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La Stampa Rassegna Stampa
16.02.2018 Shimon Peres, una vita a riparare il mondo
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 16 febbraio 2018
Pagina: 27
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Shimon Peres, una vita a riparare il mondo»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/02/2018, a pag. 27 con il titolo "Shimon Peres, una vita a riparare il mondo" il commento di Elena Loewenthal.

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Elena Loewenthal

È raro che una vita sia capace di attraversare tanti mondi diversi lasciando su ognuno la propria traccia, e che questa traccia sia sempre il tentativo di renderli migliori. È il principio fondamentale dell’ebraismo, quello di darsi da fare per il tikkun olam, la «riparazione del mondo», di quei suoi guasti che il Signore sembra aver messo lì proprio perché ci si rimbocchi le maniche pur sapendo che «non spetta a noi terminare l’opera» verso una perfezione irraggiungibile, ma senza «esimerci dal tentare», come dice un vecchio adagio rabbinico.

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È stata così la vita di Shimon Peres, un caposaldo d’Israele, anche una delle figure più illuminanti - e illuminate - a cavallo di due millenni. Ci ha lasciati il 28 settembre 2016 a 93 anni, ma soltanto pochi giorni prima aveva ricevuto nella sede del suo Centro per la Pace - progettata da Massimiliano Fuksas - un gruppo di imprenditori internazionali, incoraggiandoli a investire nelle tecnologie israeliane. E pensare che il primo frutto di questa terra che nel 1934 Peres vide con i propri occhi in un borgo ebraico della Bielorussia aveva ben poco di futuribile: «Ricordo ancora quel potente momento, quella prima arancia. I miei genitori mi avevano portato a casa dei loro amici, dove si era già radunato un folto gruppo. Comparve un ragazzo da poco arrivato dalla terra d’Israele, che elargiva alla folla storie grandiose di un paese remoto… Quando finì si voltò verso una scatola, la alzò. La folla tratteneva il fiato. Poi ognuno pescò un pacchetto dalla scatola e vi trovò una bell’arancia Jaffa matura».
Questo e altro racconta il presidente d’Israele, premio Nobel per la Pace in un libro che alla sua morte era già pronto per le stampe e che ora viene pubblicato in inglese da Harper & Collins: No room for small dreams non è solo il titolo di un racconto di vita. È stato, negli ultimi anni del Presidente, la sua bonaria ossessione: bisogna sempre sognare in grande, ripeteva. Si era iscritto a Facebook qualche anno fa - con Zuckerberg in persona come tutorial -, era affascinato dalle nuove tecnologie. Da decenni faceva parte della Storia con la maiuscola, ne aveva costruita tanta in Israele, eppure ha avuto sino alla fine una straordinaria propulsione verso la novità, verso ciò che non conosceva.

Szymon Persky nacque nell’agosto del 1923 a Vishneva, una cittadina sul confine fra Russia e Polonia. Suo padre faceva il mercante di legname, la madre era bibliotecaria, appassionata di letteratura russa. Erano aperti al mondo. La loro era una vita semplice e tranquilla sino a che, nel 1934, le leggi antisemite e le ritorsioni nei confronti degli ebrei condussero la famiglia nella Palestina sotto Mandato Britannico.

Shimon comincia ben presto la sua avventura politica nei ranghi della gioventù sionista, avvia la lunga esperienza di kibbutznik, si fa notare dal già mitico Ben Gurion. Il loro primo incontro è un deludente (per Peres) viaggio in auto sino a Haifa con il grande leader che crolla addormentato, sparpagliando nell’abitacolo la sua chioma ingombrante. Ma di fatto sarà Ben Gurion ad affidargli la costruzione dell’industria bellica israeliana («Quando Israele era debole ho lavorato per renderlo potente. Quando è stato ormai forte, mi sono dato a cercare la pace») e missioni politiche fondamentali per il Paese, lungo una carriera durata più di settant’anni. Nel libro Peres la racconta con alcuni retroscena molto interessanti e uno sguardo che mai dimentica i princìpi, le idee portanti. «Credo con tutto me stesso nella virtù del sionismo e nella storica decisione di Ben Gurion di accettare la risoluzione Onu sulla spartizione della Palestina. Ben Gurion capì che per mantenere il carattere ebraico del nostro Stato si dovevano rispettare i nostri valori, e che i nostri valori sono fondamentalmente democratici».

Peres è stato un uomo di pace, un progressista. Ha sempre caldeggiato la soluzione dei due Stati, l’unica secondo lui in grado di dare un futuro al sionismo in quanto realtà nazionale e in quanto ideale. È stato tra i primi a capire il paradosso di Israele: un piccolo Paese privo di risorse, ancorato a radici millenarie, le cui speranze stanno tutte riposte nella propria creatività, nella capacità di «costruire ed essere costruito». Questo spiega perché sia diventato il Paese delle start up, la passione di Peres negli ultimi anni. Ed era davvero commovente ascoltare quel grande ed elegantissimo vecchio mentre parlava di un futuro che non sarebbe stato suo ma a cui voleva un bene immenso.

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