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La Stampa Rassegna Stampa
12.12.2017 New York: attentato islamista. Pena di morte per i terroristi?
Cronaca di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 12 dicembre 2017
Pagina: 4
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «'Colpisco New York per vendicare Gaza'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/12/2017 a pag.2-3 con i titoli 'Colpisco New York per vendicare Gaza', "la cronaca di Paolo Mastrolilli.

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Paolo Mastrolilli

Donald Trump ha dichiarato di voler punire i terroristi con la pena di morte. In realtà la pena di morte non basta per fermarli, già in partenza votati a un'ideologia di morte, alla quale vanno incontro con consapevolezza. Occorre anche capire le cause che muovono il terrorismo islamico, cause che si annidano nell'ideologia islamista. L'attentatore di New York ha urlato "Allah huAkbar!" prima di colpire: un proclama che spiega più di molti commenti sui "giornaloni", ma che spesso dai giornalisti non viene riportato. Come in questo caso. Ecco l'articolo: Benjamin Netanyahu con Donald Trump Voleva vendicarsi per le azioni condotte da Israele a Gaza, dopo che il presidente Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico. Così, nel suo letto del Bellevue Hospital, Akayed Ullah ha spiegato perché ieri mattina ha cercato di fare strage nella metropolitana di New York. «Il nostro peggiore incubo», come lo ha definito il governatore dello Stato Andrew Cuomo, che torna a ripetersi. Un «lupo solitario», che una mattina si sveglia e decide di diventare terrorista, colpendo a caso e come può, possibilmente ispirato dalla retorica estremista e violenta dell’Isis. Akayed ha 27 anni, è nato in Bangladesh, e vive dal 2011 negli Stati Uniti. Aveva ottenuto la carta verde e una licenza come autista privato di taxi, che però aveva lasciato scadere nel 2015. Per qualche ragione personale, la vita in America lo aveva deluso. Ieri mattina è uscito dalla sua casa di Brooklyn indossando una «pipe bomb», cioè un tubo idraulico o da costruzione trasformato in ordigno, riempiendolo con esplosivo, chiodi, viti, e altri oggetti metallici. Ha confessato di averlo costruito sul suo posto di lavoro, scaricando da internet le istruzioni per l’uso. Lo ha attaccato al proprio torso con il nastro adesivo, imitando i «suicide bombers» che si fanno saltare in aria come kamikaze. Verso le 7,30 del mattino, mentre passava nel tunnel che collega le stazioni fra la Settima e l’Ottava Avenue di Manhattan, proprio sotto Times Square, ha fatto scoppiare la bomba. O forse è saltata in aria per errore, prima che potesse raggiungere il suo vero obiettivo. Le telecamere della sicurezza hanno ripreso la scena, e a fare paura è proprio la normalità del male che Akayed voleva infliggere. Si vedono persone che camminano intorno a lui, correndo verso il lavoro come ogni mattina, e poi si sente lo scoppio. Quando il fumo dell’esplosione si dirada, per terra c’è solo il corpo di Ullah che si contorce. Altri tre passeggeri sono rimasti feriti, ma in maniera molto leggera, perché la bomba era rudimentale e non ha funzionato bene. Se lo avesse fatto, però, poteva essere una strage. La polizia ha subito bloccato la zona, dal terminale degli autobus di Port Authority, quasi fino a Times Square. I treni della metropolitana hanno ricevuto l’ordine di saltare la fermata sulla 42a strada, anche perché gli investigatori non sapevano se si trattava di un atto isolato, oppure di un’azione coordinata con altri complici. La gente scappava, o si guardava intorno allibita. «Il pavimento - ha raccontato John Frank - ha tremato. Quando a New York senti un’esplosione così, tutti pensano la stessa cosa. Questi attacchi ormai si ripetono troppo spesso». Gli agenti hanno arrestato Akayed e lo hanno portato al Bellevue Hospital, per curarlo dalle ustioni che si era procurato. Lui ha spiegato che si era risentito per i raid anti-Isis e per le azioni lanciate da Israele a Gaza, allo scopo di fermare le proteste esplose dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico da parte di Trump: «Loro ci bombardano laggiù, e in risposta io ho cercato di fare danni qui». Ha raccontato di aver cercato su internet le istruzioni per costruire la bomba, e di essersi ispirato agli appelli lanciati dall’Isis. Al momento gli investigatori non hanno scoperto complici, o legami diretti con lo Stato islamico. Il timore però è che questi attacchi si moltiplichino, dopo la sconfitta del Califfato in Iraq e Siria, anche senza che i terroristi stranieri e occidentali tornino dal Medio Oriente a casa. Il presidente Trump ha invocato «le pene più severe previste dalla legge, inclusa la pena di morte», contro i condannati per terrorismo. Il governatore Cuomo ha invece definito l’attacco come «il nostro incubo peggiore», perché questo genere di azioni sono le più difficili da intercettare. L’attacco lanciato da al Qaeda l’11 settembre del 2011 era stato devastante, ma aveva richiesto mesi per essere preparato. Le operazioni dei lupi solitari sono meno letali, ma anche molto più facili da organizzare. I responsabili finora sono sempre stati cittadini americani, o immigrati arrivati nel paese prima ancora che l’Isis esistesse, e quindi non li avrebbe fermati neppure il bando imposto dal presidente Trump contro le persone in arrivo ad alcuni paesi musulmani. Il Bangladesh, peraltro, non è nella lista, e quindi Ullah sarebbe potuto arrivare a New York ieri mattina, se avesse avuto i documenti in regola come quando era immigrato nel 2011. L’unica differenza è che Trump vuole vietare l’accesso automatico dei famigliari di chi entra legalmente. Il sindaco de Blasio ha preso atto dell’incubo a cui i suoi cittadini devono abituarsi: «Le nostre vite girano intorno alla metropolitana. La scelta di New York avviene sempre per una ragione, perché noi siamo un faro per il resto del mondo, e dimostriamo come una società composta da molte fedi e molte culture possa funzionare. I terroristi vogliono distruggere questo modello, e perciò bramano di colpirci».

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