirato e limitato per dimostrare la determinazione di Washington. La portavoce Huckabee Sanders ha negato che la cacciata sia imminente, ma questo potrebbe dipendere solo dal fatto che il presidente non ha ancora scelto il successore, e non ha trovato un altro posto per il ritorno del generale McMaster al servizio attivo nell’esercito. I favoriti a sostituirlo sono l’ex ambasciatore all’Onu John Bolton, falco neocon che ha promosso l’uso della forza contro Iran e Corea, il vice Keith Kellog e il dirigente della Ford Stephen Biegun. Secondo il «Wall Street Journal», Trump ha siglato invece una tregua con Kelly che per il momento lo garantisce, ma anche il capo di gabinetto traballa. Come il segretario alla Giustizia Sessions, colpevole di essersi ricusato dal Russiagate, aprendo la porta alla nomina del procuratore Mueller. Secondo i critici, questi movimenti di personale confermano il caos che governa l’amministrazione: «Siamo al gran finale - dicono - di un reality show». Trump invece ha detto che «vedrete altri cambiamenti, perché ho sempre bisogno di nuove idee». Il presidente pensa di aver preso le misure della sua carica, conosce meglio i collaboratori e Washington, e quindi sta rimuovendo quelli che aveva accettato per pressioni esterne, sostituendoli con le sue scelte vere. Pompeo al dipartimento di Stato e Larry Kudlow consigliere economico sono solo gli ultimi esempi, di un processo che potrebbe proseguire con Bolton e la sostituzione di Sessions. I falchi stanno prevalendo sui moderati, perché Trump vuole tornare agli istinti vincenti della sua campagna elettorale.

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direttore@lastampa.it

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