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La Stampa Rassegna Stampa
26.01.2018 Finalmente! Trump attacca Abu Mazen: deve andarsene
Cronaca e commento di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 26 gennaio 2018
Pagina: 1
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Trump attacca Abu Mazen: deve andarsene - 'Un messaggio di pace e prosperità'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/01/2018, a pag.1-7, con i titoli "Trump avverte Abu Mazen: 'Basta aiuti se non negoziate' -", "Un messaggio di pace e prosperità", due servizi di Paolo Mastrolilli.

A destra: Donald Trump, Abu Mazen

Finalmente un bel titolo su uno dei giornali quotidiani più letti in Italia, La Stampa, che i lettori di IC ben conoscono come uno dei pochi di solito affidabili su Israele. Il titolo di oggi in prima pagina chiarisce una volta per tutte il nuovo corso di Donald Trump in Medio Oriente.

Ecco gli articoli:

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Paolo Mastrolilli

"Trump attacca Abu Mazen: deve andarsene"

Se i palestinesi vogliono continuare a ricevere gli aiuti economici americani, devono riprendere il negoziato. Ma se vogliono davvero la pace, probabilmente dovranno cambiare leadership. L’attacco contro Abu Mazen è stato lanciato ieri insieme dal presidente Trump a Davos, e dall’ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Haley. Forse lo scopo era spingerlo al tavolo delle trattative, in vista della proposta che il genero del capo della Casa Bianca Jared Kushner sta preparando. Però i toni usati lasciando intendere che se non lo facesse, Washington punterebbe alla sua sostituzione. Nelle stesse ore, sempre dalla Svizzera, il premier israeliano Netanyahu ha spiegato la sua visione per il futuro della regione: i palestinesi possono avere l’autogoverno, ma devono delegare la questione della sicurezza allo Stato ebraico. Incontrando Netanyahu a margine del World Economic Forum di Davos, Trump ha accusato Abu Mazen di aver «mancato di rispetto» agli Stati Uniti, quando la settimana scorsa non ha voluto vedere il vice presidente Pence. Lo ha fatto per protestare contro la decisione di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv, ma il capo della Casa Bianca ha risposto che con questa mossa ha favorito la pace, invece di farla deragliare: «Nei negoziati precedenti non riuscivamo mai ad andare oltre la questione di Gerusalemme. Ora l’abbiamo tolta dal tavolo, così non dobbiamo più parlarne». Quindi Trump ha minacciato: «Diamo centinaia di milioni di dollari ai palestinesi. Quei soldi sono sul tavolo, non li riceveranno più se non si siedono a trattare». Il presidente ha detto che la sua proposta di pace sta arrivando, «ed è una grande proposta per i palestinesi». È molto buona anche per Israele, che però «dovrà pagare» per il riconoscimento di Gerusalemme, facendo concessioni nel negoziato. Trump non ha voluto commentare le dichiarazioni di Abu Mazen su di lui, ma si è augurato che «alla fine le teste più fredde prevarranno». Proprio nelle stesse ore, con una coincidenza che è difficile considerare casuale, l’ambasciatrice Haley ha attaccato il leader palestinese durante un discorso all’Onu: «Ha insultato il presidente». Quindi, esaltando il coraggio che Sadat e re Hussein avevano avuto nel guidare Egitto e Giordania verso la pace con Israele, si è chiesta: «Dov’è il Sadat e il re Hussein palestinese?». Lo scopo immediato di questa offensiva è spingere Abu Mazen a tornare al tavolo della trattativa, in vista della proposta di pace elaborata da Kushner. Fonti diplomatiche spiegano che si basa su un approccio regionale in cui l’Arabia Saudita, in cambio dell’appoggio ricevuto dagli Usa contro l’Iran, spingerà i palestinesi ad accettare l’offerta fornendo forti compensazioni economiche per i territori perduti. Il leader dell’Anp, però, ha risposto così alle dichiarazioni del capo della Casa Bianca: «Se gli Usa hanno tolto Gerusalemme dal tavolo, noi toglieremo gli Usa dal tavolo». Una chiusura per ora netta, che sembra cancellare il ruolo di Washington come mediatore. Se non cambierà, gli americani cercheranno di convincere i palestinesi che la leadership di Abu Mazen non è più nei loro interessi. Poco dopo il bilaterale col capo della Casa Bianca, in un colloquio con Fareed Zakaria, Netanyahu ha indicato la sua visione per la pace: «Qualcosa di simile a quanto gli Usa avevano offerto alla Germania dopo la Seconda guerra mondiale». L’obiezione di Zakaria è stata che senza la creazione di due Stati Israele dovrà cessare di essere un Paese democratico, per negare ai palestinesi il diritto di influenzare col voto la sua linea politica, oppure di essere ebraico, perché la crescita demografica renderà gli arabi maggioranza. Netanyahu allora ha indicato una terza via: «I palestinesi possono autogovernarsi, ma Israele deve continuare a garantire la sicurezza nei loro confini. Per evitare che finiscano nelle mani dell’Isis e di al Qaeda, o in quelle dell’Iran, come era accaduto quando ci ritirammo da Gaza».

'Un messaggio di pace e prosperità'


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Donald Trump

«Sono venuto a portare un messaggio di pace e di prosperità». Alla vigilia del discorso di oggi, con cui promuoverà la sua visione di “America First” a Davos, e dopo le dichiarazioni sul dollaro debole e i dazi, che hanno provocato la reazione negativa dei leader europei e del capo della Bce Draghi, il presidente Trump ha cercato di usare un tono conciliante nella sua giornata d’esordio al World Economic Forum. Prima che l’Air Force One atterrasse a Zurigo, e l’elicottero Marine One portasse il capo della Casa Bianca a Davos, il segretario al Tesoro aveva già ritoccato il messaggio del giorno precedente. A cominciare dal dollaro, sceso ancora dopo che Mnuchin si era augurato che calasse per favorire le esportazioni: «Ci sono benefici relativi alla posizione in cui si trova il dollaro, e ci sono costi. Non si tratta assolutamente di un cambio della mia posizione. Noi crediamo nella libera fluttuazione delle monete». Secondo alcuni, così ha confuso ancora di più le cose, spingendo Draghi ad esprimere la propria preoccupazione, ma è chiaro a questo punto che almeno nell’immediato l’amministrazione Trump non è preoccupata per la debolezza del dollaro, perché aiuta le esportazioni e quindi la crescita. Quanto al rischio di guerre commerciali, legato ai dazi già imposti e a quelli futuri minacciati dal segretario al Commercio Ross, la linea di Washington è che gli Usa non vogliono scatenare scontri col protezionismo, ma ottenere un trattamento più equo. Infatti il presidente, commentando con la Cnbc la decisione degli 11 paesi membri del Tpp di ratificare l’intesa nonostante il ritiro dell’America, ha detto che potrebbe tornare nel trattato, se verrà modificato secondo i suoi desideri. Con la premier britannica May ha cercato di superare le tensioni che lo hanno obbligato a rimandare la visita a Londra, dicendo che la sosterrà nel processo verso la Brexit, garantendo un futuro di commerci proficui tra i due alleati. Trump è stato inseguito anche a Davos dai problemi di politica interna, tra la sua promessa di farsi interrogare dal procuratore del “Russiagate” Mueller, all’apertura verso l’idea di concedere la cittadinanza ai “dreamers”, cioé gli illegali portati negli Usa dai genitori quando erano bambini. Tutti poi sono rimasti sorpresi quando hanno visto l’aereo della First Lady Melania che atterrava a Palm Beach, dopo che lei aveva evitato la trasferta svizzera. Lui però ha detto che il forum «sta andando benissimo ed è un successo per tutti». Oggi spiegherà perché, difendendo la sua visione, e chiarendo come la prosperità che vuole per gli Usa possa beneficiare anche il resto del mondo.

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