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La Stampa Rassegna Stampa
02.03.2018 Putin/Erdogan: i dittatori che minacciano la pace. La UE rimarrà in silenzio?
Cronache di Giuseppe Agliastro, Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 02 marzo 2018
Pagina: 10
Autore: Giuseppe Agliastro - Giordano Stabile
Titolo: «Putin mostra il missile invincibile: 'Adesso l’America ci ascolti' - Erdogan provoca la Grecia sulle isole del Mediterraneo: 'Ci sono le nostre moschee'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/03/2018, a pag.10, con il titolo "Putin mostra il missile invincibile: 'Adesso l’America ci ascolti' " la cronaca di Giuseppe Agliastro; a pag. 11, con il titolo "Erdogan provoca la Grecia sulle isole del Mediterraneo: 'Ci sono le nostre moschee' ", la cronaca di Giordano Stabile.

Putin, che doveva intervenire quale pacificatore in Siria. Erdogan, che Mogherini e Bonino volevano accoglierlo nella UE. Non hanno nulla da dire ? Ecco l'Europa che non ci piace, ne vorremmo una con meno Mogherini e con meno Bonino, cioè che lisci meno il pelo ai dittatori.

Ecco gli articoli:

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I dittatori Putin e Erdogan

Giuseppe Agliastro: "Putin mostra il missile invincibile: 'Adesso l’America ci ascolti' "

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Giuseppe Agliastro

La Russia dispone di modernissime armi capaci di penetrare qualsiasi difesa antimissilistica e di rendere quindi «inefficaci» e «insensati» gli scudi americani in Europa e in Asia. È il messaggio lanciato ieri da Vladimir Putin, che a meno di tre settimane dalle presidenziali che con ogni probabilità lo confermeranno alla guida della Russia per altri 6 anni, ha approfittato del suo discorso alle Camere per un tuffo nel patriottismo e un monito a Washington: «Abbiamo detto diverse volte che avremmo reagito al piazzamento dei sistemi antimissili americani. Allora non ci avete ascoltato. Ascoltateci adesso».
Come un prestigiatore che tira fuori dal cilindro un coniglio dopo l’altro, Putin ha presentato al mondo tutta una serie di modernissime armi nucleari che – a suo dire – «nessun altro al mondo ha o potrà realizzare in breve tempo». Un super-missile cruise reso «invulnerabile» dalla sua traiettoria imprevedibile e che, con un rivoluzionario motore a propulsione atomica, può viaggiare per un tempo indefinito e «raggiungere qualsiasi punto del mondo». E ancora, droni-siluri subacquei capaci di affondare navi e sommergibili ma anche di provocare maremoti, il nuovo missile balistico intercontinentale «Sarmat» che «non ha praticamente limiti di gittata», il razzo «Pugnale» (Kinzhal) che piomba sulle navi nemiche dall’alto viaggiando a velocità ipersonica, una nuova arma laser per disintegrare aerei e satelliti, e infine «Avangard», un siluro che «come una palla di fuoco» si scaglia contro i suoi bersagli dagli strati alti dell’atmosfera a 20 volte la velocità del suono.

Putin si è esibito in un vero e proprio show da Guerra fredda, una manifestazione di forza mandata in onda in diretta e a reti unificate in cui il leader è salito in cattedra per spiegare il funzionamento delle sue armi con video e grafici interattivi. Sul megaschermo alle sue spalle i razzi tracciavano traiettorie inverosimili, mentre deputati e membri del governo manifestavano tutto il loro entusiasmo con applausi e standing ovation.
Putin ha presentato le nuove armi come una reazione alla decisione americana del 2001 di ritirarsi unilateralmente dal Trattato anti-missili balistici (Abm) e di realizzare quindi uno «scudo spaziale» in Europa orientale. Ma quella russa è anche una risposta alla recente «dottrina Trump» sul nucleare, che prevede per gli Usa il rilancio della produzione di armi atomiche e nuovi ordigni «a basso potenziale». Le dichiarazioni di Putin fanno temere una nuova corsa agli armamenti e un mancato rinnovo del Trattato Start III per ridurre le armi di distruzione di massa. Ma il presidente russo ha anche cercato di gettare acqua sul fuoco: «La Russia - ha detto - non intende attaccare nessuno», anzi, è favorevole al dialogo, ma se attaccata reagirà.
In realtà, sulla reale efficacia delle nuove armi c’è chi nutre seri dubbi. Fonti americane citate dalla «Cnn» hanno bollato l’uscita di Putin come una mossa elettorale. Secondo loro, i test dei missili da crociera a propulsione nucleare sarebbero tutti falliti. E anche per il politologo Aleksej Markin si tratta di «un discorso rivolto al pubblico interno» in vista delle presidenziali.

Giordano Stabile: "Erdogan provoca la Grecia sulle isole del Mediterraneo: 'Ci sono le nostre moschee' "

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Giordano Stabile

Quattro ettari di territorio possono aprire un fronte di guerra nel Mediterraneo. Un isolotto disabitato grande come quattro campi da calcio, a cinque chilometri dalla costa greca più vicina e a sette da quella turca. La disputa di confine dura da un secolo ma nessuno ha mai pensato seriamente di passare alle armi. Finora. Nelle ultime settimane la retorica turca, e anche quella greca, va detto, è diventata incandescente. Anche perché Imia, così si chiama l’isolotto, potrebbe aprire la strada a una revisione, quella sì pericolosissima, di tutta la frontiera che corre ai bordi del Mar Egeo.
Lo scorso 2 febbraio il ministro della Difesa greca, il nazionalista Panos Kammenos, si è fatto un giretto in elicottero e ha sorvolato Imia. La replica turca è arrivata dal ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, che ha messo in guardia il collega da un possibile «incidente indesiderato», anche perché sull’isolotto disputato passano regolarmente gli F-16 turchi. Poi sono partiti interventi sempre più aggressivi da parte di politici dell’Akp, il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, del tipo «spezzeremo le gambe a Tsipras», il primo ministro di Atene.
Infine è arrivato un altro comizio di fuoco di Erdogan. Il leader turco ha detto che nel 1923 la Turchia «ha svenduto» le isole greche che «erano nostre» e «a distanza di tiro» dell’artiglieria. In quelle isole, «ci sono ancora le nostre moschee, nostri santuari». Persino durante la sua visita in Grecia lo scorso dicembre, la prima di un capo di Stato turco da 65 anni, Erdogan è tornato su uno dei suoi temi preferiti, la revisione del Trattato di Losanna, l’accordo che ha stabilito nel 1923 le frontiere della Turchia moderna.
«Losanna non è un testo sacro, lotteremo per averne uno migliore», ha ribadito lo scorso mese Erdogan. Il discorso è stato ripreso dalle tv, con tanto di mappe con le isole rivendicate, che in alcuni casi arrivano a 18, ben oltre i 4 ettari di Imia. Erdogan si è anche dato una scadenza, il 2023, centesimo anniversario della Repubblica turca, e del Trattato di Losanna. Su questo c’è consenso fra i maggiori partiti, a cominciare dal nazionalista Chp, Partito repubblicano del popolo, che anzi parla di «occupazione greca» delle isole.

Il rilancio nazionalista non ha però sottratto il Chp dalle critiche dell’Akp. I kemalisti sono accusati di aver «svenduto» i territori turchi alla Grecia, non solo a Losanna ma anche nei trattati con l’Italia nel 1932 e nel 1947 sul Dodecaneso, e lo stesso Erdogan ha preso di mira il leader del Chp Kemal Kiliçdaroglu per lo stesso motivo. Kiliçdaroglu ha replicato, in un discorso in Parlamento, che la Grecia in realtà «occupa diciotto isole» da riportare sotto sovranità turca.
Quando il ministro della Difesa greco Kammenos ha espresso il suo «disagio» verso queste affermazioni il responsabile per la politica estera del Chp, Ozturk Yilmaz, ha reagito con parole ancora più dure: «La Grecia non deve mettere a prova la nostra pazienza. La Turchia è molto di più di un governo e ogni ministro greco che provoca la Turchia sarà colpito con una mazza sulla testa. Se Kammenos ripassa la storia, troverà molti esempi».
Ma la gara a chi la spara più grossa non è limitata alla Grecia. L’idea di fondo è di creare un coesione nazionale dietro il progetto concreto di allargare il territorio turco. Nel 1938 la Turchia è riuscita a recuperare un pezzetto di Siria, la provincia di Hatay, dal 1974 la parte Nord di Cipro è passata sotto controllo turco, e ora Ankara è presente con le sue truppe su circa 5 mila chilometri quadrati di Siria, lungo un altro confine stabilito dal Trattata di Losanna, e avanza verso Afrin.
La scorsa settimana Erdogan ha ribadito che la Turchia è erede dell’impero ottomano «un territorio di 18 milioni di chilometri quadrati». Un’altra data a cui guarda il leader turco, anche se probabilmente per i suoi eredi, è il 2071, millesimo anniversario della battaglia di Manzicerta, quando i turchi selgiuchidi sconfissero l’imperatore bizantino e conquistarono l’Anatolia. Fu l’inizio dell’espansione turca e ad Ankara sembrano convinti che la storia si possa ripetere.

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