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La Stampa Rassegna Stampa
13.08.2017 L'arma nucleare nordcoreana viene da lontano
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 13 agosto 2017
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «L'arma nucleare nordcoreana viene da lontano»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/08/2017, a pag. 1/23 l'editoriale di Maurizio Molinari dal titolo "L'arma nucleare nordcoreana viene da lontano".

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La Nord Corea minaccia di attaccare l’isola americana di Guam nel Pacifico con un missile intercontinentale che potrebbe essere armato con testata atomica e Washington risponde che l’opzione militare contro Pyongyang è pronta.

Se per la prima volta dal 1945 un conflitto nucleare diventa possibile è a causa della cecità della comunità internazionale, degli errori commessi dagli ultimi presidenti Usa, delle contraddizioni interne a Pechino e delle vaste complicità di cui Pyongyang ha goduto nel perseguire e raggiungere il possesso di armi di distruzione di massa.

La cecità internazionale è descritta dal fallimento dei negoziati multilaterali a cui Usa, Russia, Cina, Giappone e Sud Corea si sono affidati per sei anni (dal 2003 al 2009), dopo l’abbandono nordcoreano del Trattato di non proliferazione, credendo di poter indurre Pyongyang ad interrompere il programma nucleare mentre invece il regime dei Kim si faceva sistematicamente beffa di loro, accelerandolo in segreto.

Gli errori commessi dai presidenti americani Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama sono nell’aver creduto, sin da metà degli Anni Novanta, nella possibilità di un compromesso sul nucleare con un regime basato sul culto dei propri leader, sull’aggressione nei confronti dei vicini, sulla massiccia violazione dei diritti umani e sull’oppressione dei propri cittadini ricorrendo a strumenti come i lavori forzati e le pubbliche esternazioni di idolatria per la dittatura.
E le contraddizioni cinesi sono inerenti ad una grande nazione che pur proiettata verso la globalizzazione e l’orizzonte di una nuova Via della Seta resta in realtà governata da un regime anch’esso comunista e in quanto tale visceralmente legato al confratello di Pyongyang, di cui vuole scongiurare la scomparsa nel timore di subirne gravi ripercussioni interne. A cominciare da un’unificazione della penisola coreana che, come avvenuto in Germania dopo il crollo del Muro di Berlino, premierebbe l’Occidente umiliando il sistema cinese davanti alle sue stesse frontiere. Per le forze armate di Pechino, che sostennero Pyongyang nel sanguinoso conflitto contro il Sud terminato nel 1953, sarebbe l’onta più grande.

Tali e tanti errori hanno giovato a Pyongyang ma sono state le complicità scientifiche e militari a rivelarsi decisive nel consentire a Kim Il-sung di pianificare l’arsenale nucleare, al figlio Kim Jong-il di effettuare nel 2006 i primi test atomici ed al nipote Kim Jong-un di portare a termine tanto la miniaturizzazione delle testate che la realizzazione - questo luglio - di un missile intercontinentale capace di trasportarle fino a 10.400 km di distanza, ovvero raggiungendo il Nordamerica. Iniziò l’Urss alla fine degli Anni Cinquanta, fornendo ai nordcoreani il primo reattore per la ricerca nucleare, poi negli Anni Settanta furono Cina e Pakistan a fargli avere i primi missili, e negli Anni Novanta Abdel Qadeer Kahn, padre dell’atomica di Islamabad, vendette a Pyongyang (come a Teheran e Tripoli) i segreti delle centrifughe militari. Da quel momento la Nord Corea ha investito ogni anno un quarto del proprio Pil in spese militari, cooperando con Teheran soprattutto sui vettori balistici a lungo raggio, e perseguendo un unico obiettivo: avere l’atomica per far sopravvivere il regime. Kim Jong-un lo ha detto con estrema chiarezza nel gennaio 2016: «Saddam ha rinunciato al nucleare ed è stato abbattuto, Gheddafi ha rinunciato al nucleare e lo hanno ucciso». Dunque, una dittatura per restare in piedi ha bisogno dell’atomica.

Per incredibile che possa apparire, l’arsenale di armi di distruzione di massa di Kim Jong-un è dunque il frutto non solo della ferrea determinazione nel realizzarlo da parte di Pyongyang ma di una catena di errori e complicità della comunità internazionale con cui adesso dobbiamo fare i conti.

La responsabilità di farvi fronte cade sulle spalle di un presidente americano che appare indebolito: ai ferri corti con il Congresso, in calo di popolarità, braccato dallo scandalo del Russiagate che rischia di azzopparlo e bersagliato da defezioni e fughe di notizie nella sua amministrazione, Donald J. Trump è atteso dalla sfida più difficile della sua ancora breve presidenza. A preannunciarglielo era stato Obama rivelandogli, durante la transizione dei poteri, che «il rischio maggiore viene dalla Nord Corea». In attesa di sapere se le opzioni militari del Pentagono sono realmente perseguibili - data la necessità di difendere Seul da un devastante attacco di terra - o se minacciarle serve piuttosto alla Casa Bianca per negoziare con Pyongyang in maniera assai diversa dal passato, è legittimo chiedersi se esistano delle alternative possibili. A suggerirne una è Bilahari Kausikan, veterano della diplomazia di Singapore, secondo cui «Corea del Sud e Giappone potrebbero dotarsi dell’atomica per creare un nuovo equilibrio regionale basato sulla deterrenza» seguendo l’esempio di quanto fecero Gran Bretagna e Francia nel secondo dopoguerra per bilanciare le forze nucleari sovietiche in Europa.

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