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La Stampa Rassegna Stampa
22.02.2018 Siria: l'impotenza della UE e dell'ONU (troppo impegnati con Abu Mazen?)
Analisi di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 22 febbraio 2018
Pagina: 13
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Schiaffo di Erdogan a Mosca, con Assad nessun dialogo»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/02/2018, a pag.13 con il titolo "Schiaffo di Erdogan a Mosca, con Assad nessun dialogo"

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Giordano Stabile           Putin/Erdogan

La Russia cerca di mediare fra Turchia e governo siriano e invita ad aprire «un canale di dialogo» per evitare un confronto militare diretto ad Afrin, ma le truppe di Ankara continuano ad avanzare verso il capoluogo dell’enclave curda nel Nord-Ovest della Siria, mentre quelle di Damasco si apprestano a lanciare l’offensiva di terra contro Ghouta, l’ultima grande sacca ribelle vicino alla capitale, dove ieri i raid hanno fatto altre decine di vittime. Ma se la situazione umanitaria più grave è proprio a Ghouta, è ad Afrin che rischia di innescarsi una guerra regionale, fra Stati e non più fra milizie alleate. Ieri le forze di Ankara sono avanzate ancora su tutti e tre i lati della frontiera fra Turchia e il cantone di Afrin: nella zona di Bulbul a Nord, in quella di Rajo a Ovest e in quella di Jinderes a Sud. Si avvicina l’assalto alla cittadina, dove sono rifugiati fino a 200mila sfollati da altre zone siriane. Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha cercato di disinnescare la situazione esplosiva e ha invitato Ankara al «dialogo» con Damasco, attraverso il canale russo. La risposta è stata di chiusura. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha fatto sapere che la Turchia esclude ogni ipotesi di un «dialogo politico» con Damasco, ma aggiunge che in «condizioni straordinarie» l’intelligence turca può aprire un canale di dialogo con Damasco. Kalim ha ribadito che l’ingresso di ieri ad Afrin di un convoglio di circa 50 mezzi di miliziani filogovernativi è stato respinto dall’artiglieria di Ankara, e aveva come «scopo un po’ di show e un po’ di propaganda». Se i lealisti compiranno altri tentativi di entrare, ha avvertito la presidenza turca, a sostegno dei combattenti curdi, anche le forze filo-Assad diventeranno «un obiettivo legittimo». La Turchia, in ogni caso, continuerà le operazioni militari, nonostante sul campo si assista ad «accordi sporchi». La presenza delle milizie di «Difesa nazionale» Nabal è stata però confermata dalla dirigenza dello Ypg curdo e avvalorata da immagini che mostrano il convoglio, con la bandiera nazionale siriana dalle due stelle verdi, all’interno di Afrin. Damasco è però in questo momento più concentrata su Ghouta. Ieri l’aviazione siriana ha ripreso i raid, molto intensi, soprattutto sulle cittadine di Arbin e Ain Tourma, con oltre 10 morti e 200 feriti, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Da domenica, oltre 250 civili, fra cui circa 60 bambini, sono stati uccisi negli attacchi nella Ghouta orientale. Diversi ospedali sono stati messi fuori uso dai raid. Martedì anche l’aviazione russa, alleata del regime di Bashar al-Assad, ha bombardato l’area con i Su-34. I raid sono il preludio all’assalto di terra, che dovrebbe cominciare nei prossimi giorni. I governativi, oltre che artiglieria pesanti, tank e blindati, hanno ammassato anche enormi bulldozer per distruggere le trincee dei ribelli. Ghouta è difeso da gruppi vicini ad Al-Qaeda, come Failaq al-Rahman, e altri appoggiati dall’Arabia Saudita, come Jaysh al-Islam. I ribelli hanno risposto con colpi di mortaio e lancio di razzi, che hanno raggiunto anche i quartieri centrali della capitale. Come già durante la battaglia ad Aleppo Est, nel 2016, il mondo sembra incapace di difendere i civili. L’Onu è tornata ad ammonire Assad: i bombardamenti «devono cessare adesso», ha dichiarato il coordinatore per gli aiuti umanitari in Siria, Panos Moumtzis. Washington ha denunciato «le tattiche» del regime, cioè «mettere sotto assedio e affamare» le zone ribelli. L’Italia con il ministro Alfano parla di «violenze disumane». Ed è di nuovo intervenuta la Francia: «La situazione in Siria peggiora notevolmente» e «se non ci saranno nuovi elementi ci dirigiamo verso un cataclisma umanitario», ha avvertito il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian.

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