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La Stampa Rassegna Stampa
07.03.2018 Steve Bannon non conta più niente, perché dedicargli un'intera pagina?
Commento di Marco Bresolin

Testata: La Stampa
Data: 07 marzo 2018
Pagina: 14
Autore: Marco Bresolin
Titolo: «'L’onda populista è solo all’inizio l’euro non può sopravvivere'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/03/2018, a pag. 14, con il titolo 'L’onda populista è solo all’inizio l’euro non può sopravvivere', il commento di Marco Bresolin.

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Steve Bannon

Steve Bannon ormai conta ben poco negli Stati Uniti, dopo che è stato allontanato dallo stesso Donald Trump. Non capiamo quindi perché la Stampa conceda un'intera pagina alla sua figura e alle sue idee. Uno spazio che sarebbe stato meglio impiegato intervistando Nikki Haley, la delegata americana presso l'Onu, coraggiosa amica della libertà, della democrazia e dunque anche di Israele.

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Nikki Haley

Ecco l'articolo:

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Marco Bresolin

«Per vedere il futuro dell’Ue bisogna guardare al voto italiano. Salvini lo ha detto: l’Euro non sopravviverà. Tutto è nelle mani dei cittadini. E l’onda populista è solo all’inizio, perché la Storia è dalla nostra parte». Steve Bannon ha davanti ai suoi occhi il disegno dell’Internazionale Populista che vuole costruire. Che poi sarebbe un’Internazionale Sovranista, un ossimoro che rischia di portare a un tutti contro tutti (dalla guerra sull’acciaio in giù). Ma che in questa fase storica ha le urne dalla sua parte.
L’ex stratega di Donald Trump traccia un filo che parte dalla Brexit, arriva fino a Washington e poi torna in Europa. In Italia, per essere precisi, dove «due terzi degli italiani hanno votato per i partiti anti-establishment». Nel conteggio, l’ex stratega di Donald Trump ci infila anche Berlusconi. «Che è stato Trump prima di Trump». E vede nel voto italiano una tappa importante del percorso che potrebbe portare all’implosione dell’Europa. «I britannici hanno votato e ora sono fuori. Se votassero gli italiani, non so cosa succederebbe. A Bruxelles e alla Bce devono iniziare ad ascoltare i cittadini. Quando hai un’ondata di migranti che si riversa sul Sud Italia, e il peso cade tutto sugli operai italiani, dovresti capire che qualcosa non va. L’immigrazione va gestita in Africa, non in Italia».

La sua prima apparizione pubblica in Europa è in una sala da concerti a Nord di Zurigo. Fuori, sulla Marktplatz di Oerlikon, la protesta dei movimenti antifascisti. Dentro, al di là dei blindatissimi controlli di sicurezza, una platea composta dalla borghesia medio-alta svizzera. Le mogli lasciano la pelliccia al guardaroba, i mariti ingannano l’attesa al bancone del bar con una flûte di bollicine. Tra il pubblico non traspare la rabbia delle classi sociali più povere, di chi si è gettato tra le braccia dei partiti populisti perché non ce la fa più e vuole cambiare tutto.
Tra i 1500 che hanno riservato il loro posto da settimane, i giovani quasi non si vedono. Tanti over 60. Più spaventati dagli effetti della mondializzazione che vittime. Gente per cui il cambiamento è un rischio da evitare, non una richiesta da urlare nelle orecchie dei politici. «Noi svizzeri non siamo dei rivoluzionari» gli dice Roger Koppel, direttore del settimanale «Die Weltwoche» ed esponente dell’Unione Democratica di Centro, formazione della destra conservatrice elvetica.

Bannon spiega il perché di questa tappa svizzera, ricordando il referendum del 1992, con il quale gli elvetici respinsero l’adesione allo Spazio economico europeo. «Democrazia diretta, libertà, prosperità. Questo è un Paese sovrano!» strappa gli applausi della platea. Gli svizzeri che non hanno voluto entrarci, poi i britannici che hanno voluto uscirci. E l’Italia?
Bannon è arrivato qui dopo la tappa nel nostro Paese in cui ha incontrato - in maniera assolutamente riservata - alcuni dirigenti politici italiani. Leghisti, ma a quanto pare anche di Forza Italia. Ieri a Zurigo ha visto anche Alice Weidel, leader dell’ultradestra tedesca AfD. L’ex consigliere di Trump sta muovendo i primi passi per lanciare una sorta di rete populista nel Vecchio Continente da agganciare all’«alt-right» statunitense. Vuole aggregare le forze anti-sistema per dare la spallata ai governi europei e alle istituzioni di Bruxelles. Le prossime elezioni Ue del 2019 saranno un evento-chiave.

«Bisogna andare a votare - arringa la platea - e vedrete che le cose cambieranno. Elezione, dopo elezione. Guardate cosa è successo in Gran Bretagna, in Polonia, in Ungheria, in Repubblica Ceca e in Austria. Anche in Francia e Germania. Vero, il Front e l’Afd non hanno vinto, ma il movimento sta crescendo». Certo, dice, «in ogni Paese la situazione è diversa, ma dobbiamo fare attenzione ai fenomeni globali». E cita la Cina. «La gente deve avere paura della crescita della Cina, soprattutto in Europa. È un fenomeno senza precedenti nella storia dell’umanità. Diventano più potenti, ma restano uno Stato totalitario. Senza libertà, senza democrazia. È un’espansione geo-politica a cui dobbiamo rispondere». Poi però rivela che Xi è il politico più apprezzato da Trump.
E torna sulla guerra commerciale. Che, assicura, non è una reazione istintiva di Trump. «Ci ha messo otto mesi per decidere. Ha fatto fare un’indagine approfondita. Lui governa da imprenditore, vede i problemi e trova le soluzioni. È uno che ascolta molto, e che ama il confronto». Miele per il suo ex capo, anche se l’ascesa della figlia Ivanka alla Casa Bianca lo ha fatto fuori nell’estate scorsa. Ecco: come sono ora i rapporti con il Presidente? I due continuano a parlarsi? «Diciamo che io sono in modalità ascolto. Abbiamo avuto alti e bassi - scherza -, ma i nostri avvocati si parlano parecchio... Io però lo amo ancora».

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