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La Stampa Rassegna Stampa
14.12.2017 'Gerusalemme da sembre capitale dell'ebraismo, finalmente uno scrittore la racconta giusta'
Commento di Aharon Appelfeld

Testata: La Stampa
Data: 14 dicembre 2017
Pagina: 13
Autore: Aharon Appelfeld
Titolo: «Ma Donald non è pazzo. La città è il luogo degli ebrei. L’Europa legga la Bibbia»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/12/2017, a pag. 13, con il titolo "Ma Donald non è pazzo. La città è il luogo degli ebrei. L’Europa legga la Bibbia", l'intervento di Aharon Appelfeld.


Aharon Appelfeld

Dopo averlo sentito negare per oltre vent’anni finalmente arriva un politico e afferma che Gerusalemme appartiene agli ebrei. Se volete è addirittura ridicolo. C’è la Bibbia e ci sono valanghe di libri di Storia sul rapporto tra Gerusalemme e gli ebrei. È stata la propaganda, soprattutto quella islamista, a diffondere l’idea che la Città santa non avesse alcun rapporto con noi. Non si vuole riconoscere che invece Gerusalemme è il cuore d’Israele, è l’identità ebraica dello Stato.

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Gerusalemme, capitale d'Israele


Detto questo non sono certo contento. Parliamo di una storia incompleta, abbiamo deragliato dal percorso di pace, non vedo alcuna riconciliazione all’orizzonte a meno di riconoscere che Israele è lo Stato degli ebrei. È questo il punto, a mio parere: manca la volontà di trovare un accordo, se lo si volesse veramente tutto verrebbe risolto, compresa la questione di Gerusalemme.

Trump è un businessman, non è un pazzo. Nominando la capitale d’ Israele si è guardato bene dal parlare di tutta Gerusalemme. Lo ripeto, il punto di partenza è riconoscere l’identità ebraica del Paese - che è stato invece demonizzato per decenni - e poi tutto il resto sarà negoziabile. E mi meraviglio dell’Europa che, cresciuta com’è studiando il vecchio e il nuovo Testamento, si ostina a negare l’evidenza, non è possibile distinguere tra l’ebraismo e Gerusalemme. Facciamo piazza pulita della propaganda e poi torniamo a sederci a parlare di pace.
Capisco che i palestinesi siano delusi, vent’anni di trattative non hanno prodotto nulla. Ma non sono stati seri. L’idea di riportare a casa tre milioni di arabi della diaspora in un Paese piccolo come il nostro non può essere una pre-condizione perché è una follia, ci distruggerebbe da dentro. Ragioniamo in modo costruttivo piuttosto, la terra per la terra, l’acqua per l’acqua, chiediamo investimenti sostanziosi per entrambi all’America e all’Europa.

Il rischio di una guerra c’è, c’è sempre. Ma non scoraggiamoci, non mi pare che oggi la tensione sia maggiore rispetto al passato: siamo abituati a una costante Intifada a bassa intensità, non c’è mai stato un giorno di vera pace in Israele. Stiamo a guardare: Trump è diverso da Obama, e non tocca a me stabilire quale presidente sia il migliore. Il secondo voleva che gli Stati Uniti si disimpegnassero dalle vicende degli altri Paesi mentre il primo, con tutta evidenza, la pensa in maniera opposta.
(testo raccolto da Francesca Paci)

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