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La Stampa Rassegna Stampa
29.11.2017 Michel Aoun, Presidente del Libano: menzogne su Arabia Saudita, Saad Harari, Hezbollah, Israele
Intervistato da Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 29 novembre 2017
Pagina: 11
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «'La crisi ormai è alle spalle, Hariri guiderà ancora il Libano'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/11/2017, a pag.1-11, con il titolo 'La crisi ormai è alle spalle, Hariri guiderà ancora il Libano', l'intervista di Giordano Stabile a Michel Aoun, Presidente del Libano.

Michel Aoun, Presidente del Libano, non rinuncia a ribadire la storia fantasiosa del "rapimento" e dell' "arresto" di Saad Hariri in Arabia Saudita, un'abile mossa concordata con Mohammed bin Salman, prima per salvare la pelle in grave pericolo, secondo per tornare, forte della legittimazione internazionale e dopo aver fatto tappa a Parigi, a Beirut.

Le parole di Aoun su una possibile "svolta democratica" in Siria sembrano dettate da ottimismo prematuro, dal momento che a Damasco ancora governa Assad, responsabile di una guerra civile che ha fatto centinaia di migliaia di morti e stretto alleato di Mosca e Teheran.

Infine, le parole concilianti di Aoun per Hezbollah, definita "forza di resistenza" anziché banda di terroristi al soldo dell'Iran raggiungono il massimo della disinformazione.

Ecco l'articolo:

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Giordano Stabile

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Michel Aoun, Presidente del Libano

Il Generale ha il passo svelto, sorpassa gli assistenti e prende in mano gli ultimi dossier. A 82 anni ha ancora l’energia per verificare i dettagli. Dal palazzo presidenziale di Baabda il presidente Michel Aoun ha diretto con piglio militare la più difficile crisi da un decennio, con il premier Saad Hariri «trattenuto» a Riad, e con il Libano, e l’intero Medio Oriente che stavano per essere trascinati in un conflitto fra l’Arabia Saudita e l’Iran. Da questo stesso palazzo, 27 anni fa, il generale Aoun era stato cacciato a cannonate dall’esercito siriano, ed era cominciato per lui un esilio in Francia di 15 anni. Una nuova tempesta poteva travolgerlo e invece il presidente libanese si è preso una rivincita: «Il Libano è rimasto sempre tranquillo e fiducioso, sapeva di essere in buone mani - sottolinea con puntiglio -. La crisi si concluderà la prossima settimana». E il Libano non ricadrà in una guerra civile, anzi il modello di «convivenza fra diverse comunità e religioni», che ha retto dal 1990 in poi, può estendersi ai Paesi vicini.

 

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Il mondo ha guardato per settimane al Libano con il fiato sospeso. L’ennesima guerra mediorientale sembrava inevitabile. C’è ancora questo rischio?
«No, la crisi sarà risolta in modo definitivo fra pochi giorni. In Libano c’è stata molta compattezza. Non c’è mai stato alcun vuoto politico, tutti i partiti mi hanno affidato i pieni poteri. Abbiamo chiesto che ci venisse restituito il nostro premier. La risposta non arrivava. Non ci è restato che appellarci alla Convenzione di Vienna, che tutela capi di Stato e di governo all’estero, e ci siamo rivolti alla comunità internazionale. Il mondo si è schierato dalla nostra parte, a partire dal vostro Paese, che ha fatto parte del 5+5: i Cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, più Italia, Germania, Ue, Lega Araba e Segretario dell’Onu. Insieme sono riusciti a far valere le nostre ragioni».

Hariri resterà premier?
«Certamente. Abbiamo appena finito le consultazioni con tutte le forze politiche, dentro e fuori dal governo. C’è una piena intesa».

Hariri però continua a insistere sulla «neutralità» del Libano, cioè sul disimpegno di Hezbollah dalle guerre regionali. Avverrà?
«Hezbollah ha combattuto contro i terroristi dell’Isis in Libano e oltre il confine. Ma quando la guerra contro il terrorismo sarà finita i suoi combattenti ritorneranno nel Paese».

Quest’ultima crisi sembra aver rinsaldato ancor più la sua alleanza con Hezbollah, e con la Siria, che pure aveva combattuto durante la guerra civile libanese. E’ una contraddizione?
«Ho guidato la resistenza durante l’occupazione siriana. Ma dopo che la Siria si è ritirata era necessario fare quello che hanno fatto Francia e Germania alla fine della Seconda guerra mondiale, riconciliarsi. Libano e Siria sono Paesi confinanti, devono cooperare. L’intesa con la Siria ha permesso di mettere in sicurezza le nostre frontiere e sconfiggere l’Isis».

La coabitazione con Hezbollah è però spesso criticata in Occidente, non viene capita. Come risponde?
«Bisogna capire che Hezbollah è prima di tutto una forza di resistenza libanese che si è formata contro le aggressioni di Israele. Una resistenza popolare: lungo il confine sono stati gli stessi sceicchi dei villaggi a formare i primi gruppi di resistenza. Il Libano non ha mai cominciato una guerra e i libanesi considerano Hezbollah una forza di difesa, non un partito terrorista. Le accuse di terrorismo a Hezbollah non sono state provate».

Dalla lotta contro l’Isis è emerso un nuovo Medio Oriente, dove l’influenza iraniana è più forte. E’ un pericolo?
«In Siria si va verso un accordo politico. Ci sarà un cambio di regime, sì, ma non un cambio delle persone che hanno vinto la guerra (a cominciare da Bashar al-Assad, ndr). Sarà un’evoluzione nella struttura dello Stato, in senso più democratico, di migliore convivenza fra le comunità. L’Iraq seguirà un percorso simile. Una Siria pacificata è indispensabile anche per il Libano: abbiamo 1,6 milioni di rifugiati siriani, non siamo più in grado di provvedere a loro a livello economico, c’è un grosso aumento della criminalità. Vogliamo che tornino in Siria al più presto».

Lei è un presidente cristiano in un Paese arabo. In questo nuovo Medio Oriente ci sarà un posto per i cristiani?
«In Libano le diverse comunità cristiane e musulmane hanno vissuto accanto per secoli. Abbiamo pagato il prezzo di cattive esperienze nel passato, ma dopo gli eventi degli Anni 80 abbiamo deciso di aver una vita in comune, e di ricostruire insieme la nostra società. Non ci saranno altri conflitti che possano turbare il Paese, perché ci siamo intesi che debbano restare nell’ambito politico. E in Iraq una buona parte dei cristiani fuggiti per la guerra potrà rientrare, ancor più in Siria».

Sia l’Europa che il Libano, e tutto il Medio Oriente, sono stati colpiti, oltraggiati dall’Isis. Il mostro è davvero sconfitto?
«In Libano sì. Il nostro esercito ha combattuto molte battaglie. Ci sono state infiltrazioni prima a Tripoli, poi a Sidone, ad Arsal. Ora la situazione è sotto controllo e anche in Siria e Iraq l’Isis è in ritirata».

Oggi arriverà a Roma, poi incontrerà il presidente Sergio Mattarella e il premier Paolo Gentiloni. L’Italia è un partner importante del Libano. Da dove nasce questo rapporto speciale?
«È un rapporto secolare: la prima scuola cattolica maronita aperta da italiani risale al 1584. L’emiro Fakhreddine II, nel Seicento, ha vissuto a lungo in Toscana, e ha copiato parecchie cose dall’Italia. Ora oltre 1200 soldati italiani partecipano alla missione dell’Unifil, siete il secondo partner commerciale. E’ stato appena raggiunto un accordo tecnico con l’Eni, in partnership con la francese Total e la russa Novatek, per lo sviluppo dei giacimenti di gas libanesi».

Il peggio sembra essere passato, ma il Medio Oriente è devastato dalle guerre, con intere città rase al suolo. Quale sarà il suo messaggio all’Europa al Med-Dialogue, dove terrà il discorso di apertura?
«L’Europa ha voltato per troppo tempo le spalle al Mediterraneo. E invece siamo tutti Paesi confinanti, perché attraverso il mare si passa senza visti, come abbiamo constatato nelle crisi migratorie. L’Europa deve tornare a guardare al Mediterraneo. Sulle sue coste sono nate tutte le civiltà. Ora c’è uno squilibrio economico fra “Nord” e “Sud”. Bisogna lavorare per colmarlo. Al Med-Dialogue parlerò soprattutto di terrorismo, un altro aspetto che ci ha fatto capire quanto Europa e Oriente siano vicini, perché i terroristi si muovono rapidamente attraverso il Mediterraneo».

Un’ultima domanda sull’Arabia Saudita. Come giudica le riforme lanciate dal principe ereditario Mohammed bin Salman?
«La nostra politica è di non interferire negli affari interni degli altri Paesi».

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